Dalla Libia a Cipro: il Sultano Erdogan alla guerra delle trivelle
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Dalla Libia a Cipro: il Sultano Erdogan alla guerra delle trivelle

Nonostante Francia, Grecia, Cipro, Egitto ed Emirati Arabi Uniti siano tornate a denunciare l’illegalità delle operazioni petrolifere turche la Turchia ha fatto sapere che continuerà le operazioni petrolifere.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Maggio 2020 - 14.24


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Il Sultano dichiara la “guerra delle trivelle”. Epicentro dello scontro: il Mediterraneo meridionale. E in questa “guerra” è investita anche l’Italia. Rileva in proposito Michele Marsiglia, presidente FederPetroliItalia:Nonostante lunedì scorso Francia, Grecia, Cipro, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, in una nota congiunta siano tornate a denunciare l’illegalità delle operazioni petrolifere turche in acque internazionali, la Turchia ha fatto sapere che nonostante l’opposizione internazionale, continuerà le operazioni petrolifere di trivellazione, e in poco tempo si estenderanno anche al Mar Nero. La determinazione di questo Paese non possiamo nascondere che è forte, non solamente per un discorso storico che ha alternato Costantinopoli tra sconfitte e vittorie, bensì è evidente che le mire espansionistiche ed economiche di Erdogan non si fermano con un semplice meeting. Questa road-map punta a proseguire in un gioco forza per le importanti risorse petrolifere del Mediterraneo orientale.

Lo stesso Ministro dell’Energia di Ankara, Fatih Donmez, espressosi in merito alla polemica sull’operatività sotto lockdown della nave da perforazione Fatih, conferma che saranno avviate da luglio le prime attività anche nel Mar Nero, facendo forte la politica che la Compagnia Petrolifera di stato Turkish Petroleum ha presentato Istanza per iniziare attività di esplorazione nel Mediterraneo orientale, alla luce del memorandum d’intesa siglato lo scorso 27 novembre ad Istanbul tra la Turchia e il Governo di Accordo Nazionale Libico (Gna) di Fayez al-Sarraj, per la delimitazione dei confini marittimi, che però è ritenuto illegittimo dalla comunità internazionale. Fotografia effettiva e vera, allora, che la così denominata Operazione Romano tra Somalia, Turchia ed Italia ci mostra che Ankara vuole dare interpretazione di grande forza anche nel dialogo con il mondo islamico diverso, al confine con l’Isis fino ad arrivare ad altri gruppi che governano e regnano in diverse zone del Medio Oriente. E’ dunque chiaro- conclude il presidente di Federpetroli Italia,- , mi verrebbe simpaticamente da dire, che ‘pian piano a nuoto si arriva in Libia’. Certo, punto nevralgico oggi di tutte le economie internazionali che vivono la sete di energia, e quindi di petrolio. La cara Libia”.

Roma balbetta

All’aggressività di Erdogan fa da contraltare il balbettio italiano. Rileva su Il Corriere della Sera Franco Venturini: “La partita italo-turca, e la credibilità reciprocasi giocano in Libia e nel futuro delle sue ricchezze energetiche. Mentre Erdogan spara volentieri e sogna una rivincita neo-ottomana, l’Italia balbetta, non crea proposte che non siano inutili conferenze, e non ha un fronte politico interno in grado di appoggiare un uso intelligente (come in verità è stato fatto a Misurata) dello strumento militare. Silvia Romano ci ha aiutati a sollevare un coperchio che la politica estera italiana preferiva tenere chiuso. Ora si tratta di affrontare quel che bolle in pentola”.

L’aggressività del Sultano non data l’oggi: Non sono mancate, infatti, in passato alcune azioni provocatorie nel Mediterraneo orientale: dal blocco della nave da perforazione italiana Saipem nel febbraio 2018 fino alle perforazioni nelle acque antistanti la costa settentrionale dell’isola di Cipro, che ha sollevato forti critiche da parti dell’Unione Europea, passando per la grande esercitazione navale militare svoltasi nell’area nel maggio 2019.

La partita del Mediterraneo orientrale

“Alla base di questa aggressività – rimarca su starmag.it Fabrizio Ansello – vi è la volontà del presidente turco Erdogan di giocare un ruolo di primo piano nella partita del gas nel Mediterraneo orientale. Ankara, infatti, anche grazie al possibile sfruttamento del gas estratto nell’area, mira a rafforzare la propria ambizione di diventare un vero e proprio “corridoio energetico” per il gas diretto verso il vecchio continente. Già oggi, attraverso il territorio turco, passano i tubi del Turk Stream, che, una volta completato, porteranno il gas russo in Europa così come quelli del Corridoio Meridionale del Gas, che collega l’Europa con i giacimenti dell’Azerbaijan. Per questo motivo Erdogan spera di riuscire a convogliare in Turchia almeno parte del gas presente nel Mediterraneo orientale, tanto da prevedere la possibile costruzione di un gasdotto  tra Turchia e Repubblica turca di Cipro settentrionale: una condotta lunga appena 80 km, con costi quindi largamente inferiori rispetto a Eastmed, il progetto sostenuto da Bruxelles. L’ambizione del presidente turco, però, sembra scontrarsi in questo momento proprio con il fatto che, ad inizio gennaio, Grecia, Israele e Cipro si sono incontrati ad Atene per siglare un accordo per l’avvio dei lavori di costruzione del nuovo gasdotto “europeo”.

La strategia di Erdogan gioca su tre diversi fronti. Il primo concerne il consolidamento della centralità della Turchia come interlocutore nella risoluzione della crisi e il coinvolgimento della comunità internazionale. Il secondo riguarda il sostegno militare, necessario a garantire la sopravvivenza del premier Serraj contro l’avanzata di Haftar che, sostenuto da Russia, Egitto, Emirati e Francia), è più forte militarmente, in attesa di un accordo per un cessate il fuoco.

Il terzo prevede invece la continuazione delle attività di ricerca e sondaggio nel Mediterraneo orientale, ed e’ mirata a mettere i diversi attori della contesa – Grecia in primis, ma anche Egitto ed Israele- dinanzi a un dato di fatto: lo sfruttamento delle risorse dell’area e un eventuale gasdotto che le porti in Europa non si può fare senza la Turchia.

D’altro canto, la guerra energetica non si gioca solo con i confini, ma anche con i gasdotti. Ankara, in risposta all’accordo firmato da Grecia, Israele e Cipro ad inizio 2019 sul gasdotto Eastmed, che punta a fornire circa il 10% del gas naturale europeo aggirando la Turchia, ha annunciato un progetto alternativo per un gasdotto tra Turchia e Repubblica turca di Cipro settentrionale. Le due parti avrebbero già avviato i dovuti approfondimenti per realizzazione finale di una infrastruttura lunga 80 chilometri (che verrebbe costruita in parallelo ad una tubazione che trasporta acqua potabile dalla Turchia a Cipro). Il gasdotto, secondo le intenzioni, dovrebbe essere battezzato entro il 2025, anno in cui dovrebbe entrare in produzione il giacimento di gas cipriota Afrodite, sviluppato da Noble e Shell, che andrebbe a rifornire l’Eastmed.

Complici

L’aggressività in politica estera s’intreccia indissolubilmente con il pugno di ferro usato dal regime islamo-nazionalista di Ankara all’interno. Una dittatura finanziata dall’Europa. Perché questa è la realtà. Vergognosa. Indecente. Perché i leader Europei non hanno solo chiuso gli occhi di fronte alle decine di migliaia di funzionari pubblici, di accademici, di quadri, di insegnanti  dell’esercito, epurati da Erdogan, non solo non hanno raccolto gli appelli dei giornalisti incarcerati o zittiti o costretti all’esilio dal regime, ma quel regime hanno innalzato a interlocutore privilegiato nell’unica cosa che conta oggi nell’Europa dei muri, delle frontiere blindate, dei respingimenti forzati, degli hotspot-lager: fare della Turchia di Erdogan il “Gendarme” delle frontiere esterne. Perché l’unico timore che questa Europa indegna di definirsi democratica ha, è quello che il “Sultano di Ankara” apra i “rubinetti” dei migranti e ritorni a popolare le rotte della morte, a cominciare da quella balcanica. Al “Gendarme” turco l’Europa della vergogna ha promesso 6 miliardi di euro, sottoscrivendo un accordo nel quale non c’è una riga, non c’è alcun riferimento, non c’è alcun vincolo che riguardi il rispetto degli standard minimi di democrazia. Niente. E niente è stato fatto dopo che il “Sultano” osannato dalla folla ha promesso il ripristino della pena di morte e ottenuto il via libera per l’arresto di parlamentari nel pieno delle loro funzioni.  L’Europa ha subito dimenticato gli anni in cui Erdogan lasciava aperta la frontiera con la Siria perché vi entrassero migliaia di jihadisti, di foreign fighters , per ingrossare le fila del Daesh, in funzione anti-Assad. L’Europa ha dimenticato che mentre i combattenti curdi difendevano Kobane, i carri armati turchi posti alla frontiera non spararono un solo colpo contro i miliziani di al-Baghdadi, a quei tempi Califfo dello Stato islamico. L’Europa è stata complice della guerra scatenata dall’esercito di Ankara nelle città turche a maggioranza curda; una sporca guerra fatta di assedi durati per mesi, di civili assassinati solo perché curdi, di città e villaggi ridotti a un cumulo di macerie. L’Europa, come gli Stati Uniti di Donald Trump, ha chiuso gli occhi di fronte alla pulizia etnica messa in atto dal “Sultano” nel nord della Siria. L’unica cosa che sa chiedere è moderazione. Moderazione al “Pinochet del Bosforo”, diventato anche il “Trivellatore del Mediterraneo”.

Quanto all’Italia, siamo ormai ai piedi del Sultano. Dopo il contributo importante, per diversi fonti decisivo, dato dagli 007 di Ankara nella liberazione di Silvia Romano, Erdogan è passato subito all’incasso. Il via libera italiano alla difesa militare turca del premier di Tripoli,, era un passo in qualche modo già pianificato. “Ma ora – aggiunge un osservatore straniero sulla Turchia – l’accordo raggiunto diventa per Ankara un asset sulle trivellazioni di gas e petrolio nel Mediterraneo orientale. A queste si oppongono Grecia, Israele e Egitto, che chiedevano a Roma di sostenerli. Ora l’Italia non si opporrà più alla strategia turca, protetta dal Memorandum firmato a novembre da Ankara con Tripoli. Il cerchio si chiude”. E Ankara incassa. Pure Roma, finalmente libera di far passare in quella zona – prima vietata – le navi dell’Eni. Ora l’Italia non si opporrà più alla strategia turca, protetta dal Memorandum firmato a novembre da Ankara con Tripoli. Il cerchio si chiude”. E Ankara incassa. Pure Roma, finalmente libera di far passare in quella zona – prima vietata – le navi dell’Eni.. Che la Turchia sfrutti molti suoi interessi in questa partita è chiaro a un esperto come il direttore del sito indipendente Ahval, Yavuz Baydar: “L’operazione di salvataggio in Somalia – dice a Marco Ansaldo di Repubblica  -deve essere vista come una leva di Ankara per mettere un ulteriore cuneo tra l’Ue e Roma nella sua linea diversa sulla Libia, rispetto a Francia e Germania”.

Divide et impera: così Erdogan costruisce il secondo impero ottomano.

 

 

 

 

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