Giulio Regeni, tre anni di mistero: la storia della lotta per la verità
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Giulio Regeni, tre anni di mistero: la storia della lotta per la verità

Dal 25 gennaio del 2016 fino ad oggi, tutta la storia di Giulio Regeni, tra misteri, depistaggi e rapporti diplomatici

Verità per Giulio Regeni
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5 Maggio 2019 - 09.04


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Sono tre anni che l’hashtag #VeritàperGiulioRegeni vive sui social, in alcuni giorni più debolmente, in altri, come questo oppure il 25 gennaio, anniversario della scomparsa del ricercatore 27enne veneto, con più vigore. La storia di Giulio Regeni, avvolta nel mistero, potrebbe avere una svolta oggi, con la testimonianza di un uomo che avrebbe sentito uno dei cinque agenti dei servizi segreti egiziani indagati dalla Procura di Roma confessare l’omicidio del ragazzo.
L’omicidio
L’ultima testimonianza di Giulio da vivo è un messaggio mandato alla fidanzato il 25 gennaio del 2016, in cui scriveva che si stava recando a Piazza Tahrir, a Il Cairo, per il compleanno di un amico. Non ci arriverà mai: gli amici, già nelle ore successive, cominciano a mettere annunci sui social, ma nessuno sa che fine abbia fatto il ragazzo. 
Il suo corpo senza vita e terribilmente martoriato viene ritrovato solo il 3 febbraio, lungo l’autostrada che collega Il Cairo a Giza. Non lontano, sorge una base dei servizi segreti egiziani. 
La reazione egiziana
Fin dall’inizio, le autorità egiziane propongono delle versioni sempre più incredbili per giustificare l’accaduto: dall’incidente stradale, fino all’omicidio passionale per arrivare allo spaccio di droga. Tutte storie non solo incompatibili con la storia personale di Giulio, ma soprattutto con le ferite che aveva su tutto il corpo: bruciature di sicurezza, una vertebra spezzata, costole rotte e ferite da taglio, tutti segni che mostravano come il ragazzo fosse stato orribilmente torturato prima di morire.
Infine, il 24 marzo del 2916, le autorità egiziane informano di aver identificato i cinque responsabili della morte del ragazzo. I cinque muoiono tutti in uno scontro a fuoco con la polizia e a casa di uno di essi, come prova inconfutabile, vengono ritrovati i documenti di Regeni. Caso chiuso, almeno per l’Egitto. Ma la Procura di Roma sente che c’è qualcosa che non torna. Fino a che non si scopre che quei documenti sono stati portati lì da un membro dei servizi segreti egiziani. E allora cambia tutto.
Le indagini
Regeni si trovava in Egitto per svolgere una ricerca con l’università di Cambrdige sui sindacati di base. Per lavoro, dunque, aveva conosciuto il capo degli ambulanti, Muhammad Abdallah. Spuntò un video in cui si vede Abdallah cercare di incastrare Giulio con una richiesta di denaro. La Procura di Roma ha quindi ipotizzato che sia stato proprio Abdallah a vendere Regeni ai servizi segreti, che lo pensavano una spia inglese. L’Egitto non ebbe altra scelta che ammettere che Regeni era stato effettivamente indagato, ma dai documenti ufficiali non risultava che il ragazzo fosse stato accusato di qualcosa. 
La Procura, infine, iscrive al registro degli indagati cinque agenti egiziani e l’8 aprile del 2016, quando appare evidente non solo la reticenza ma persino l’insofferenza egiziana davanti alle insistenze italiane, Roma richiama il suo ambasciatore. La reazione egiziana indigna la comunità internazionale e divenne particolarmente famoso il video di uno sfogo di una giornalista, Rania Yussef – che in seguito si scusò ma non ritrattò – che mandò letteralmente al diavolo l’Italia e Giulio, sostenendo che si stava mettendo su un complotto contro l’Egitto. 

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I rapporti diplomatici con l’Egitto sono ripresi nell’agosto del 2017, tra le proteste degli attivisti e dei genitori di Giulio. Con la svolta di oggi, la speranza è che finalmente si faccia luce su questo mistero e si dia una risposta al perché un ragazzo è dovuto morire in questo modo orribile. 

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