Riconoscimento politico più soldi: la trattativa segreta per liberare i pescatori nelle mani di Haftar
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Riconoscimento politico più soldi: la trattativa segreta per liberare i pescatori nelle mani di Haftar

Lo fanno sapere fonti libiche sul caso degli equipaggi dei due pescherecci italiani sequestrati in Libia lo scorso primo settembre.

Khalifa Haftar
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30 Settembre 2020 - 15.43


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Una liberazione “ a costo zero” è da escludere. L’unica “certezza è che il generale Khalifa Haftar non libererà nessuno fin quando non verranno consegnati i quattro” giovani libici partiti cinque anni fa da Bengasi e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti. Lo fanno sapere fonti libiche sul caso degli equipaggi dei due pescherecci italiani sequestrati in Libia lo scorso primo settembre. C’è poca chiarezza sul loro caso, dicono. “Si sta pensando di far avocare le indagini alla Procura militare”, affermano le fonti dopo le notizie delle ultime ore. L’offerta è chiaramente irricevibile, ma è altrettanto chiaro che lo stallo sulla sorte degli italiani diventa un peso per il governo. Dimostrazione di poca influenza in Libia, di scarsa capacità di far leva, legata pure all’inaffidabilità di Haftar, per troppo tempo considerato un attore con cui dialogare. 

Altre fonti contattate da Aki – Adnkronos International ricordano come in passato “ci siano voluti mesi” per risolvere casi analoghi in Libia, dal momento che le autorità libiche “considerano quelle acque zone di interesse economico esclusivo libico” e non tollerano “violazioni dei propri diritti economici sulle proprie acque”.

Vicolo cieco

Che l’Italia possa liberare quattro criminali condannati per la “strage di Ferragosto” è fuori discussione. E allora? Le bocche sono cucite, a Palazzo Chigi come alla Farnesina, alla Difesa come al Viminale, tuttavia a forza di insistere qualcosa trapela. E Globalist ha raccolto queste voci. Il presidente del Consiglio e il titolare della Farnesina hanno investito della vicenda i Paesi che più sostengono il generale Haftar: Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, chiedendo loro di premere sul loro “protetto” per arrivare alla liberazione dei nostri connazionali. Qualcosa si è mosso, dicono a Globalist fonti autorevoli, i nostri servizi sono impegnati h24, ma “qualcosa bisognerà concedere ad Haftar”. Un riconoscimento politico, ad esempio, del ruolo importante che il generale di Bengasi ha nel processo di stabilizzazione della Libia. Su questo, Roma non ha problemi. Ma da solo quel riconoscimento non può bastare. Ecco allora spuntare la pista dei soldi, di un riscatto da pagare per la liberazione degli ostaggi.  D’altro canto, fa notare la fonte, in altre circostanze l’Italia si è comportata così per ottenere la liberazione di nostri connazionali. Ufficialmente questi pagamenti sono sempre stati negati, ma ci sono stati, questo è sicuro. E l’elenco è molto lungo e abbraccia tutte le aree più calde del pianeta: Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia, Libia, Kenia…

Incontro-lampo

Nel frattempo, un incontro che sarebbe durato una ventina di minuti, non di più, quello avvenuto ieri a Palazzo Chigi fra il premier Giuseppe Conte e la delegazione mazarese composta dagli armatori Leonardo Gancitano e Marco Marrone, e dai familiari dei diciotto pescatori che da quasi un mese si troverebbero in carcere a El Kuefia, a 15 km a sud est di Bengasi; i due motopesca sequestrati si trovano invece nel porto della stessa capitale Cirenaica. Nel corso dell’incontro, alla presenza del Ministro Luigi Di Maio, Giuseppe Conte avrebbe rassicurato le famiglie dei pescatori, mazaresi e tunisine ammettendo però che la trattativa seppur in corso, e con il massimo impegno, presenta delle difficoltà; Conte e Di Maio avrebbero anche rassicurato i presenti sulle buone condizioni dei marittimi. Passeremo qui le notti davanti Montecitorio e i familiari rimarranno incatenati finché non verranno rilasciati i nostri pescatori ed i pescherecci. Il tempo delle chiacchiere, del buon senso, del profilo basso è ormai finito. Ci fermeremo solo se arrivano risultati positivi”. Chissà che queste parole pronunciate da Leonardo Gancitano e Marco Marrone, armatori dei due motopesca “Antartide” e “Medinea” sequestrati a Bengasi dallo scorso primo settembre, e l’innalzamento dell’attenzione dei media nazionale sulla vicenda abbiano convinto Conte e Di Maio ad incontrare la delegazione mazarese che probabilmente si sarebbe aspettata qualcosa di più concreto dallo stesso incontro.

Dei pescatori da giorni non si hanno notizie, nell’ultimo contatto telefonico, avvenuto una decina di giorni fa, Pietro Marrone, comandante del “Medinea” chiese, a nome dei suoi compagni di sventura, di fare il possibile per liberarli annunciando la volontà dei libici di accusarli di traffico di droga; puntualmente dopo qualche giorno circolarono delle foto con degli involucri con della presunta davanti ai motopesca ormeggiati rimasti incustoditi dalla mattina del 2 settembre. Dopo quella straziante telefonata, ripresa in diretta da una tv nazionale, i due armatori ed un gruppo di familiari dei pescatori, sia mazaresi che tunisini, decisero di partire a Roma. In piazza Montecitorio, davanti al Parlamento hanno esposto degli striscioni con la richiesta di far liberare i marittimi. In questi giorni hanno incontrato diversi esponenti politici, gran parte dell’opposizione, chiedendo a gran voce un incontro con il Premier Conte e con il Ministro Di Maio fino alla decisione di incatenarsi e di passare la notte all’addiaccio a piazza Montecitorio.

Armi ad Haftar

Haftar ricatta l’Italia, forte del sostegno militare degli Emirati Arabi Uniti.  Secondo un rapporto riservato delle Nazioni Unite, nel 2020 gli Emirati Arabi Uniti avrebbero aumentato il loro rifornimento di armi al maresciallo libico Khalifa Haftar, che è a capo delle milizie legate al governo della Libia orientale. A riportare la notizia è il Wall Street Journal, che scrive che gli Emirati Arabi Uniti avrebbero rifornito di armi Haftar, violando gli embarghi internazionali, per ostacolare l’influenza della Turchia nell’area. Tra gennaio e aprile di quest’anno l’aeronautica militare degli Emirati avrebbe inviato circa 150 forniture di munizioni e di sistemi di difesa. Decine di voli di rifornimento, tramite un aereo da trasporto militare C-17 di fabbricazione statunitense, sono continuati durante l’estate, anche dopo le sconfitte di Haftar durante l’offensiva contro Tripoli. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero utilizzato anche navi per rifornire di carburante l’aviazione militare sotto il controllo di Haftar.

“Khalifa Haftar –spiega Francesco Bussoletti su Difesa&Sicurezza – non vuole che estranei vadano nel sud della Libia. Mentre a Bouznika è in corso il secondo round di colloqui Alto Consiglio di Stato (HCS)-Camera dei Rappresentanti (HoR), il Generale ha inviato a sorpresa assetti dell’Lna (l’autoproclamato Esercito nazionale libico, ndr) all’aeroporto di Sabha per bloccarlo. Ciò dopo che lo scalo aereo era stato riaperto solo pochi giorni fa. Il comandante delle truppe di Bengasi ha ordinato la sospensione di tutti i voli senza fornire motivazioni. Gli analisti ritengono, però, che l’uomo forte della Cirenaica voglia tenere Fayez Sarraj e il Gna (il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, ndr) lontano dal Fezzan, per due motivi: innanzitutto per evitare che il “nemico” fornisca aiuti e supporto alla minoranza dei Tebu, i quali potrebbero rivoltarsi nuovamente contro di lui, sfruttando rinforzi e rifornimenti. Inoltre, teme che si cominci a concentrare troppo l’attenzione sulla regione, ricca di risorse energetiche e minerali non ancora esplorate, su cui Haftar vuole mantenere il grip a ogni costo”.

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