Chi era il generale Qassem Soleimani, assassinato su ordine di Donal Trump

Il militare era dal 1998 comandante della Forza Qods, la divisione della Guardie della rivoluzione responsabili delle operazioni oltre confine.

Manifestazioni di protesta per l'assassinio di Solemaini
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3 Gennaio 2020 - 14.12


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Un pericoloso terrorista? No. Un generale iraniano che ha portato avanti la politica del suo paese. Con i metodi discutibili propri di tutti i paesi non solo di quella regione (l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia) ma anche di altri, compreso Trump.
Stratega ed esecutore della penetrazione militare e politica dell’Iran in Medio Oriente, la carta vincente che ancora permette alla Repubblica islamica di resistere alle pressioni militari ed economiche degli Usa: era questo il ruolo del generale Qassem Soleimani, che qualcuno è arrivato a definire come il personaggio più potente della Repubblica islamica dopo la Guida suprema Ali Khamenei.
Riconosciuto solo grazie al suo anello dopo il bombardamento americano che la scorsa notte lo ha ucciso a Baghdad, Soleimani era dal 1998 comandante della Forza Qods, la divisione della Guardie della rivoluzione responsabili delle operazioni oltre confine. Ma fino a pochi anni fa era rimasto una figura avvolta nel mistero.
A proiettarlo alla ribalta della scena internazionale è stata la guerra civile in Siria, che lo ha visto coordinare decine di migliaia di miliziani sciiti provenienti da Libano, Iraq, Afghanistan e Pakistan impegnati nei combattimenti al fianco delle truppe del presidente Bashar al Assad. Grazie a questi eventi e alla direzione di milizie irachene nella guerra all’Isis, il generale dei Pasdaran ha acquisito una popolarità tale da far parlare di lui come di un possibile candidato alla successione di Hassan Rohani alla presidenza iraniana.
Soleimani, 62 anni, formatosi durante gli anni della guerra con l’Iraq di Saddam Hussein negli anni ’80, rispondeva direttamente a Khamenei e con lui studiava le mosse da intraprendere sullo scacchiere regionale, escludendo all’occorrenza anche gli organi istituzionali del governo Rohani. A dimostrarlo fu lo scorso anno la visita da lui direttamente organizzata di Assad a Teheran all’insaputa del ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, che per protesta rassegnò le dimissioni, poi ritirate.
Sotto la direzione di Soleimani e con la benedizione di Khamenei l’Iran ha sviluppato negli ultimi 20 anni la sua influenza nella regione portando a compimento un progetto avviato con la rivoluzione khomeinista del 1979, aiutato in questo dagli sconvolgimenti che hanno investito il Medio Oriente, a partire dall’abbattimento del regime iracheno di Saddam nel 2003 ad opera degli Stati Uniti.
Il braccio armato di cui si è servito è la Forza Qods, di cui non si conosce il numero esatto degli effettivi. C’è chi parla di 10-20mila uomini. Ma la divisione speciale dei Pasdaran – inseriti lo scorso anno dagli Usa nella lista dei gruppi terroristi – opera soprattutto nell’organizzazione e la direzione di milizie non statali fedeli a Teheran, e non solo sciite: dagli Hezbollah libanesi a Hamas e Jihad Islamica in Palestina, agli Houthi in Yemen, ai volontari provenienti dall’Asia impegnati in Siria.
In Iraq, infine, la Forza Qods dirige alcune delle forze meglio armate e organizzate della galassia delle cosiddette Milizie della mobilitazione popolare (Hashd Shaabi), create nel 2014 per combattere l’Isis. Ma che oggi rappresentano una straordinaria forza militare a disposizione di Teheran e un mezzo per penetrare gli apparati di sicurezza del Paese. E proprio a Baghdad Soleimani aveva dato prova anche della sua influenza politica, coordinando le trattative – ancora in corso – per la formazione del nuovo governo dopo le dimissioni del primo ministro Adel Abdel Mahdi.

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