Amnesty su Regeni: "Scaduto il tempo delle parole. Basta fornire armi e richiamo del nostro ambasciatore"
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Amnesty su Regeni: "Scaduto il tempo delle parole. Basta fornire armi e richiamo del nostro ambasciatore"

Parla Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, tra i protagonisti della campagna verità e giustizia per Giulio Regeni

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Luglio 2020 - 14.28


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Ed ora, cos’altro dovrà accadere di ignobile, quale altra vergognosa provocazione dovrà venire dal Cairo, quale altro affronto alla memoria di Gilio Regeni e alla incessante battaglia di verità e giustizia condotta dai famigliari di Gilio, Paola e Carlo Regeni, il Governo italiano intende tollerare, prima di fare l’unica cosa giusta, doverosa, degna di un Paese che non sia una indigeribile Repubblica delle banane: richiamare il nostro ambasciatore, bloccare ogni fornitura di armi al regime del presidente-.gendarme Abdel Fattah al-Sisi, che, di fatto, ha sempre coperto l’assassinio di Stato di cui è stato vittima il giovane ricercatore friulano?

Ed ancora: dop il fallimentare incontro di ieri tra i magistrati romani e quelli egiziani, cosa hanno da dire Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, ma anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti, tutti convinti sostenitori, citiamo testualmente un passaggio dell’intervento di Zingaretti alla Direzione dem, in Egitto, senza un ruolo italiano, politico ed economico, il caso Regeni verrebbe archiviato. Per questo non c’è contraddizione tra il mantenere cooperazione con l’Egitto e un impegno forte e determinato per ottenere verità sull’omicidio di Giulio Regeni”.

Una ignobile farsa

“Il procuratore generale egiziano ha assicurato che, sulla base del principio di reciprocità, le richieste avanzate dalla procura di Roma sono allo studio per la formulazione delle relative risposte, alla luce della legislazione egiziana vigente”. Così in una nota la procura di Roma al termine dell’incontro, durato circa un’ora e avvenuto in videoconferenza, tra i pm italiani e quelli del Cairo che indagano sulla vicenda della morte Giulio Regeni, ucciso nel 2016. La procura di Roma, dice la nota, ha “insistito sulla necessità di avere riscontro concreto, in tempi brevi, alla rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 ed in particolare in ordine all’elezione di domicilio da parte degli indagati, alla presenza e alle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell’agosto del 2017”. La procura di Roma, dice la nota, ha “insistito sulla necessità di avere riscontro concreto, in tempi brevi, alla rogatoria avanzata nell’aprile del 2019 ed in particolare in ordine all’elezione di domicilio da parte degli indagati, alla presenza e alle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell’agosto del 2017”. Le richieste dell’Egitto Il procuratore egiziano Hamada Elsawy “ha formulato alcune richieste investigative finalizzate a meglio delineare l’attività di Giulio Regeni in Egitto”, si legge ancora nella nota. “Nel corso del suo intervento – prosegue la nota – il procuratore generale egiziano ha ribadito la ferma volontà del suo Paese e del suo ufficio di arrivare a individuare i responsabili dei fatti e per questo ha affermato che l’incontro ha costituito un passo decisivo nello sviluppo dei rapporti di collaborazione, con l’auspicio di raccoglierne esiti fruttuosi”.

Nella rogatoria inviata circa un anno e mezzo fa dai pm di Roma alle autorità egiziane si chiedeva di “mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque indagati”. E’ la novità contenuta nella nota diffusa dalla procura di Roma al termine dell’incontro avvenuto, in videoconferenza, con gli omologhi egiziani.

Altri indagati

Nel frattempo, sono almeno altri cinque gli uomini, appartenenti agli 007 egiziani, su cui la procura di Roma sta svolgendo accertamenti in relazione al rapimento di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso nel febbraio del 2016 al Cairo.

Si tratta di cinque colleghi degli ufficiali iscritti nel registro degli indagati dal pm Sergio Colaiocco il 4 dicembre del 2018. I nomi degli altri agenti della National Security spuntano dai tabulati telefonici forniti nei mesi scorsi dalle autorità egiziane.

Tra i dodici punti della rogatoria inviata nel maggio del 2019 dai magistrati di piazzale Clodio si fa riferimento agli altri cinque che avrebbero avuto un ruolo nella vicenda di Regeni. In particolare, si chiedeva di “mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque indagati”. 

Indignati ma non domi

“A leggere il comunicato della procura di Roma evidente che l’incontro virtuale di oggi con la procura egiziana è stato fallimentare”, hanno affermato in una nota Paola e Claudio Regeni, genitori dì Giulio, in riferimento tra i magistrati italiani e quelli egiziani. “Gli egiziani non hanno fornito una sola risposta alla rogatoria italiana sebbene siano passati ormai 14 mesi dalle richieste dei nostri magistrati”, spiegano i genitori di Giulio, assistiti dal legale Alessandra Ballerini, “e addirittura si sono permessi di formulare istanze investigative sull’attività di Giulio in Egitto. Istanze che oggi, dopo quattro anni e mezzo dalla sua uccisione, senza che nessuna indagine sugli assassini e sui loro mandanti sia stata seriamente svolta al Cairo, suona offensiva e provocatoria”. “Nonostante le continue promesse non c’è stata da parte egiziana nessuna reale collaborazione – continuano i genitori di Regeni – solo depistaggi, silenzi, bugie ed estenuanti rinvii. Il tempo della pazienza e della fiducia è ormai scaduto. Chi sosteneva che la migliore strategia nei confronti degli egiziani per ottenere verità fosse quella della condiscendenza, chi pensava che fare affari, vendere armi e navi di guerra, stringere mani e guardare negli occhi gli interlocutori egiziani fosse funzionale ad ottenere collaborazione giudiziaria, oggi sa di aver fallito. Richiamare l’ambasciatore oggi è l’unica strada percorribile. Non solo per ottenere giustizia per Giulio e tutti gli altri Giulii, ma per salvare la dignità del nostro paese e di chi lo governa”.

“ Non abbiamo motivo di essere fiduciosi perché fino ad ora da parte egiziana sono arrivati soltanto tentativi di depistaggio e di coprire la verità. Inoltre, le ultime notizie, della consegna degli oggetti che appartenevano a Giulio Regeni, che poi in realtà erano oggetti di uno dei tentativi di depistaggio, ci dice che da parte egiziana non arrivano segnali positivi. Per cui anche noi non siamo molto fiduciosi. Però speriamo che si possa ottenere qualcosa e che si possano fare passi in avanti. Da questo punto di vista noi siamo a supporto dell’attività della magistratura che è l’autorità che oggi deve accertare la verità e soprattutto fare giustizia”, rimarca ‘ Erasmo Palazzotto, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni su Rai Radio1. E poi ancora: “Non c’è solo il diritto, da parte della famiglia Regeni, ad ottenere giustizia. Ci sono anche la dignità e la credibilità internazionale del nostro Paese che sono in gioco. L’Italia non può essere un Paese che non protegge la vita dei propri cittadini e soprattutto non ottiene giustizia quando uno dei propri cittadini viene ucciso barbaramente dagli apparati di un altro Stato”.

Silenzi e conferme

Silente il ministro degli Esteri,  fonti della Farnesina hanno riferito di una “forte delusione per l’esito dell’incontro tra le due procure” di Roma e del Cairo sul caso di Giulio Regeni. “Esigiamo un cambio di passo. E soprattutto esigiamo rispetto per la famiglia Regeni. La Farnesina, dopo l’incontro di oggi (ieri, ndr), trarrà le sue valutazioni”, hanno riferito.

I pentacontraddittori

A 4 anni dalla morte di Giulio Regeni non possiamo più accettare tentennamenti”, affermano i deputati M5s in commissione Esteri. “Per questo bene ha fatto la Farnesina ad esprimere tutta la delusione per l’incontro di ieri tra la procura di Roma e quella del Cairo: un incontro, appunto, deludente e che ha palesato, ancora una volta, la mancata collaborazione delle autorità egiziane che, invece di fornirci le agognate risposte che tanto invochiamo, ha incredibilmente avanzato pretese nei nostri confronti chiedendo persino lumi sulla presenza di Regeni sul loro territorio. Ciò è per noi inaccettabile. Dall’Egitto pretendiamo maggiore rispetto”.

“In questo tempo Al Sisi ci ha abituato alle sue promesse a cui non è mai seguito nulla di concreto, continuano i pentastellati. “Ieri ci è giunta solo l’ennesima conferma che le autorità egiziane non hanno nessun interesse nella ricerca della verità non rispondendo alla rogatoria che la nostra procura ha mandato al Cairo nell’aprile del 2019. Ora serve un segnale di discontinuità rispetto al passato. In tal senso, l’impegno della Farnesina va nella giusta direzione: esigiamo rispetto per la famiglia Regeni”, concludono i 5 stelle.

Ma quale dovrebbe essere questo segno di discontinuità, è un mistero.

“Non credo che il ritiro dell’ambasciatore sia una soluzione, non l’ho mai creduto per un semplice motivo: l’ambasciatore è il rappresentante del suo Paese in un altro Paese. Se si toglie l’ambasciatore di fatto si finisce di dialogare”, argomenta  il sottosegretario agli Esteri (5Stelle), Manlio Di Stefano, in risposta alla richiesta fatta dalla famiglia di Giulio Regeni. “A noi interessa dialogare con l’Egitto perché dobbiamo avere la verità su Regeni”.

Insomma, siamo alle solite. Chiacchiere e zero risultati.

Amnesty: il tempo delle parole è scaduto

“Continuare a portare avanti questa strategia di appeasement nei confronti dell’Egitto è irresponsabile, soprattutto all’indomani di un incontro fra le procure di Roma e Il Cairo – dice a Globalist Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, tra i protagonisti della campagna verità e giustizia per Giulio Regeni – nel corso del quale, la prima ha sollecitato passi in avanti nella rogatoria riguardante i 5 funzionari egiziani indagati, mentre la seconda ha offensivamente annunciato di volere indagare sulla presenza di Giulio Regeni al Cairo”. Quanto ad Amnesty, “noi – sottolinea Noury – continuiamo a pensare che occorra manifestare nei confronti del Governo egiziano segnali di profondo malcontento, in primo luogo bloccando la vendita delle due fregate e ogni altra fornitura in programma; in secondo luogo, richiamando temporaneamente l’ambasciatore Cantini per dargli istruzioni su come doverosamente pretendere la scarcerazione di Patrick Zaki e per consegnare alle autorità egiziane indicazioni chiarissime su come il Governo italiano giudica negativamente il comportamento della Procura e del Governo dell’Egitto. Il tempo è scaduto, anzi era già scaduto – conclude il portavoce di Amnesty International Italia -. Ora ci vogliono da parte del Governo italiano precise assunzioni di responsabilità per evitare che sia considerato complice di tutto questo”.

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