Soleimani, Iraq e Iran: la guerra elettorale dello Stranamore americano
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Soleimani, Iraq e Iran: la guerra elettorale dello Stranamore americano

Il rischio è un conflitto senza fine. La certezza è che l’Iraq si sta trasformando nel campo di battaglia di una guerra, diretta o per procura, tra l’Iran e gli Stati Uniti

La rabbia per l'assassinio di Soleimani
La rabbia per l'assassinio di Soleimani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Gennaio 2020 - 17.07


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Il rischio e la certezza. Il rischio è che l’eliminazione di Qassem Soleimani da parte americana faccia esplodere la polveriera mediorientale. La certezza è che l’Iraq si sta trasformando nel campo di battaglia di una guerra, diretta o per procura, tra l’Iran e gli Stati Uniti

Il rischio e la certezza

A dominare è comunque il linguaggio della forza. E la cronaca è cronaca di guerra. Un nuovo raid aereo americano in Iraq, a nord della capitale Bagdad, ha ucciso un comandante delle Forze di Mobilitazione Popolare (Hashd al Shaabi). Lo riferiscono la tv di Stato irachena e fonti del Pentagono a Newsweek, all’indomani dell’attacco che è costato la vita al leader di questa formazione filo-iraniana assieme al generale Qassem Soleimani
La tv irachena non ha specificato l’identità del comandante vittima del raid, riferendo soltanto di “morti e feriti” stando a una fonte della polizia locale. Ma secondo l’emittente iraniana Press Tv, nel corso dell’attacco sarebbe stato ucciso Shibl al Zaidi, leader delle Brigate Imam Ali, milizia che fa parte delle Unità di mobilitazione popolare (Pmu) allineata con l’Iran. Con lui sarebbero stati uccisi suo fratello e cinque guardie del corpo. Così per il Pentagono, secondo il quale, “con alta probabilità” l’attacco mirato ha portato alla morte di Shubul al-Zaidi. In una nota, tuttavia, le Forze di mobilitazione popolare hanno smentito la notizia sostenendo che le vittime sono medici vicini al gruppo e che nessun esponente della milizia è rimasto ucciso. Nella zona colpita si sono riunite le forze di mobilitazione popolare irachene, gruppi di milizie sciite appoggiate dall’Iran. Secondo un funzionario iracheno, che ha parlato con l’agenzia Reuters, l’attacco di questa notte ha provocato la morte di sei persone, ferite in modo critico almeno tre. L’operazione fa parte della stessa strategia approvata da Trump giovedì mattina e che ha ucciso il comandante della Forza Quds dei Guardiani della rivoluzione iraniana. La milizia ha smentito la morte del leader nel raid, ma secondo diverse fonti nel raid sono morti sei uomini, probabilmente i luogotenenti di al-Zaidi, appartenenti alle Forze di mobilitazione popolare, Hashed al-Shaabi, il cartello paramilitare iracheno dominata da fazioni sciite con stretti legami con l’Iran.
Diplomazia di guerra

La risposta a un’azione militare è un’azione militare. Da parte di chi? Quando? Dove? Lo vedremo”. Così l’ambasciatore iraniano all’Onu, Takht Ravanchi, in un’intervista alla Cnn. “Non possiamo rimanere in silenzio, dobbiamo agire ed agiremo”, ha detto ancora sottolineando che il raid degli Stati Uniti contro il generale Soleimani “è stato un atto di guerra contro il popolo iraniano”. 

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In questo scenario di guerra, la Nato ha sospeso le missioni di addestramento in Iraq. Lo ha riferito un portavoce all’indomani dell’uccisione del generale iraniano Fonti del ministero della Difesa fanno sapere che anche l’Italia, assieme agli altri partner, per ragioni di sicurezza ha deciso di sospendere l’addestramento delle forze irachene. La missione della Nato in Iraq conta qualche centinaio di soldati e dall’ottobre 2018 addestra le forze del paese su richiesta del governo iracheno nell’ambito della lotta all’Isis. “La missione della Nato continua ma le sue attività di addestramento sono al momento sospese” ha spiegato White. Lo stesso portavoce ha poi confermato che il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha avuto una conversazione telefonica con il ministro americano per la difesa, Mark Esper dopo gli sviluppi recenti.  La coalizione anti-Isis in Iraq ridimensionerà la portata delle sue operazioni per “ragioni di sicurezza”, fa sapere un funzionario della Difesa Usa che guida la coalizione. “Condurremo limitate azioni contro lo Stato islamico assieme ai nostri partner laddove possano a loro volta sostenere i nostri sforzi”, ha dichiarato il funzionario spiegando che gli Stati Uniti “hanno rafforzato le misure di sicurezza nelle basi della coalizione in Iraq”. 

 

 

La domanda delle domande

“Non abbiamo ucciso Soleimani per un cambio di regime o per iniziare la guerra. Ma siamo pronti a qualunque risposta sia necessaria”, ha detto Donald Trump. “Gli Stati Uniti hanno di gran lunga il miglior esercito del mondo; abbiamo la migliore intelligence del mondo. Se gli americani di tutto il mondo sono minacciati, abbiamo già identificato degli obiettivi. E sono pronto a intraprendere qualsiasi azione necessaria, in particolare nei confronti dell’Iran”, ha continuato il presidente americano. Intanto, Il Pentagono ha confermato il dispiegamento di ulteriori truppe: la brigata dell’Irf (Immediate Response Force) dell’82esima divisione aviotrasportata è stata allertata per prepararsi allo schieramento. Un battaglione è già stato dispiegato in Kuwait. Allo stesso tempo, il resto della brigata è stato posto in preavviso di 96 ore. Secondo fonti militari citate dalla Cnn e la Nbc, il numero di soldati che saranno inviati nella regione potrebbe essere compreso tra 3.000 e 3.500.

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Le truppe Usa di stanza a Vicenza potrebbero essere inviate in Libano, se necessario, a protezione dell’ambasciata americana: un contingente da 130 a 700 militari, ha confermato una fonte della Difesa che ha voluto restare anonima. In settimana il Pentagono aveva già inviato 750 soldati in Medio Oriente in risposta all’assalto dell’ambasciata americana a Baghdad. 

Ma cosa ha davvero in testa Donald Trump?. E’ la domanda delle domande, alla quale  prova a dare risposta, drammaticamente convincente,  Anshel  Pfeffer, analista di punta di Haaretz, il quotidiano progressista israeliano: “Fino a quattro mesi fa Trump era circondato da falchi nel National Security Council, poi ha licenziato John Bolton. Ora attorno a lui «c’è a malapena uno scheletro di staff professionale e soprattutto un gruppo di adulatori». Ha ancora le migliori forze armate e la migliore intelligence del pianeta, «ma nessuno capace di pensiero strategico». Potrebbe quindi infilarsi in una guerra feroce senza un piano. L’America è mille volte più potente “ma l’Iran, dal 1979, si è dimostrato in grado di sfruttare ogni esitazione, ogni errore e ogni vuoto temporaneo da parte delle amministrazioni Usa». Per questo siamo nel regno dell’imprevedibile. “Un presidente vanaglorioso e una leadership iraniana che ha perso il suo esponente più saggio — entrambi in lotta per sopravvivere — si affrontano sull’orlo del precipizio”.

Paragoni storici.

L’allarme rosso non è scattato solo in Medio Oriente. Anche il resto del mondo sembra essersi accorto che, neanche tre giorni dopo l’inizio del nuovo decennio, è già successo qualcosa di veramente, veramente grave. Su Twitter ad esempio è in trending topic globale l’hashtag #WWIII –  un sacco di gente si aspetta che scoppi la terza guerra mondiale – e c’è chi azzarda  paragoni tra l’assassinio di Soleimani e quello dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914. Eccessi, certamente, ma che danno l’idea di ciò che, nella psicologia collettiva, sta determinando la decisione di Donald Trump di trasformarsi nel piromane mediorientale.

Un Paese ricompattato

L’altro risultato ottenuto dal capo della Casa Bianca, improvvido commander in chief, è di aver ricompattato le varie anime del regime iraniano offrendo loro un valido argomento per riconnettersi con un Paese che negli ultimi tempi aveva dato segnali di un forte malessere sociale sfociato in rivolte di piazza. Ora il vento è cambiato. Migliaia di iracheni hanno partecipato stamani a Baghdad alle esequie di Soleimani, , scandendo “Morte all’America”. Presente anche il primo ministro iracheno, Adil Abdul-Mahdi. La processione ha accompagnato le salme di Soleimani e del suo principale collaboratore in Iraq, Abu Mahdi al-Muhandis, il “numero due” di Hashed al-Shaabi, la coalizione di milizie filo-Teheran, integrate nelle forze di Baghdad, anche lui rimasto ucciso nel raid statunitense. Il corteo funebre è partito dal quartiere di Kazimiya a Baghdad, roccaforte sciita nella capitale irachena, diretto verso la Green Zone, il quartiere dove si trovano gli edifici del governo e delle ambasciate e dove si tiene il funerale ufficiale. I missili lanciati dal drone americano e che hanno polverizzato le due macchine in cui viaggiavano Soleimani e Mouhandis hanno causato in tutto dieci vittime: cinque iracheni e cinque iraniani. Le bare dei cinque iracheni sono state portate a Kazimiya su pick-up sormontati dalla bandiera nazionale e che hanno attraversato la folla di migliaia di persone, tutte vestite di nero. I feretri dei cinque iraniani erano invece sormontati dalla bandiera della Repubblica Islamica. Alcuni tra la folla innalzavano i ritratti della Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, o del leader libanese di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Dopo la parata di Kazimiya, nella Zona verde di Baghdad si è tenuto il funerale ufficiale alla presenza di molti leader iracheni. Al termine, la salma di Soleimani è stata portata anche nelle città sante per gli sciiti, Kerbala e Najaf, prima che il suo corpo venga riportato in Iran dove Soleimani avrà un altro funerale. “Il sangue del martire Soleimani sarà vendicato il giorno in cui vedremo la mano malvagia dell’America essere tagliata via per sempre dalla regione”, ha detto il presidente iraniano, Hassan Rouhani, nel corso di una visita ai familiari del generale ucciso. Per adesso sono solo parole. Ma secondo l’intelligence militare israeliana, i comandi militari iraniani avrebbero già individuati 35 target americani in Medio Oriente possibili obiettivi di una risposta militare.

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