Libia, i pescatori a processo. E Roma tratta con Haftar
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Libia, i pescatori a processo. E Roma tratta con Haftar

I parenti dei marittimi da giorni ormai sono accampati davanti a Montecitorio in attesa di ricevere la notizia del rientro dei propri padri e mariti

Haftar e Conte
Haftar e Conte
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Ottobre 2020 - 16.12


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A quasi due mesi del sequestro, continua la protesta dei familiari dei pescatori bloccati in Libia. I parenti dei marittimi da giorni ormai sono accampati davanti a Montecitorio in attesa di ricevere la notizia del rientro dei propri padri e mariti: “Nonostante le rassicurazioni del ministro  Di Maio – spiega una delle mogli intervistate da  Quarta Repubblica – resteremo ancora qui fino a quando non torneranno”.

Inizia il processo

Il processo è iniziato oggi a Bengasi. I 18 pescatori sequestrati 50 giorni fa dalla marineria libica sono accusati di  sconfinamento e pesca abusiva in acque libiche. “I pescatori italiani saranno sottoposti a un procedimento da parte della Procura generale competente e saranno giudicati secondo la legge libica” ha detto, in un’intervista a Quarta Repubblica, Khaled al-Mahjoub, portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar.

Le due imbarcazioni appartenenti alla marineria mazarese, Medinea e Antartide, si trovavano nelle acque internazionali ma, secondo le autorità libiche, avrebbero invece sconfinato in una zona che la Libia ritiene di sua esclusiva pertinenza. Dal 1973 la Libia ha dichiarato il Golfo della Sirte una baia storica di sua esclusiva pertinenza. Il Golfo della Sirte ha un’estensione di 300 miglia. Di fattoalle 12 miglia dalla costa delle acque territoriali, se ne aggiungono altre 62fino a comprendere buona parte del Mediterraneo. Nessuna legge internazionale riconosce questi diritti della Libia, ma lo stato sub-sahariano utilizza questo riconoscimento unilaterale come strumento di pressione e di minaccia nei confronti degli altri paesi del Mediterraneo. Ma è l’Italia, con le marinerie di Mazara del Vallo e, in parte, di Licata a subire il peso maggiore.

Il Golfo della Sirte è anche la zona più pescosa e il progressivo spopolamento dei mari costringe i pescatori a spingersi più al largo e a rischiare di più, pur rimanendo nei confini della legalità., Nell’Angelus dominicale, papa Francesco ha fatto sentire la sua voce. “Desidero rivolgere una parola di incoraggiamento e sostegno ai pescatori fermati da più di un mese in Libia e ai loro familiari. Affidandosi a Maria, Stella del mare mantengano viva la speranza di poter riabbracciare presto i loro cari. Prego anche per i diversi colloqui in corso a livello internazionale, affinché siano rilevanti per il futuro della LibiaÈ giunta l’ora di fermare ogni forma di ostilità favorendo il dialogo che porti alla pace, alla stabilità ed all’unità del paese. Preghiamo per i pescatori e per la Libia, in silenzio”.

La vicenda è stata al centro del question time di giovedì scorso alla CameraIl ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha risposto alle domande dei parlamentari, alcune fortemente polemiche. Qualcuno ha ricordato i rapporti costruiti da Berlusconi con Gheddafi che aveva dato maggiore stabilità al Mediterraneo. Di Maio, piccato, ha replicato: “Se sono l’ennesimo ministro degli Esteri che si sta occupando della Libia è perché qualche governo l’ha bombardata, e non è questo governo. Credo che la destabilizzazione della Libia sia stata uno dei più grandi errori che questo Paese abbia mai fatto, soprattutto perché il giorno prima chiamava Gheddafi e il giorno dopo permetteva il bombardamento di Gheddafi”.

Il titolare della Farnesina ha anche rassicurato sul fatto che la diplomazia sta lavorando sia nei rapporti diretti con la Libia, sia attraverso le interlocuzioni con altri paesi, ma ha mantenuto una ovvia riservatezza sullo stato delle eventuali trattative.

Intantoa Mazara, la situazione resta tesa. “Seguiamo costantemente la vicenda e chiediamo il massimo impegno delle istituzioni – spiega il presidente del Distretto della Pesca e Crescita Blu, Nino Carlino – La Libia ha creato una Zona Economica Esclusiva non riconosciuta: un problema finora mai risolto”. Carlino ha preso il posto di Giovanni Tumbiolo, storico presidente morto nel giugno dello scorso anno e che a lungo aveva guidato il Distretto.

“Noi siamo in contatto costante con l’Ambasciata, sappiamo che c’è un’attività diplomatica in corso – dice il sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci – nella città c’è un clima di sconforto, di preoccupazione, che rendono questi giorni di attesa insopportabili. Alcuni familiari stanno manifestando a Roma, nella delegazione ci sono anche due ragazze tunisine. Io mi sono recato a Roma per incontrarli, una tv locale ha organizzato un collegamento con loro. Non li lasciamo soli. Cerchiamo di essere da supporto alle famiglie, insieme alla regione abbiamo deciso di stanziare un contributo economico per le famiglie, anche con il sostegno dei sindacati”.

Ricatti e depistaggi

Quella dei pescatori sequestrati è una storia di ricatti, ripicche e depistaggi raccontata, con la consueta perizia documentale, da Nello Scavo su Avvenire: “L’Italia, a quanto risulta da varie fonti, ha cercato di riportare il generale a più miti consigli coinvolgendo il triumvirato che ha sostenuto Haftar in questi anni: Russia, Egitto ed Emirati Arabi. Negli ultimi mesi, però, proprio questi Paesi hanno mostrato insofferenza nei confronti del ‘maresciallo’, incapace di completare l’assedio su Tripoli e mostratosi più volte sordo ai consigli dei suoi foraggiatori. ‘Unica opzione praticabile – suggerisce una fonte diplomatica – sarebbe coinvolgere la Francia, cui Haftar deve molto, compreso l’avergli salvato la vita quando era stato colpito da un grave ictus’. E anche in questo caso Roma dovrebbe pagare un prezzo altissimo – rimarca Scavo-. Oltre alle annose partite per l’assegnazione delle esplorazioni petrolifere e lo sfruttamento dei giacimenti, che in Cirenaica hanno visto le società francesi surclassare quelle italiane, Khalifa Haftar ha l’occasione per una ripicca. Un anno fa Federpesca stipulò un accordo con i fedelissimi del generale. La trattativa venne a lungo tenuta riservata; si trattava di un accordo privato, di durata quinquennale ‘tra Federpesca e la Libyan Investment Authority’, si leggeva in una delle scarne comunicazioni ufficiali. Il patto era più simile a un dazio mafioso. Veniva consentito a una flottiglia di 10 motopesca di gettare le reti nelle acque reclamate dai libici, in cambio di una ‘tassa’ da diecimila euro al mese per peschereccio e a 1,5 euro per ogni chilo di pescato, pesato però a Malta. In cambio, gli armatori siciliani avrebbero potuto rifornirsi di carburante in Libia, a un prezzo più basso così da compensare il ‘pizzo’ mensile. Ogni passaggio di denaro sarebbe dovuto avvenire attraverso società di intermediazione maltese che avrebbero incassato il denaro per conto di Haftar. Dopo i primi viaggi dei pescherecci siciliani la protesta del governo di Tripoli, riconosciuto dall’Italia che invece disconosce le autorità di Bengasi, costrinse Roma a far retrocedere Federpesca dall’intesa. Oggi Haftar ha l’occasione per la rivincita su Roma. Sul piatto c’è anche l’operazione navale internazionale Irini, a guida italiana, che nelle ultime settimane più volte ha ostacolato la consegna di armi da guerra alle milizie della Cirenaica. A pagare il prezzo sono i 18 marittimi e le loro famiglie, che da giorni non riescono neanche ad avere contatti telefonici con la prigione in cui sono rinchiusi”.

Scrive Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera che la Libia conosce come le sue tasche: “Haftar replica a muso duro. Si rilancia come garante della sovranità libica. E guadagna facili consensi tra la sua gente pretendendo (anche se ancora non c’è alcun passo formale) che l’Italia rilasci 4 giovani calciatori libici, condannati nel 2016 a 30 anni di carcere con l’accusa di lavorare per gli scafisti e di aver causato l’annegamento di 48 migranti. L’opinione pubblica libica li considera però vittime innocenti del risentimento dei migranti…Non è affatto un caso che Haftar abbia mandato i suoi guardiacoste a bloccare gli italiani soltanto poche ore dopo l’incontro tra Luigi Di Maio e Aguila Saleh. Era la prima volta che un ministro degli Esteri italiano andava a parlare con il presidente della Camera dei Rappresentanti a Tobruk (di fatto il parlamento della Cirenaica) ignorando Haftar. Presto Saleh potrebbe diventare capo del prossimo governo unificato. Così, l’odissea dei marinai s’ingolfa nei meandri della politica interna libica. Un puzzle levantino, davvero complicato”.

Doppiogioco

Sullo scenario libico, confidano fonti diplomatiche, l’Italia ha sottovalutato l’importanza di stabilire un rapporto forte con i paesi del Golfo, relegati in un ruolo di secondo piano nella fallimentare Conferenza di Palermo del novembre scorso. Non scegliere in politica è un errore esiziale. In politica estera ancor di più. Il verbo “includere”, abusato da Conte e da Di Maio , non regge quando si è chiamati, costretti, a scegliere. In Libia non si può essere con al-Sisi e con Erdogan, e quando era chiaro a tutti, meno che a Roma forse, che al-Sarraj non aveva lo spessore politico, e soprattutto i fondamentali legami con le tribù che più contano nella stessa Tripolitania, Roma, confidano a Globalist fonti diplomatiche addentro al dossier libico, avrebbe dovuto lavorare per cercare un’alternativa più credibile tra le forze (Misurata) che ancora sostengono il Gna. Oggi, col “cerchiobottismo” elevato ad azione diplomatica, l’Italia rischia di essere messa definitivamente ai margini degli eventi che segneranno il futuro della Libia. E dei 18 pescatori a processo.

 

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