Il generale Camporini: "In Libia, l'Italia ormai non tocca più palla"
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Il generale Camporini: "In Libia, l'Italia ormai non tocca più palla"

Parla l'ex Capo di stato maggiore della Difesa: "Stiamo attuando delle politiche ineccepibili di fronte al diritto internazionale, ma nella sostanza più favorevoli ad Haftar che Sarraj...”

L'ex capo di stato maggiore della Difesa
L'ex capo di stato maggiore della Difesa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Maggio 2020 - 14.26


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Da ex Capo di stato maggiore della Difesa, esprime un giudizio durissimo: “Per usare una metafora calcistica, nella partita che si sta giocando in Libia, l’Italia è a bordo campo, con tanto di cartellino giallo. In pratica, non becca più palla” Ad affermarlo è il generale Vincenzo Camporini, già Capo di stato maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).

Generale Camporini, che ruolo sta giocando l’Italia nella “partita libica”, una partita che investe in pieno i nostri interessi nazionali, dal petrolio alla sicurezza, ai flussi migratori?

Per restare alla metafora calcistica, direi che L’Italia è a bordo campo, con cartellino giallo, e non becca più palla perché stiamo attuando delle politiche formalmente ineccepibili di fronte al diritto internazionale, ma sostanzialmente più favorevoli ad una delle parti in causa, e non è Sarraj…”.

Andando per esclusione, è il generale Haftar…

“Lo favoriamo nei fatti. Perché siamo stati i promotori della nuova missione navale Irini, di cui abbiamo rivendicato con forza il comando. Una missione che ha lo scopo di far rispettare la risoluzione delle Nazioni Unite sull’embargo di armi nei confronti dei contendenti libici. Purtroppo, però, mentre Haftar può ricevere ampi rifornimenti via terra, Irini riesce a bloccare qualsiasi rifornimento verso il Gna (Governo di accordo nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj, ndr), di fatto indebolendo il Governo legittimo. Tripoli, come chiaramente dichiarato dai suoi leader, non ce lo perdona. Al di là dell’addestramento della Guardia costiera libica, che peraltro risponde direttamente ad una esigenza nazionale italiana, possiamo vantare lo schieramento di un ospedale da campo a Misurata in una ottica sempre di aiuti umanitari. Di fatto, stiamo lasciando il campo a chi è più spregiudicato di noi. D’altro canto, va ricordato che a parte le parentesi degli ultimi anni della colonizzazione italiana, del regno di Idris e della dittatura di Gheddafi, la Libia non è mai stata uno Stato unitario: Gli antagonismi storici latenti non hanno fatto che riemergere. A questo punto, non è irragionevole domandarsi se una soluzione sostenibile non sia quella di una federazione o addirittura di una divisione tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan”.

Cosa c’è dietro le “oscillazioni” italiane: mancanza di visione strategica, eccesso di presunta furbizia diplomatica o cos’altro?

Temo che ci sia soltanto la volontà di essere bravi e rispettosi, a prescindere dalle conseguenze che questo atteggiamento può avere nei confronti dei nostri interessi nazionali. Non ho grandi timori per le attività di Eni, che è così profondamente radicata nel territorio e tra le tribù, da essere praticamente intoccabile. Temo piuttosto che venga rispolverata la vecchia minaccia di Gheddafi e che attenuati i timori per la pandemia, masse di rifugiati vengano avviate verso le nostre coste. Un bell’assist per l’opposizione”.

In Libia, nel cuore di Sarraj, l’Italia è stata sostituita dalla Turchia di Erdogan. E’ grazie al sostegno in uomini e in armi, che le sorti della guerra sembrano ora volgere a favore di Sarraj, come dimostra la riconquista da parte delle forze del Gna della base di al Wattyia,  il principale hub di Haftar per le operazioni in Tripolitania.

“E’ un dato di fatto che la Turchia ha acquisito e sta rinforzando il suo ruolo determinante in tutto il Mediterraneo allargato. E non sto parlando solo di Libia e di Somalia, perché qualcuno si dimentica di quello che sta accadendo nei Balcani occidentali, dove l’influenza di Ankara sta visibilmente crescendo. Se si voleva un ruolo nella soluzione alla crisi libica, bisognava un’azione, possibilmente in coordinamento con gli altri Paesi europei. Non avendolo fatto si è lasciato un vuoto di cui Erdogan si è affrettato ad approfittare. Da tempo Sarraj ha chiesto formalmente un supporto anche di tipo militare. Essendo lui il capo di un Governo ritenuto legittimo dalle Nazioni Unite è titolato a farlo, e chi raccogliesse questo appello non ha più bisogno per legittimare le sue azioni di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E’ necessaria una decisione politica, supportata da elementi informativi che un buon servizio di Intelligence deve fare per decidere che atteggiamento assumere. Il tutto incardinato in una visione complessiva dell’interesse nazionale. Non dico affatto che a questo punto si renda necessario un intervento militare, dico che dovrebbe essere aperto un dibattito politico per decidere che atteggiamento tenere. Solo così possiamo sperare che i nostri alleati – Germania e Francia in primis – ci prendano sul serio. Ma temo che il tempo per poter riprendere un ruolo da protagonisti in Libia sia scaduto”.

Ma ci possiamo permettere questa progressiva marginalizzazione?

La risposta è certamente no. Purtroppo il nostro Governo, ma anche le opposizioni, sono comprensibilmente focalizzati sulla crisi sanitaria, e non c’è un briciolo di attenzione per le vicende ai nostri confini che rischiano di creare danni consistenti, se non irreparabili, al nostro futuro”.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres,  ha ribadito a più riprese che per porre fine al caos in Libia non esistono soluzioni militari. E’ proprio così?

“Esorcizzare l’opzione militare rientra nella filosofia delle Nazioni Unite. D’altro canto, nessun Paese ha le capacità (e la volontà politica) di imporre una soluzione politica stabile con l’uso della forza militare, neanche Ankara e Mosca, che pure sono i due player centrali in questa partita. La Libia è un territorio vastissimo, scarsamente popolato (poco più di 6 milioni di abitanti) con una straordinaria frammentazione sociale e politica (tribù, municipalità, confraternite) in cui la miriade di milizie dispone di grandi quantità di armamenti. In questo contesto , un’operazione militare che non si limiti all’utilizzo (pressoché simbolico) di forze speciali, richiederebbe un numero così elevato di boots on the ground da mantenere in loco per tempi lunghissimi. Non se lo può permettere nessuno. Di certo, non noi”.

La Libia non avrà pace?

“Un giorno, spero di sì. Ma questo giorno, purtroppo, non sembra vicino”.

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