In Tunisia tornano gli attentati kamikaze. Dalla rivoluzione dei gelsomini a oggi cosa è cambiato
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In Tunisia tornano gli attentati kamikaze. Dalla rivoluzione dei gelsomini a oggi cosa è cambiato

La donna che ha fatto scoppiare la cintura esplosiva ha scelto di farlo davanti al teatro comunale, forse il luogo più significativo della rivolta popolare contro Ben Ali

L'attentatrice
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Diego Minuti Modifica articolo

29 Ottobre 2018 - 14.50


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Non un ”semplice” attentato suicida, quello messo a segno questa mattina nel centro di Tunisi, ma un colpo anche al recente passato del Paese perché attuato in avenue Bourghiba, la strada principale della capitale, intitolata al Padre della Patria e teatro, nelle settimane della Rivoluzione dei gelsomini, delle più massicce manifestazioni contro il dittatore Ben Ali, così come di quelle che, conquistata la libertà, segnarono il punto più alto del contrasto tra islamisti e riformisti laici.
Perché la donna che ha fatto scoppiare la cintura esplosiva che celava sotto un’ampia casacca, dilaniandosi il ventro e morendo all’istante, ha scelto di farlo davanti al teatro comunale, forse il luogo più significativo della rivolta popolare contro Ben Ali perché era lì che si concentravano i manifestanti, era sulla breve scalinata che porta all’edificio che venivano issati i cartelli contro la dittatura. Ma anche perché il teatro si trova a poche decine di metri dal Ministero dell’Interno (ancora oggi pesantemente presidiato) e dall’ambasciata francese, che ricorda ancora oggi un periodo storico del Paese legato ad una forma di protettorato molto vicino all’occupazione militare.
Ed è vicino, oltre a bar, caffè e ristoranti ed al frequentatissimo hotel Afrika, anche al Palmarium, un piccolo, ma frequentatissimo centro commerciale, meta quotidiana di molti turisti che vi fanno una puntatina prima di sciamare per il dedalo di viuzze della Medina a caccia di buoni affari. Le indagini hanno accertato quasi subito l’identità dell’attentatrice suicida. Si chiamava Mouna Guebla, aveva 31 anni, era nubile, disoccupata ed era originaria di Zarda, a poca distanza da Mahdia. Stando a quanto gli investigatori hanno potuto apprendere, era conosciuta come salafita. Nei momenti immediatamente precedenti all’attentato, su avenue Bourghiba e nelle strade vicine sono state viste sei donne che indossavano il niqab, circostanza che potrebbe anche far pensare ad altri complici.
Insomma, a meno che l’attentatrice suicida – che nella sua azione ha ferito, alcuni in modo grave, una decina di persone – non abbia dovuto stravolgere il suo piano all’ultimo istante forse vedendo i molti/troppi agenti posti a protezione del ministero dell’Interno , la scelta del marciapiede del teatro, davanti al quale stazionava una pattuglia, è fortemente simbolica e, a suo modo, esplicativa della magmatica situazione politica e di sicurezza che vive il Paese.
Avenue Bourghiba, in estrema semplificazione, collega il mare alla Medina e lo fa passando davanti a molti simboli del Potere, al di là di chi, nel tempo, lo ha detenuto. Colpire nella strada che ricorda il padre-padrone della Tunisia post-coloniale non può essere casuale, quale che fosse – semmai c’era uno- il bersaglio prefissato. Ma farsi saltare in aria nella strada più affollata della città, sempre gremita di ragazzi (si trova a poca distan za da strutture scolastiche e di educazione superiore) che bighellonano tra bar e negozi, significa che chi ha pianificato l’attacco – apparendo ben difficile che tutto possa essere stato progettato e preparato dall’attentatrice – voleva infliggere un colpo durissimo allo Stato, voleva far capire che il terrorismo, quale che ne sia la matrice e chi ne siano i propalatori, è ancora vivo, nonostante i rovesci che le forze armate tunisine gli hanno inflitto.

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