Ressa nella città natale di Soleimani, almeno 40 morti e 200 feriti: rinviata la sepoltura
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Ressa nella città natale di Soleimani, almeno 40 morti e 200 feriti: rinviata la sepoltura

Sono milioni le persone scese in piazza nella città natale del generale iraniano, come riporta l'emittente Press tv, spiegando che a Kerman viene oggi seppellito anche il generale Hossein Pourjafari.

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7 Gennaio 2020 - 10.34


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E’ salito ad almeno 40 morti il bilancio dei morti nella calca ai funerali di Qassem Soleimani a Kerman. Ne dà notizia la televisione di Stato iraniana. Oltre ai mort i accertati ci sono 213 feriti, ha detto il responsabile nazionale dei servizi d’emergenza. Le esequie del generale iraniano ucciso durante un blitz Usa sono state per il momento sospese.

Sono milioni le persone scese in piazza nella città natale del generale iraniano, come riporta l’emittente Press tv, spiegando che a Kerman viene oggi seppellito anche il generale Hossein Pourjafari, ucciso insieme a Soleimani. Si stima che ieri a Teheran siano stati sette milioni i partecipanti alla cerimonia funebre.

Chi è sceso in piazza sta sventolando bandiere iraniane e immagini del generale, mentre dagli altoparlanti vengono intonati canti funebri. Le cerimonie odierne concludono i tre giorni di lutto proclamati dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, per la morte del comandante delle Forze al-Quds.

La Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, vuole che siano le forze iraniane a vendicare formalmente Soleimani. Lo scrive il ‘New York Times’, citando tre fonti vicine al Consiglio della sicurezza nazionale iraniano al quale Khamenei ha dettato la linea. La risposta, ha detto Khamenei, deve essere ”un attacco diretto e proporzionato agli interessi americani”. E a condurre questo attacco devono essere ”le stesse forze iraniane”, scrive il ‘New York Times’. Si tratta di un fatto nuovo per la leadership iraniana, dal momento che dalla Rivoluzione islamica del 1979 Teheran ha quasi sempre mascherato i suoi attacchi dietro azioni di propri inviati nella regione.

Dal canto suo il capo del Pentagono Mark Esper ha negato che ci sia un piano per il ritiro delle truppe americane dall’Iraq dopo il raid aereo di venerdì. ”Non è stata presa alcuna decisione di andarsene dall’Iraq. Non abbiamo elaborato alcun piano”, ha detto Esper. Il riferimento è a una lettera scritta da un generale americano, il capo della task force Usa in Iraq William Seely, e diffusa su Twitter dopo essere stata inviata al governo di Baghdad nella quale si faceva riferimento a un ”riposizionamento delle forze (Usa, ndr) nei prossimi giorni e nelle prossime settimane”.

Nel frattempo l’Iraq ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di condannare formalmente il raid aereo americano di venerdì a Baghdad che ha portato all”’assassinio” di Soleimani e del numero due delle milizie sciite delle Unità di protezione popolare Abu Mahdi al-Muhandis. Si tratta di una ”evidente violazione” rispetto alla presenza delle forze americane nel Paese e di una ”pericolosa escalation che potrebbe portare a una guerra devastante in Iraq, nella regione e nel mondo”, ha detto l’ambasciatore iracheno presso le Nazioni Unite Mohammed Hussein Bahr Aluloom. Per questo, il diplomatico ha chiesto che il Consiglio riconosca la responsabilità ”di chi ha commesso simili violazioni”. In una lettera, Bahr Aluloom chiede anche ”che l’Iraq non sia trascinato in crisi regionali e internazionali” per evitare che prevalga ”la legge della giungla”.

 

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