I pescatori sequestrati da Haftar dimostrano che i libici si sono presi il Mediterraneo. Con i nostri soldi
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I pescatori sequestrati da Haftar dimostrano che i libici si sono presi il Mediterraneo. Con i nostri soldi

Stanno marcendo in prigione. Dimenticati da Palazzo Chigi e dalla Farnesina. Ostaggi di un signore della guerra che per liberarli chiede uno scambio con quattro trafficanti di esseri umani spacciati per “calciatori”.

Khalifa Haftar
Khalifa Haftar
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Settembre 2020 - 14.25


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Stanno marcendo nelle prigioni di Haftar. Dimenticati da Palazzo Chigi e dalla Farnesina. Ostaggi di un signore della guerra che per liberarli chiede uno scambio con quattro trafficanti di esseri umani spacciati per “calciatori”. Secondo quanto riportato dal generale Mohamed al Wershafani dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) all’agenzia Nova, i pescatori verranno processati da un tribunale militare di Bengasi nel mese di ottobre. Al Wershafani ha precisato che l’accusa è di ingresso e pesca in acque libiche senza previa autorizzazione. Nei giorni scorsi sono comparse su alcune testate online libiche foto di panetti di droga rinvenuti, secondo questi ultimi, sui pescherecci italiani Antartide e Medinea. Cosa questa definita inventata dagli armatori e dai familiari dei marittimi. Infatti non figura, per ora, l’accusa relativa al sospetto traffico di sostanze stupefacenti.

Ostaggi

La scorsa settimana, fonti della Procura di Bengasi avevano riferito sempre ad Agenzia Nova che i pescatori italiani fermati dalle autorità dell’est della Libia si trovavano ancora “agli arresti domiciliari e non sono stati trasferiti in carcere, in attesa della formulazione dei capi di accusa e la definizione del procedimento penale”.

“Dopo 26 giorni non abbiamo ancora alcuna notizia sul rilascio dei due motopescherecci di Mazara del Vallo, sequestrati dalle autorità libiche il primo settembre. Non è assolutamente tollerabile questo silenzio da parte del ministero degli Esteri”. Lo scrive, in una nota, il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci. «Lo sapevate che 18 pescatori di Mazara del Vallo sono tenuti in ostaggio da oltre 27 giorni? Sapevatelo e dicetelo al governo. #Pescatoriliberi». Lo scrivono su Twitter Ficarra e Picone

“Dove sono il signor Conte e il signor Di Maio, se fossero stati i loro figli si sarebbero mossi più velocemente ma noi siamo da una settimana qui a chiedere un intervento che non sia quello di un portavoce”. A lanciare l’appello questa sera 28 settembre, alla trasmissione Mediaset di Nicola Porro a Quarta Repubblica, è la signora Rosa uno dei familiari dei pescatori dal primo settembre rinchiusi nel carcere libico di El Quefia.

“Ci siamo resi conto che con quel pezzo di Libia hanno rapporti solo Turchia e Francia. E quindi abbiamo pensato che forse è meglio rivolgerci a Macron, anziché a Conte.”, è l’amara considerazione dice Leonardo Gancitano, l’armatore dell’Antartide, una delle due motopesca sequestrate dai libici.

“Nessuno di noi è estraneo, siamo fratelli anche se non di sangue – rilancia  il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero – importante è che i pescatori sentano che qui c’è una città, che c’è una chiesa che sta sposando pienamente la loro causa, siamo con loro, con la nostra presenza silenziosa, raccolta, vogliamo che questa trattativa che è complessa e difficile vada presto a buon fine”.

Trattativa “segreta”

Un tweet del Libyan Addres Journal conferma ciò che da giorni si dice a Mazara del Vallo, a proposito della vicenda del sequestro in Libia di 18 pescatori, Il tweet rende ufficiale ciò che anche le autorità italiane ritenevano ufficioso e qualcuno anche infondato: l’esistenza di una trattativa dietro quella ufficiale, rimasta ferma però al palo. I miliziani di Haftar hanno ribadito infatti alla testata giornalistica libico che i pescatori “ (da quattro settimane  a Bengasi) saranno liberati, se prima non vi sarà da parte dell’Italia il rilascio di quattro «calciatori» libici oggi in carcere in Italia. Uno scambio di prigionieri insomma. E la trattativa nascosta è diventata così quella ufficiale. I libici indicati come “calciatori” sono in realtà quattro scafisti, condannati a Catania a 30 anni per traffico di esseri umani e per la morte in mare di 49 migranti, fatto risalente all’estate 2015. Una richiesta che mette a pari la storia di 18 persone che erano in mare per lavoro e quella di 4 soggetti che in mare andavano per guadagnare sulla pelle di 49 migranti, tutti morti affogati davanti alla costa orientale siciliana. Sottolinea il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro: “Altro che giovani calciatori. Non furono condannati solo perché al comando dell’imbarcazione, ma anche per omicidio. Avendo causato la morte di quanti trasportavano, 49 migranti tenuti in stiva. Lasciati morire in maniera spietataSprangando il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati”. Per questo il procuratore Zuccaro considera l’eventualità di «uno scambio di ostaggi» una enormità giuridica:Non penso che verremo interpellati, ma da operatori del diritto saremmo assolutamente contrari. Sarebbe una cosa ripugnante.

Acque contese

Scrive Alessandro Puglia, in un documentato report su Vita: “Un mare dove nessuno deve vedere, scomodo, in cui ciò che è lecito viene stabilito di volta in volta, senza testimoni. Un mare dove se cali la tua rete da pesca devi stare attento perché puoi essere sequestrato, minacciato con le armi e magari rinchiuso in uno dei tanti lager dove ogni giorno centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini vengono torturati. No, questo non è un mare lontano. É il nostro mare, il Mediterraneo Ma cos’è accaduto da quando uno stato diviso in più fazioni e in guerra come la Libia ha istituito la sua zona Sar che per i non addetti ai lavori significa letteralmente “ricerca e soccorso in mare”? E cosa c’entra il Golfo di Sirte? Beatrice Gornati, dottore di ricerca in diritto internazionale all’Università degli studi di Milano esperta in traffico di migranti nel Mediterraneo spiega: Bisogna tenere presente che nel 1973 la Libia dichiarò che il Golfo di Sirte fosse parte delle sue acque interne: il Golfo fu annesso attraverso una linea di circa 300 miglia, lungo il 32°30’ parallelo di latitudine nord. Tuttavia, tale rivendicazione fu respinta da un gran numero di Stati, inclusi i principali membri dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito). A seguito di questo episodio, nel febbraio 2005, la Libia stabilì inoltre, tramite una decisione del Libyan General People’s Committee, una zona di protezione della pesca, nel rispetto della General People’s Committee Decision No. 37 del 2005. Anche in questo caso, la delimitazione stabilita dalla Libia incontrò le proteste di diversi Stati e della Presidenza dell’Unione europea: considerando infatti che la Libia aveva rivendicato il Golfo di Sirte quale parte delle sue acque interne, le 62 miglia di zona di pesca da essa reclamate sarebbero state contate a partire dalle 12 miglia dalla linea di chiusura del golfo. Peraltro, nel 2009, la Libia dichiarò una ZEE (zona economica esclusiva) ‘adjacent to and extending as far beyond its territorial waters as permitted under international law’ ,il cui limite esterno, ad oggi, non è ancora stato tracciato.  il 28 giugno 2018 lImo (Organizzazione Marittima internazionale) ufficializza quello che in passato appariva come un’utopia e registra su comunicazione delle autorità libiche la zona Sar (Search and Rescue) libica con un proprio centro di coordinamento di soccorsi (JRCC). Registrandosi sul sito è possibile consultare alcuni dati, visionare la mappa e conoscere altitudine e longitudine dell’area in questione. Muniti di carta nautica, abbiamo calcolato queste distanze. Dalla costa di Tripoli alla linea rossa di confine le miglia sono circa 116,25. É chiaro quindi perché i pescatori siciliani hanno tutto il diritto di dire oggi che da un anno a questa parte i libici ‘si sono presi mezzo Mar Mediterraneo’. Il capitano Raimondo Sudano (uno dei rappresentanti dei marinai di Mazara del Vallo, ndr) aggiunge: ‘E questo avviene anche grazie all’Italia che dà alla guardia costiera libica i mezzi di sostentamento per fare la Guerra a noi italiani che andiamo a lavorare onestamente. I libici si sono ora fatti anche furbi, oltre che con le motovedette vengono a fare gli abbordaggi in mare con le barche da pesca e subito dopo arrivano i loro gommoni e non hai neanche il tempo di chiamare le autorità italiane che vieni sequestrato con tutto il pescato e trattato come un terrorista”.

“La paura di tornare in mare è tanta  – rimarca ancora Puglia -e si sovrappone a quel senso di abbandono da parte dello Stato che non tutela i suoi pescatori. Scrive l’esperto Fabio Caffio che, pur ricordando l’impegno passato della nostra Marina nello Stretto di Sicilia e nell’Adriatico dall’aggressività jugoslava, rimarca: ‘Diverso invece l’impegno della Marina nella zona di acque internazionali ove ricade la ZPP libica: non risulta infatti che la Forza Armata abbia ricevuto alcuna direttiva di proteggere da vicino ed in modo continuativo l’attività di pesca dei connazionali contrastando la pretesa libica”

Il reportage è del 24 maggio 2019. Il titolo era: “La denuncia dei pescatori siciliani: ‘così i libici si sono presi il Mediterraneo’”.

E’ trascorso più di un anno. E quel titolo è drammaticamente attuale. E ciò che rende ancora più intollerabile la situazione, è che i libici “si sono presi il Mediterraneo” anche grazie ai finanziamenti italiani alla cosiddetta Guardia costiera libica e al fatto che, per “paura” di dover salvare migranti, le navi della nostra Marina militare non possono avventurarsi in mare aperto. Quel mare che da tempo non è più “nostrum”.

 

 

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