Addio all'edizione notturna dei Tg regionali: Fuortes taglia (ancora) e i giornalisti protestano
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Addio all'edizione notturna dei Tg regionali: Fuortes taglia (ancora) e i giornalisti protestano

Le dichiarazioni di fuoco dell'Usigrai si scagliano contro l'Ad che tira dritto con il sostegno del Cda. La chiusura è prevista dal 9 gennaio. Ma la vera rivoluzione sarebbe una riforma dell'informazione della Tv pubblica

Addio all'edizione notturna dei Tg regionali: Fuortes taglia (ancora) e i giornalisti protestano
Una giornalista del Tgr legge il comunicato dell'Usigrai
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27 Novembre 2021 - 19.54


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Di Leonardo Antonelli

La mannaia sui costi promessa dall’Ad della Rai Carlo Fuortes in concomitanza con il suo insediamento a luglio si è abbattuto anche sull’informazione della Tv pubblica.

Dopo aver annunciato alcuni tagli di spesa a carico delle reti Rai, dal 9  gennaio anche le redazioni regionali (le più penalizzate) dovranno fare i conti con una pesante riduzioni di palinsesto, ossia rinunciare all’edizione notturna del Tg che va in onda per 5 minuti all’interno della trasmissione “Linea Notte”.  

Le motivazioni della sforbiciata dell’Ad Fuortes sono da additare ad un fattore “assolutamente editoriale” dato che il costo di queste edizioni, solo per il solo personale,  si aggirerebbe intorno ai 4 milioni di euro, ma anche ad un “crollo dello share”.

Specifico subito che le edizioni dei telegiornali regionali della mattina, del pomeriggio e della sera vanno benissimo, con ascolti che si aggirano attorno ai 3 milioni di spettatori ed uno share che oscilla tra il 15 e il 20%, battendo più volte sia la concorrenza che i programmi della rete ammiraglia della Rai, quindi il problema è legato solo a quella particolare fascia oraria.

Alle parole di Fuortes si è scatenato un vespaio di reazioni molto dure, dapprima da parte del sindacato dei giornalisti interno all’azienda, l’Usigrai, che ha replicato seccamente in una nota: «Apprendiamo dalla stampa che l’ad vorrebbe tagliare l’edizione notturna del Tg delle redazioni regionali.

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In pratica si vuole spegnere la presenza del Servizio Pubblico sul territorio per quasi 12 ore al giorno: dalle 19.30 della sera alle 7 del mattino. Una presenza che ha garantito tempestività in occasione di eventi cruciali per il nostro Paese. Facendo così una cortesia alla concorrenza privata che da anni chiede di ridimensionare la Rai per conquistare spazi».

«Tutto questo senza alcun confronto sindacale, in palese violazione di qualunque norma contrattuale. Un vertice — è sottolineato nella nota — che ancora non ha saputo presentare un progetto di futuro, e che per il momento ha solo effettuato nomine di spartizione politica, ora vuole realizzare i sogni di chi vuole una Rai ridimensionata. L’Usigrai è sempre pronta al confronto sul cambiamento. Ma si opporrà con forza a tagli indiscriminati».

Le proteste però sono continuate anche nella giornata del 25 novembre, dove l’acme polemico ha coinvolto le edizioni delle 14:20, nelle quali, in simulcast, tutti i conduttori dei Tg regionali hanno letto questo comunicato congiunto firmato sempre dall’ Usigrai al termine del tg: “Dal 9 gennaio avrete un pezzo di informazione regionale in meno. Verrà cancellata l’edizione notturna.

Uno spazio informativo del nostro territorio che scompare e che non sarà in alcun modo sostituito da altri spazi di informazione locale. Una decisione inaccettabile, giustificata dall’azienda con gli ascolti bassi, ma che in realtà sono gli stessi di sempre, anzi la Tgr rappresenta, ad ogni appuntamento nel corso della giornata, il picco di share della rete, notte compresa“.

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“Lo stesso amministratore delegato che aveva definito la Tgr un presidio democratico sul territorio, oggi sceglie di chiudere le sedi alle 20. Undici ore senza alcuna copertura territoriale, con ripercussioni sull’intera informazione nazionale.  Per questo motivo le giornaliste e i giornalisti della Rai daranno avvio a forme di mobilitazione per difendere il diritto dei cittadini ad essere informati“.

Infine, quasi per chiudere un cerchio che difficilmente troverà la quadra con queste dichiarazione d’intenti, è arrivata la replica della Rai che ha affermato: “La misura che verrà adottata non ridurrà di un minuto l’informazione notturna sulle reti Rai. Si tratta di un provvedimento teso a razionalizzare l’impiego di energie e che non priverà le sedi regionali dell’Azienda di presidi per la copertura di eventuali emergenze. 

La scelta è stata compiuta mantenendo continuo il flusso informativo del canale Rainews24 sul quale avranno la possibilità di convergere le informazioni provenienti dal territorio italiano“.
Al netto delle note e dichiarazioni che vedono schierate tutte le pedine sulle proprie posizioni: Fuortes, Usigrai e Rai in qaunto azienda, c’è un velo di Maia che è stato strappato e che anche la querelle sulle nomine dei tg della scorsa settimana ha contribuito a squarciare: la necessità di una seria e tempestiva riforma dell’informazione della Tv pubblica.

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Il solo ridimensionamento di alcune edizioni dei telegiornali regionali risulterebbe una mossa per tamponare l’emorragia di denaro utilizzato per informare il Paese.
Intorno alla Rai tutte le piattaforme web, radio e Tv stanno rimodulando l’offerta informativa in base alle nuove esigenze della platea che ci si appresta ad informare.

La stessa Mediaset sta attuando una riorganizzazione dell’informazione, gestita principalmente da Tgcom 24, che in questi anni ha cannibalizzato in particolar modo l’informazione dei canali tradizionali, grazie alla collaborazione con le radio del gruppo e con una maggiore presenza su internet.

Un piano di riforma dell’informazione la Rai ce l’avrebbe pure, è datato 2016 ed è stato curato da Carlo Verdelli, chiamato appositamente dall’allora Dg Campo Dall’Orto per redarlo, salvo poi essere cassato per meri interessi politici, come lui stesso ha ammesso.

Ecco, il ritornello del “buttare la politica fuori dalla Rai” potrebbe passare proprio dall’approvazione di un coraggioso quanto necessario piano di riorganizzazione informativo, senza il quale l’azienda rischia seriamente di trovarsi in difficoltà per via dei costi sempre più alti utilizzati per tenere in piedi un sistema che semplicemente non regge più.

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