L'Egitto continua a prenderci in giro su Regeni: caro Zingaretti, che vogliamo fare?
Top

L'Egitto continua a prenderci in giro su Regeni: caro Zingaretti, che vogliamo fare?

Il segretario del Pd aveva fissato al 1 luglio la data per capire le reali intenzioni di Al-Sisi nell'assicurare verità e giustizia per la morte del ricercatore italiano. Ma siamo al 17...

Verità per Giulio Regeni
Verità per Giulio Regeni
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Luglio 2020 - 10.38


ATF

Ed ora, caro segretario del Pd? Ora che il fatidico 1 luglio è abbondantemente passato e le autorità egiziane continuano a prenderci in giro sul caso Regeni? Ora, caro Nicola Zingaretti, come la mettiamo. Il segretario dem non difetta di memoria e, ci auguriamo, di coerenza. E ricorda certamente la lettera che scrisse, neanche un mese fa, al direttore di Repubblica Maurizio Molinari. Nel caso l’avesse smarrita, quella lettera, Globalist la ripubblica.

Ed ora?

Caro direttore – scrive Zingaretti – la notizia di un incontro tra la procura di Roma e i magistrati della procura generale de Il Cairo fissata per il 1 luglio è di grande rilevanza. Conferma quanto il mantenimento di rapporti con l’Egitto sia utile per proseguire la ricerca della verità sul caso di Giulio Regeni. Nell’occasione dell’incontro però sarà di fondamentale importanza, tra le altre cose, ricevere dalle autorità egiziane il domicilio legale di coloro che la procura di Roma ha indagato dal dicembre 2018 per essere coinvolti nel sequestro e omicidio di Regeni. Non è un fatto tecnico”. 

Secondo il segretario del Pd “nell’occasione dell’incontro però sarà di fondamentale importanza, tra le altre cose, ricevere dalle autorità egiziane il domicilio legale di coloro che la Procura di Roma ha indagato dal dicembre 2018 per essere coinvolti nel sequestro e omicidio di Regeni. Non è un fatto tecnico. In uno stato di diritto quale è l’Italia l’avvio di un processo è legato alla possibilità degli imputati di difendersi e quindi in primo luogo di essere avvertiti”.

Nella lettera Zingaretti sottolinea che il Partito democratico “non ha mai legato la vicenda delle fregate italiane alla Marina egiziana all’idea di un possibile osceno scambio tra vendita di armi e diritti umani, e bene ha fatto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a dare immediata disponibilità a riferire alla Commissione parlamentare d’inchiesta”. Zingaretti ha aggiunto: “Per questo ora il governo italiano deve essere coerente con l’affermata volontà di proseguire nella battaglia per la ricerca della verità. È di fondamentale importanza dunque che il governo con le figure preposte ai massimi livelli compia già dalle prossime ore, tutti i passi dovuti per ottenere dall’Egitto le condizioni elementari per avviare il processo e la possibilità di fare ulteriori passi in avanti nei rapporti bilaterali. Questo impegno è un atto dovuto e importante nei confronti di Giulio Regeni, della sua famiglia ma anche per la credibilità dell’Italia”.

Bene, anzi male. Perché quello che, nella visione di Zingaretti, doveva essere un passaggio cruciale nel determinare le future mosse del Governo italiano verso l’Egitto, si è concluso nel peggiore dei modi. Sì perché, in questa occasione, i magistrati al servizio del “faraone” al-Sisi, non si sono limitati alla solita melina fatta di promesse di collaborazione, puntualmente mai mantenute, ma si sono spinti fino al punto di pretendere di sapere “cosa facesse Regeni in Egitto”.

Ed ora, caro segretario dem? Sia chiaro: l’intenzione insita in quella lettera, era nobile., ma destinata al fallimento. Perché non c’è nulla, ma proprio nulla, che possa far sì che l’uomo del Cairo conceda all’Italia di poter processare coloro che la procura di Roma ha indagato come coinvolti nel sequestro e nell’omicidio di Giulio Regeni. Perché coloro che andrebbero alla sbarra fanno parte di quel sistema repressivo, funzionante h24, che è uno dei pilastri su cui si poggia il regime autocratico di al-Sisi.

Come documentato da Globalist, nello Stato di polizia di al-Sisi si contano, in difetto, oltre 43mila desaparecidos, molti di più di quanti sono scomparsi ai tempi, nefasti, in cui a comandare in Argentina erano i generali. Chiedere al capo dei carnefici di Stato di scaricare alcuni dei suoi esecutori, è una mera illusione. Peggio, un espediente per salvarsi la coscienza.

Zingaretti, come Conte e Di Maio, esprime l’idea che se sei sul campo puoi pesare di più, condizionare l’azione di regimi come quelli egiziano e turco. Che presidenti autocrati come sono al-Sisi ed Erdogan si lascino condizionare dall’Italia, è una tesi alquanto ardita, per usare un eufemismo. In realtà, e la guerra in Libia ne è un clamoroso attestato, egiziani e turchi, schierati su fronti opposti, dell’Italia se ne fregano, scusate il francesismo, altamente.

Pd spaccato

Lo sblocco delle commesse militari, però, riapre vecchie ferite dolenti. È partita sui social la campagna StopArmiEgitto, su iniziativa di Rete italiana per il disarmo, Amnesty International e Rete della pace. E non ci sono soltanto i mal di pancia grillini o la sofferenza di Roberto Speranza. Si è spaccato anche il Pd.

La deputata dem Barbara Pollastrini esprime “profonda amarezza” e considera la cessione delle due imbarcazioni come “una ferita”: “Patrick Zaki – ricorda – è ancora detenuto nelle carceri e così tanti oppositori al dittatore. Da quattro anni al Sisi boicotta le indagini sull’omicidio di Giulio Regeni. Promesse e impegni delle istituzioni sembrano scritte sulla sabbia. Non possiamo tacere”.

Lia Quartapelle, capogruppo del Pd in commissione Esteri alla Camera da sempre avversaria all’operazione, ha avvisato: “La vendita delle due fregate porta con sè grossi rischi. Non solo gli sforzi internazionali dovrebbero andare verso la de-escalation militare nella regione, ma l’Egitto non è un nostro alleato: nel Mediterraneo abbiamo interessi diversi, con gli egiziani che fanno parte di un’asse regionale reazionaria e che in Libia sostengono il governo di Haftar, mentre l’Italia quello internazionalmente riconosciuto di Sarraj”.

A questo quadro, afferma ancora, “si aggiunge la mancanza di collaborazione da parte egiziana sia sulla vicenda di Giulio Regeni che quella di Patrick Zaki, a testimonianza di una scarsa attenzione verso le richieste italiane. E’ quindi sia una questione di interesse nazionale che di prestigio della nostra nazione: per farci rispettare ed avere giustizia, avremmo dovuto dire di no”.

“Voglio esprimere la mia profonda contrarietà alla vendita di armi da guerra all’Egitto, un Paese retto da un governo che ostacola la ricerca della verità sull’omicidio Regeni e che da quattro mesi trattiene in prigione Patrick Zaki“, le fa eco  Laura Boldrini, già presidente della Camera e oggi deputata del Partito democratico. E sulla stessa lunghezza d’onda sono Gianni Cuperlo e Matteo Orfini. Di contro il capogruppo in commissione Difesa al Senato, Vito Vattuone, ha detto che non “può venir meno la cooperazione con un Paese importante in un’area strategica tra nord Africa e Vicino Oriente”.

Diversa l’opinione di Alberto Pagani, deputato del Pd e membro della Commissione Difesa, e di Carmelo Miceli, deputato Pd e responsabile della Sicurezza nella segreteria nazionale: “La decisione del governo italiano di autorizzare (come prevede la normativa vigente) la cessione all’Egitto delle due fregate Fremm richieste, che erano destinate alla Marina Militare Italiana, è ragionevole e politicamente opportuna – scrivono in un intervento – Legare le decisioni su un tema di questa portata solamente alla giusta insoddisfazione per l’inconcludenza delle indagini sul caso Regeni sarebbe l’espressione di una visione politica angusta, che non offrirebbe certo più opportunità alla ricerca della verità e della giustizia a cui tutti miriamo”.

Nella compagine governativa dem, decisamente a favore della vendita, a quanto consta a Globalist, si sono mostrati il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il titolare della Difesa, Lorenzo Guerini.

A preoccupare, inoltre, è l’inerzia del Governo italiano, e dei partiti che lo sostengono e ne fanno, parte sulla vicenda che riguarda Patrick Zaky, sbattuto da febbrio in un carcere di massima sicrezza egiziano, senza una data per il processo, con la crudele reiterazione della detenzione “preventiva”.

Ha scritto Carlo Verdelli sul Corriere della Sera:Patrick è asmatico: un’infezione polmonare, già debilitato com’è, gli sarebbe fatale. Stiamo facendo qualcosa per lui? Stiamo continuando a fare qualcosa per Giulio Regeni? Doppio zero. Una democrazia, la nostra, che lascia che due giovani di 28 anni, entrambi impegnati nello studio e nella pratica dei diritti civili, vengano inghiottiti da una ex repubblica socialista guidata da un presidente padrone e supinamente ne accetta l’insolenza, non brilla né per forza né per decenza. Ma anche se magari non sembra, è un problema che non riguarda solo la coscienza di un Paese. Riguarda il peso che abbiamo, e soprattutto che dovremmo avere, nelle complicate trattative finanziarie che ci attendono al varco a Bruxelles e dintorni…”.

Così è.

“E una piccola storia ignobile come quella di Patrick Zaki, gemella, speriamo non negli esiti, con la fine martoriata e mai spiegata di Giulio Regeni – annota ancora Verdelli – rappresentano due ombre che non aiutano l’immagine di un Paese che dovrebbe fare rispettare, oltre al proprio onore, anche i propri cittadini, naturali o acquisiti che siano”.

Andate a vedere che cosa ha detto Di Maio nel 2016 su Giulio quando era all’opposizione e che cosa dice in questi giorni da ministro su Zaki. È vergognoso“. Queste le parole pronunciate da Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni, alla presentazione del libro Giulio fa cose scritto da lei stessa insieme al marito Claudio in collaborazione con l’avvocata Alessandra Ballerini. Claudio, il padre di Giulio, ha parlato dopo la moglie ed ha rincarato la dose: “La resistenza della politica italiana nella ricerca di verità su Giulio la sentiamo, se è stato rimandato al Cairo l’ambasciatore è proprio perché ci sono gli interessi dell’Italia nei confronti dell’Egitto, aspetti economici, investimenti, giacimenti e turismo“.

E infine: “Si è messa da parte la verità e la giustizia, l’ambasciatore non viene richiamato, cosa che stiamo chiedendo da tempo, il Governo egiziano non sta rispondendo alla rogatoria, quindi c’è una debolezza della politica italiana che non ci aiuta. Ci sono delle persone che ci sono vicine, il presidente della Camera Roberto Fico ci è molto vicino e siamo molto grati a queste persone, però manca il passo decisivo, il mettere davanti al Governo egiziano una posizione ferma, il nostro Governo è un po’ ballerino su da che parte stare“.

Nicola Zingaretti ha sempre avuto parole di affetto e di vicinanza per i genitori di Giulio. Ma alle parole devono seguire i fatti. E sono quelli che continuano a difettare. E un politico si giudica dai fatti, e dalla loro coerenza con le parole. Altrimenti, sono solo chiacchiere.

Native

Articoli correlati