Armi all'Egitto, ultima chiamata per il Governo: processare in Italia gli assassini di Giulio
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Armi all'Egitto, ultima chiamata per il Governo: processare in Italia gli assassini di Giulio

Paola e Claudio Regeni: “La consegna delle cinque persone indagate dalla magistratura italiana, perché possano essere processate in Italia: sono tutti ufficiali degli apparati di sicurezza egiziana".

Verità per Giulio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Giugno 2020 - 12.24


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In quel j’accuse non c’è solo il dolore , l’amarezza, la composta indignazione di chi si sente tradito, trafitto dal “fuoco amico”. C’anche altro, e quell’ ”altro” è il banco di prova finale per Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, e del Governo rossogiallo. La “Vergogna del secolo” è stata perpetrata. Ma se davvero si crede, come continuano a sostenere premier, ministro degli Esteri, ed esponenti della maggioranza, che la vendita delle due fregate Fremm all’Egitto non significa mettere una pietra tombale sopra la richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni, allora, se davvero lo si crede, c’è solo una cosa da fare. Uno scambio, per quanto tardivo, per quanto doloroso, ma almeno in parte, riparatore. A indicarlo sono Paola e Claudio Regeni: “La consegna delle cinque persone indagate dalla magistratura italiana, in modo che possano essere processate in Italia: sono tutti ufficiali degli apparati di sicurezza egiziana“.

Banco di prova

Ora sta al presidente del Consiglio rispondere. Al ministro degli Esteri supportarlo. Basta chiacchiere. Basta usare il nome di Giulio Regeni per coprire gli affari miliardari con uno dei regimi più brutali al mondo.

“Lo Stato italiano ci ha tradito. Siamo stati traditi dal fuoco amico non dall’Egitto”. E’ una riflessione meditata, quella di Paola e Claudio Regeni, per nulla una reazione a caldo dettata dall’indignazione, confidano a Globalist fonti vicine alla famiglia del ricercatore torturato e ucciso a Il Cairo nel 2016. “Basta atti simbolici, il tempo è scaduto”, sottolineano.

“Uno non può aspettarsi di lottare contro il proprio Stato per ottenere giustizia. Lo Stato italiano ci ha tradito – aggiungono – il 17 luglio del 2017 quando ha rinviato l’ambasciatore a Il Cairo e adesso vendendo le armi. Un tradimento per tutti gli italiani, per quelli che credono nella giustizia e nella inviolabilità dei diritti. Non possiamo sentirci certo traditi dall’Egitto per tutto quello che hanno fatto a nostro figlio e dopo quattro anni e mezzo di menzogne e depistaggi”, spiegano.

 Abbiamo visto e vissuto tanta ipocrisia e la vendita di questa due navi e le armi sono la ciliegina sulla torta“, evidenziano i familiari. “In questi 4 anni e mezzo abbiamo visto tantezone grigie in Egitto e in Italia. Noi abbiamo fiducia nella scorta mediatica, nelle migliaia di persone che ci seguono, nella Procura di Roma, negli investigatori”, osservano dicendo di avere “fiducia anche nel presidente della Camera, Roberto Fico, che oggi (ieri, ndr)ci ha chiamati per dirci che sta con noi e per sapere come stiamo”.

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Parlando dell’Egitto, Paola e Claudio Regeni attaccano: “Non intendiamo più farci prendere in giro: non basterà inviarci quattro cianfrusaglie, indumenti vari e chiacchiere o carta inutile. Chiediamo a Il Cairo una risposta esaustiva a tutti i punti della rogatoria inviata dalla Procura di Roma nell’aprile del 2019, rimasta priva di risposta. La consegna delle cinque persone indagate dalla magistratura italiana, in modo che possano essere processate in Italia: sono tutti ufficiali degli apparati di sicurezza egiziana“. “Finché non avremmo ottenuto queste due cose ci sentiremmo traditi”, concludono.

Battaglia legale

Richieste precise, puntuali, che portano con sé un corollario fondamentale che non è contenuto nelle affermazioni dei famigliari di Giulio, ma che emerge parlando con alcuni dei protagonisti della campagna per fare piena luce sull’assassinio di Stato perpetrato in Egitto: cancellazione degli altri contratti di vendita di armi a Il Cairo, congelamento delle relazioni diplomatiche con l’Egitto.

Di certo, il fronte anti-riarmista non si arrende. Al contrario, rilancia una iniziativa a tutto campo: politica, parlamentare, mediatica. E legale.

“A poche ore dalla rassicurazione, alla Camera dei deputati, di ‘vendita ancora non autorizzata dal Governo’ del Ministro degli esteri Luigi di Maio, nuove notizie di stampa provenienti dal Consiglio dei ministri tenutosi ieri (giovedì, ndr) indicano invece una concretizzazione dell’autorizzazione all’esportazione verso l’Egitto di due navi militari. Secondo quanto riportato da diversi organi di stampa infatti il Consiglio dei ministri, senza nessuna voce contraria, avrebbe deciso di dare mandato all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) di procedere con la firma della licenza di vendita. 

Amnesty International Italia, Rete della Pace e Rete italiana per il Disarmo, unite insieme nella mobilitazione #StopArmiEgitto ritengono profondamente errata questa decisione, come già espresso nelle motivazioni di lancio della mobilitazione congiunta. Il passaggio in Consiglio dei ministri configura inoltre una vendita di armamenti del tutto eccezionale per caratteristiche e modalità visto che si tratta di navi già costruite e destinate alla nostra Marina per il suo ammodernamento, mentre ora, senza alcun piano d’investimento, con una alquanto dubbiosa procedura d’urgenza ed in violazione di una legge nazionale, il governo decide di venderle all’Egitto, paese coinvolto in guerre e incapace di proteggere i diritti umani. A maggior ragione questa eccezionalità impone il passaggio ed il parere del Parlamento, come indica chiaramente la legge 185 del 1990 sull’export di armamenti. 

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Quando infatti si intendono superare i principi e i criteri che regolano la materia, necessario, secondo il comma 6 dell’articolo uno della legge, che le deliberazioni del Consiglio dei ministri siano adottate ‘previo parere delle Camere’.

Le nostre organizzazioni chiedono dunque che tale passaggio parlamentare venga svolto al più presto, e fanno appello alle forze politiche e a tutti i deputati e senatori affinché lo richiedano con forza. E che in tale dibattito portino avanti posizioni conformi all’articolo 11 della Costituzione e al perimetro della legge 185/90

Il governo ha ancora il tempo di procedere secondo il percorso dettato dalla legge e soprattutto ha ancora la possibilità di fermare una vendita di armamenti che andrebbe a sostenere un regime responsabile di gravissime violazioni dei diritti umani ed attualmente coinvolto sia nel conflitto in Libia che nel conflitto in Yemen. 

L’auspicio delle organizzazioni è quello che si apra quanto prima un dibattito trasparente in sede parlamentare sulla questione, anche per non essere costrette a prevedere eventuali azioni legali qualora l’autorizzazione venisse emessa senza questo fondamentale passaggio procedurale”. 

Le richieste sono sul tavolo. La palla passa ora al Governo. Il tempo delle chiacchiere è scaduto.

Implicazioni geopolitiche

In una intervista a Fanpage, il coordinatore nazionale della  Rete italiana per il disarmo, Francesco Vignarca, sottolinea, tra l’altro, come in questo caso la vendita delle fregate all’Egitto rappresenti una grande preoccupazione anche considerato il coinvolgimento del Paese nella partita libica. “Fondamentalmente noi stiamo andando a vendere armi all’Egitto e alla Turchia, che sono entrambi coinvolti in Libia ed entrambi sospettati di violare l’embargo delle armi imposto dalle Nazioni Unite verso Tripoli”.

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Inoltre, se Ankara supporta il governo di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, Il Cairo supporta invece le milizie del generale Khalifa Haftar: “Quindi stiamo contribuendo a rendere ancora più complicato lo scacchiere libico, mentre da sempre tutti dichiarano che la stabilità in Libia sia fondamentale per l’Italia per una questione di risorse e di vicinanza. Facciamo tutti questi grandi discorsi di geopolitica, ma poi andiamo a vendere armi a tutti. Anche a quelli che sostengono Haftar, che solo qualche settimana fa ha portato avanti un attacco vicino all’ambasciata italiana”, prosegue Vignarca.

E ancora: “Il tutto avendo preteso, puntando anche i piedi, di essere a capo della missione Irini, promossa dall’Unione europea per il controllo dell’embargo sulle armi in Libia”. “Al di là di tutte le valutazioni che si possono fare sui diritti umani e sulle violazioni di un regime autoritario come quello di al- Sisi, è una pazzia dal punto di vista della logica e della coerenza”, continua Vignarca, commentando la vendita delle due fregate alla Libia. C’è inoltre un’altra questione, messa in evidenza dal coordinatore della Rete italiana per il disarmo, di natura economica: “L’unico modo che hanno in mente alcuni esponenti della politica per uscire da problematiche economiche è il sostegno all’industria degli armamenti. Mentre ci sarebbero tanti altri comparti economici da favorire molto più remunerativi, importanti dal punto di vista dell’occupazione, e soprattutto senza le controindicazioni che si presentano con la vendita di armi in una regione così problematica”.

Fincantieri raddoppia

Vignarca parla quindi del rischio che una commessa di questo tipo, alla fine, comporti anche maggiore spesa militare per l’Italia: “La marina voleva due navi. Queste erano quasi pronte per andare a ruolo, ma le vengono tolte per essere inviate in Egitto. Ovviamente la marina vorrà ancora le sue navi, che saranno nuove, più potenti e più costose. Alla fine della fiera, per garantire una commessa a Fincantieri, peraltro in una situazione problematica del genere, ancora una volta il contribuente italiano dovrà tirare fuori i soldi”.

 

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