"Siate la goccia che dà il via alla tempesta": Claudio Locatelli racconta Lorenzo Orsetti
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"Siate la goccia che dà il via alla tempesta": Claudio Locatelli racconta Lorenzo Orsetti

L'intervista a Claudio Locatelli, il giornalista combattente al fianco delle milizie curde, amico di Lorenzo Orsetti, ucciso oggi dall'Isis

Lorenzo Orsetti
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

18 Marzo 2019 - 20.10


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Risponde subito Claudio Locatelli, probabilmente oggi non avrà fatto altro. Poche ore fa ha diffuso su Facebook le ultime parole di Lorenzo Orsetti, nome di battaglia Tekoşer, “lottatore”, ucciso dall’Isis che era andato a combattere al fianco delle milizie curde. Come Claudio, il ‘giornalista combattente’. Si conoscevano, Claudio e Lorenzo, e la sua voce, sempre fermissima, diventa concitata mentre parla di lui, di Orso, di ciò che l’ha spinto ad andare in una terra lontana, a combattere per ciò in cui credeva.

 

Come avevi conosciuto Lorenzo?

L’ho visto la prima volta mentre stava cominciando il suo percorso di combattente, dall’Iraq alla Siria, e mentre io invece ne stavo uscendo. Insieme saremo stati non più di due settimane. Mi ha colpito una cosa di lui, immediatamente: era lucido, era consapevole. Aveva fatto una scelta e la stava portando fino in fondo. Non è una cosa scontata, nemmeno lì, sul campo di battaglia. Lui era veramente così, come era scritto sulla sua lettera.

 

C’è un passaggio, molto bello, nella sua lettera: “non cedere alla rassegnazione, non perdete la speranza”. Con chi stava parlando, secondo te? Con chi ancora combatte o con noi, qui in Italia?

Parlava più per chi è qui in Italia, ne sono sicuro. Lo ripeto, di mestiere faceva il cuoco, era un uomo estremamente pratico. Lui lo sapeva che le cose non cambiano se non si combatte, ma che la guerra non si fa solo coi kalashnikov. Si lotta anche con l’impegno, con la difesa di quei valori che lo hanno spinto a venire qui. Ma per lottare devi comprendere, e lui conosceva l’importanza di far capire le ragioni della lotta. L’ultima frase della sua lettera, quel “ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi, quella goccia”. Ecco, questo era Lorenzo.

 

Oggi Manlio Di Stefano (Sottosegretario di Stato al Ministero degli affari esteri) ha detto, commentando la morte di Lorenzo che “c’è un’idea romantica della guerra, di andare a combattere”. Cosa gli risponderesti?

Chiariamo una cosa: quando c’è stato il terremoto in centro Italia, centinaia di volontari sono andati per aiutare. Loro erano come Lorenzo. È gente mossa da solidarietà. Non è diverso solo perché Lorenzo è andato in Siria. Non stava combattendo per i curdi e basta, combatteva per noi, per tutti noi. Lo ricordiamo tutti il Bataclan, lo ricordiamo tutti il mercatino di Natale a Berlino. Lorenzo combatteva perché cose del genere non accadessero più. Combatteva contro un modo di pensare, il modo di pensare dell’Isis, e sia chiaro: non è diverso da ciò che ha pensato Luca Traini a Macerata, o Brenton Tarrant in Nuova Zelanda. Questi sono vigliacchi, mossi da un’idea di supremazia di una razza su un’altra, di una religione su un’altra. Lorenzo combatteva per l’uguaglianza e la libertà di tutti.

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