Finanziamenti alla Guardia costiera libica: il momento della verità
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Finanziamenti alla Guardia costiera libica: il momento della verità

Cresce il fronte di coloro che ritengono una vergogna il finanziamento di quella che è una vera e proprio associazione a delinquere

Migranti in Libia
Migranti in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Luglio 2021 - 12.42


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Globalist non ha lesinato articoli e interviste su quel finanziamento della vergogna. Il finanziamento all’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Ci siamo rivolti al presidente del Consiglio, Mario Draghi, al segretario del Partito democratico, Enrico Letta, financo al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. 

In buona compagnia

Siamo in buona compagnia. Ecco quanto scritto da Paolo Mieli in un suo editoriale sul Corriere della Sera: “L’occasione per la cancellazione dei sussidi italiani ai guardiani delle coste tripoline (la motovedetta Ras Jadir fu un dono del governo guidato da Paolo Gentiloni) potrebbe essere fornita dalla discussione che questa settimana verrà affrontata nelle commissioni Esteri e Difesa della Camera. Esame che avrà come oggetto proprio il rinnovo del «contratto» con i libici stipulato ai tempi dell’esecutivo Gentiloni e rinnovato con i due governi presieduti da Giuseppe Conte. Un contratto fin dall’inizio criticato da Emma Bonino, Matteo Orfini (Pd), da Fratoianni, dai quotidiani Avvenire e Manifesto

Bonino, Fratoianni e Orfini, assieme a pochissimi altri parlamentari, intellettuali e giornalisti, sono rimasti a lungo isolati nella loro battagliaFino al 25 febbraio 2020 quando l’assemblea nazionale del Pd votò all’unanimità una mozione in cui si sosteneva che ‘la Guardia costiera libica non esiste’, ciò che ‘è dimostrato da numerose inchieste giornalistiche e dai report delle Nazioni Unite’ da cui si capisce «come in realtà si tratti di milizie armate sovente in lotta tra loro e molto spesso coinvolte in prima persona nel traffico di migranti e nella gestione dei lager». Ragion per cui non meritavano di ricever più neanche un euro dalle finanze italiane.

Poi però, come talvolta accade per le decisioni di quel partito, il deliberato rimase lettera morta e tutto procedette come prima (nonostante il Pd avesse un ruolo assai rilevante nel secondo governo presieduto da Conte). Colpa di una distrazione provocata dal Covid, forse. Per una coincidenza, però, nel giorno in cui si era pronunciato unanime con quella mozione, il Pd aveva anche eletto a presidente Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto. Anche questa votazione era avvenuta all’unanimità. Parve un bel colpo di immagine portare una giovane donna alla testa di un partito assai sensibile — nei documenti e nelle dichiarazioni ufficiali — al tema della promozione di figure femminili. Senonché Cuppi — rimasta presidente dopo il passaggio da Nicola Zingaretti ad Entico Letta — non si è mai accontentata di rivestire un ruolo per così dire ornamentale. E nei giorni scorsi — prima dell’aggressione di cui, Cartabia consentendo, si occuperà Patronaggio — ha rilasciato a Daniela Preziosi una clamorosa intervista. Nel colloquio con la giornalista del Domani, Cuppi — forse memore della coincidenza tra la sua elezione e quel voto contro gli aiuti economici alla Guardia costiera tripolina — esortava il proprio partito ad uscire dal vago e a votare no, adesso, a quel genere di finanziamenti alla Libia. Un no secco. Bilanciato dall’erogazione della stessa somma di denaro per sovvenzionare lo sminamento di alcuni quartieri di Tripoli, il potenziamento dell’ospedale di Misurata e per chiunque in terra libica fosse impegnato in attività benefiche compiute nel rispetto dei diritti umani.

All’interno del partito le dichiarazioni di Cuppi sono cadute purtroppo nel vuotoCi sono moltissime giustificazioni a tale sordità dal momento che è sotto gli occhi di tutti l’impegno del Pd a favore del ddl Zan, della riforma della giustizia, del rinnovo delle cariche Rai e delle infinite conseguenze politiche generate dalle questioni suddette. Ma forse per il partito di Letta è giunto il momento di prestare attenzione, oltre che agli innumerevoli problemi del momento, anche a quel che ha dichiarato Valentina Cuppi. E di dire con chiarezza se e come intende onorare l’impegno preso solennemente un anno e mezzo fa”, conclude Mieli.

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I migranti in Libia

Si stima che circa 1,3 milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria in Libia. Le famiglie sfollate, le persone rifugiate e migranti sono tra le più vulnerabili e a rischio sicurezza in un paese che è diviso internamente da fazioni contrastanti e differenze inter-tribali. Di questi 1,3 milioni, 348 mila sono minori, bambini e bambine che hanno urgente bisogno di ogni genere di sostegno per poter vivere dignitosamente. Circa 393 mila sono sfollati interni e più di 43 mila sono rifugiati e richiedenti asilo che provengono principalmente dall’Africa sub-sahariana. Persone, spesso anche minori soli non accompagnati, che affrontano viaggi estenuanti, dove il rischio di non arrivare a destinazione, che non è la Libia bensì l’Europa, è altissimo.

Rimarca Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera:Nel suo rapporto sui diritti umani, Amnesty International scrive che nel 2020 la guardia costiera libica ha «intercettato in mare 11.891 rifugiati e migranti, riportandoli indietro sulle spiagge libiche, dove sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e indefinita, tortura, lavoro forzato ed estorsione». Ma neppure questi conti vergognosi tornano. Il capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Federico Soda, osserva che se gli ospiti dei campi ufficiali sono circa quattromila, mancano all’appello ottomila dei migranti catturati solo lo scorso anno. Alcuni vengono assistiti nei programmi dell’Unhcr o dell’Oim. Ma ne risultano svaniti ancora troppi. «Dobbiamo pensare che vengano trasferiti in campi non ufficiali, di cui nessuno conosce il numero», dice Soda. Di recente la Brigata 444 ha fatto irruzione nei centri clandestini di Bani Walid, liberando profughi torturati e stuprati, per ricondurli nel circuito formaleMa la differenza tra strutture legali e illegali in Libia spesso è solo burocratica. E talvolta il percorso è inverso. Scrive Amnesty: «A migliaia sono sottoposti a sparizione forzata, dopo essere stati trasferiti in luoghi di detenzione non ufficiali, compresa la ‘Fabbrica del Tabacco’ di Tripoli, sotto il comando di una milizia affiliata al Gna (il governo nazionale). Di loro non s’è saputo più nulla». 

Già dai rapporti Onu del 2018 era noto come profughi e migranti fossero catturati, seviziati e ricattati da gang spesso «parastatali», nelle quali confluivano banditi e funzionari governativi. Già da allora la famosa guardia costiera libica veniva definita alla stregua di una confraternita di pirati. A settembre dell’anno scorso l’Unhcr ha rilasciato una nota formale in cui si rigetta la nozione della Libia come posto sicuro di sbarco e «si invitano gli Stati a trattenersi dal rimandare in Libia qualsiasi persona salvata in mare». Nella mappa dei luoghi più mortali per i migranti in Africa, subito dopo il deserto tra Niger e Libia c’è la costa libica, con Bani Walid, Sabratha, Zuwara e TripoliE, appena venerdì scorso, l’Alto commissario Filippo Grandi è tornato a sollecitare «la fine delle detenzioni abusive», auspicando che «la nuova amministrazione libica dia segnali più forti di voler bloccare lo sfruttamento di migranti e rifugiati» (non va certo in questo senso la recente scarcerazione e promozione a maggiore della guardia costiera del trafficante Bija)”., conclude Bianconi

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Lavoro sporco

Come riconosciuto dalle istituzioni internazionali ed europee, comprese le Nazioni Unite e la Commissione europea, la Libia non può in alcun modo essere considerata un luogo sicuro dove far sbarcare le persone soccorse in mare: sia perché è un Paese instabile, dove non possono essere garantiti i diritti fondamentali, sia perché migranti e rifugiati sono sistematicamente esposti al rischio di sfruttamento, violenza e tortura e altre gravi e ben documentate violazioni dei diritti umani. Eppure, continua ad aumentare il contributo italiano ed europeo alla Guardia costiera libica, che negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila persone, 12 mila solo nel 2020. 

Tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare. Persino le recenti modifiche della normativa in materia di immigrazione non hanno di fatto eliminato il principio di criminalizzazione dei soccorsi in mare, che era stato introdotto dal secondo Decreto Sicurezza. 

Nel corso del 2020, l’Italia ha bloccato inoltre sei navi umanitarie con fermi amministrativi basati su accuse pretestuose, lasciando il Mediterraneo privo di assetti di ricerca e soccorso e ignorando, allo stesso tempo, le segnalazioni di imbarcazioni in pericolo. Contribuendo così alle 780 morti e al respingimento di circa 12.000 persone, documentate durante il corso dell’anno dall’OIm

Scrive Duccio Facchini su altraeconomia :”L’Italia continua senza sosta ad assistere ed equipaggiare la cosiddetta Guardia costiera libica per intercettare le persone nel Mediterraneo e respingerle sulle coste nordafricane. Tra la fine del 2020 e i primi tre mesi del 2021, i soli appalti in capo al Centro navale della Guardia di Finanza sono stati oltre 50 per un valore complessivo di circa sette milioni di euro (da aggiudicare o in via di imminente aggiudicazione).

Uno di questi risale al febbraio 2021 e riguarda la manutenzione straordinaria da parte del nostro Paese di due motovedette cedute a Tripoli “nell’ambito del protocollo di cooperazione Italia-Libia”. Nell’atto autorizzativo del Centro navale datato 8 febbraio e che richiama l’accordo del febbraio 2017 si legge che i lavori di “somma urgenza” -pari a 138.800 euro- dovranno essere svolti in Sicilia in un “ricovero discreto” per “mezzi navali di grandi dimensioni” al fine di “nasconderli alla vista di persone estranee”.

Non solo: l’unico operatore invitato alla procedura negoziata -il cantiere navale “Marina di Riposto Porto dell’Etna”, in provincia di Catania, già impegnato in altre forniture- è stato selezionato anche sulla base dell’”efficacia e discrezione dimostrate in occasione di precedenti analoghe lavorazioni, per evitare di divulgare all’esterno attività di elevata ‘sensibilità istituzionale’”.

Ombre inquietanti 

Le inchieste pubblicate da organi di stampa autorevoli, come la rivista Internazionale e il quotidiano Il Domani,  gettano davvero più che un’ombra oscura su tutto ciò che riguarda il rapporto tra il governo italiano e le milizie libiche che controllano i traffici di petrolio ed esseri umani nel Mediterraneo”. A dirlo all’Adnkronos è Luca Casarini, capo missione di Mediterranea Saving Humans, aggiungendo: “I giornalisti Zach Campbell e Lorenzo D’Agostino hanno investigato e dimostrato per il sito statunitense ‘The Intercept’ come l’accanimento giudiziario e poliziesco contro le ong del soccorso in mare sia stato pianificato negli uffici della superprocura antimafia, la Dna, che ha anche coordinato l’attività in questo senso di cinque Procure siciliane”. “Questa azione coordinata, che aveva come obiettivo ‘togliere di mezzo le Ong’ – prosegue Casarini – ha visto la partecipazione di esponenti, tuttora in servizio, dei servizi segreti, che avevano il compito di ‘costruire le prove’. Inoltre, si descrive, sempre attraverso fonti documentali e circostanziate, che l’Italia ha sempre saputo di collaborare con criminali libici accusati di efferati delitti, per creare un sistema atto a fermare in ogni modo, anche con la morte, persone migranti e profughi in fuga da orrore e violenze. La cosiddetta ‘guardia costiera libica’ e la ‘zona Sar libica’, secondo questa inchiesta, sono pure invenzioni per coprire le gravissime violazioni dei diritti umani”. Per il capomissione di Mediterranea Saving Humans anche il reportage di Sara Creta su Il Domani “documenta con video, registrazioni radio, testimonianze precise, come le catture di migranti in mare che fuggono dai campi di concentramento libici, siano coordinate da aerei europei di Frontex e da Roma”. Da qui l’interrogativo di Casarini. “Di fronte a tutto questo ci sarà in Italia un procuratore, un magistrato, che senta il bisogno di fare piena luce su cos’è stato e cosa è il patto Italia-Libia? Ci sarà pure un magistrato che davanti ad accuse e prove del genere voglia ridare un minimo di giustizia anche a uno solo di quei morti che giacciono in fondo al mare o che è stato ammazzato da quelli che per il governo italiano sono stretti collaboratori in Libia?”.

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“Il Parlamento vorrà istituire una commissione di inchiesta, come già richiesto da alcuni parlamentari, sul patto Italia-Libia – conclude Casarini -? Qui siamo difronte a una situazione paragonabile alle stragi o ai rapporti tra Stato e mafia. Una delle pagine più nere, criminali e vergognose della storia della Repubblica”.

Come dargli torto…

L’appello al Parlamento

In una nota congiunta, Asgi, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch hanno chiesto al Parlamento di istituire una Commissione di inchiesta, che indaghi sul reale impatto dei soldi spesi in Libia e sui naufragi nel Mediterraneo e di presentare un testo che impegni il Governo a:

1) – interrompere l’accordo Italia-Libia, subordinando qualsiasi futuro accordo bilaterale alla transizione politica della crisi libica, nonché alle necessarie riforme del sistema giuridico che eliminino la detenzione arbitraria e prevedano adeguate misure di assistenza e protezione per migranti e rifugiati;

2) – dare l’indirizzo a non rinnovare le missioni militari in Libia, chiedendo la chiusura dei centri di detenzione nel Paese nord-africano;

3) – promuovere, in sede europea, l’approvazione di un piano di evacuazione dalla Libia delle persone più vulnerabili e a rischio di subire violenze, maltrattamenti e gravi abusi;

4) – dare mandato per l’istituzione di una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare;

5) – promuovere, in sede europea, l’approvazione di un meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la successiva redistribuzione delle persone in arrivo sulle coste meridionali europee, sulla base del principio di condivisione delle responsabilità tra stati membri su asilo e immigrazione;

6) – promuovere la revoca dell’area di ricerca e soccorso libica, poiché solo finalizzata all’intercettazione e al respingimento illegale delle persone in Libia;

7) – riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana in mare, mettendo fine alla loro criminalizzazione e liberando le loro navi ancora sotto fermo.

Sette richieste che se raccolte darebbero lustro all’Italia e cancellerebbero, almeno in parte, la vergogna dei finanziamenti ai torturatori libici. Se non ora, quando?!

 

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