Quali gli errori del governo per contrastare la grave crisi economica? E quali le alternative?
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Quali gli errori del governo per contrastare la grave crisi economica? E quali le alternative?

Gli obiettivi che il governo si poneva con il decreto rilancio non saranno conseguiti: sono stati commessi errori di metodo, di azione e di strategia.

Conte, Patuanelli e Speranza
Conte, Patuanelli e Speranza
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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

24 Maggio 2020 - 15.44


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Dopo l’emanazione dell’ultimo decreto a sostegno dei lavoratori e delle imprese risulta evidente, così come abbiamo rappresentato nei nostri articoli ( “Cosa c’è di buono e di cattivo nel decreto rilancio” 16.5 e altri) che gli obiettivi che il  governo si poneva con la loro adozione, ancorchè apprezzabili sotto il profilo delle intenzioni, non saranno affatto conseguiti.

Le ragioni appaiono sufficientemente chiare: sono stati commessi errori di metodo, di azione e di strategia.

Sotto il profilo del metodo, in considerazione di una crisi del tutto nuova, la prima cosa da fare, prima di agire, doveva essere quella di prendere atto della impreparazione di tutti gli attori in campo e creare quindi dei tavoli di lavoro permanenti con tutte le più importanti associazioni di categoria per trovare in forma concertata e adattiva le possibili soluzioni più idonee che via via emergevano, sia sul piano programmatico che attuativo. Si è voluto invece operare con un approccio top-down, con una raccolta delle istanze fatta in forma generica ed approssimativa, con una sostanziale standardizzazione degli interventi adottati, fondamentalmente basata sulla dimensione aziendale, su agevolazioni finanziarie e fiscali di tipo convenzionale, elaborate dai tecnici del Mef secondo schemi abituali, e con una scarsissima dose di quei contenuti innovativi che la unicità della situazione richiedeva.

Sul piano dell’azione è stato deciso di fare ricorso in forma massiccia alla fonte più preziosa che un paese ha a disposizione per fronteggiare i propri fabbisogni prioritari rappresentata dal debito pubblico, ma che nel nostro caso è anche quella ad altissimo livello di rischio per la stabilità dell’intero sistema socio-economico, per attuare interventi di natura emergenziale, indirizzati ad alleviare le ferite che la pandemia stava aprendo nei vari settori della società, senza fissare preventivamente degli obiettivi macroeconomici preminenti verso cui incanalare e finalizzare le risorse di cui si poteva disporre per eliminare la causa di generazione delle ferite; accrescendo in questo modo i rischi correlati ad una ulteriore crescita della nostra vulnerabilità finanziaria. I provvedimenti sono stati emanati peraltro con poca attenzione all’elemento più rilevante che il contesto che si stava sviluppando richiedeva, rappresentato dalla tempestività della loro esecuzione.

Questa crisi richiedeva prevalentemente misure di natura strutturale, ossia quelle che servono a mantenere in vita le imprese e i loro posti di lavoro e solo in via subordinata misure di natura assistenziale che possono avere logicamente solo una durata limitata e che lasciano irrisolti tutti i problemi di fondo creati dalla crisi. 

Si è prodotta di fatto una improvvisa desertificazione sul terreno dove vivono le attività economiche e bisogna individuare ed applicare i rimedi per questo tipo di problema, creando dei canali di irrigazione permanenti: non si può far regredire il deserto spruzzando acqua dall’alto per un tempo limitato; l’acqua in questo modo viene assorbita rapidamente ed il deserto rimane deserto.

Si è sprecata in questo modo molta acqua per poi lasciare presto le terre arse di sete.

 

Sul versante della strategia il governo ha ritenuto che il pilastro centrale su cui fondare la via d’uscita dalla crisi devastante in cui siamo piombati fosse rappresentato dagli aiuti europei, confidando che questi, in funzione della peculiarità della situazione, potessero giungere in forma corposa, tempestiva, solidale e rispondente alle specifiche esigenze determinatesi, sulla base di un cambiamento radicale dei paradigmi dominanti nell’ultimo decennio nella élite degli stati più influenti. Ha di conseguenza puntato prima sugli Eurobonds e poi ha ripiegato sui trasferimenti a fondo perduto tramite il Recovery Fund. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che non avremo certamente gli uni, e se avremo gli altri saranno di dimensioni molto limitata. Sulla base di questo presupposto ha frammentato le linee d’azione di primo intervento in un complesso di provvedimenti ad ampio raggio ma parziali, di natura tradizionale e conseguentemente poco incisivi, rinviando ad una fase successiva la elaborazione di un piano organico di risanamento e di rilancio del paese, da fondare proprio sugli aiuti esterni. Il governo ha in pratica deciso di incentrare la sua azione di politica economica concentrandosi prima sui problemi microeconomici utilizzando risorse che pesano molto sul bilancio statale e che incidono in misura poco significativa per i singoli beneficiari e rimandando ad una fase successiva le modalità con cui affrontare i temi macroeconomici; delegando di fatto questo secondo passaggio cruciale alle istituzioni europee. Si tratta purtroppo di una valutazione profondamente errata, perché ahinoi, dall’Europa come abbiamo avuto modo più volte di affermare e di constatare gli aiuti che arriveranno non corrisponderanno a ciò di cui abbiamo realmente bisogno, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.

Sulla scorta di questa convinzione (su cui speriamo di sbagliarci) riteniamo che non sia ulteriormente procrastinabile agire su due linee di azione principali:

l’elaborazione di un piano di risanamento e di rilancio di medio termine credibile che fa leva su tutti i punti di forza del paese e su una chiara discontinuità con il passato nella rimozione dei mali endemici;

l’adozione di un pacchetto di misure potenti ed innovative che incanalano risorse in modo corposo, fluido e tonificante su imprese e domanda interna ed in grado quindi di provocare un controschock positivo nello sviluppo economico di tutto il paese; evitando tuttavia di accrescere la vulnerabilità finanziaria del sistema. 

Sulla base di queste valutazioni nei nostri numerosi articoli pubblicati su questo giornale dal 3.3 ad oggi abbiamo detto come si sarebbero dovuti utilizzare gli 80 miliardi di euro di nuovo debito pubblico e presentato alcune proposte quali: i bond europei solidali, il fondo di rilancio, il fondo di solidarietà, il fondo di ricapitalizzazione, i certificati fiscali di spesa, la cassa per l’emergenza Italia e i fondi strategici settoriali.

Sono proposte che puntano ad intervenire in modo robusto, mirato ed efficace, sia sulla struttura dell’offerta (imprese), sia sulla struttura della domanda interna (consumi ed investimenti privati e pubblici), per creare le condizioni in cui tutti ritrovino le normali fonti di alimentazione del proprio reddito per ridare un senso di stabilità al futuro e non aiuti estemporanei e limitati che danno al contrario la certezza della instabilità totale del proprio destino. Riteniamo queste proposte ancora attuabili ed oggi presentiamo più in dettaglio gli “FSSS” ossia i “Fondi Strategici Settoriali Solidali”

         

Gli FSSS sono dei fondi d’investimento originati dallo stato, dedicati a settori economici specifici, che investono le loro risorse in aziende particolarmente colpite dalla crisi, con la finalità di dare sostegno finanziario in modo conforme alle esigenze particolari di ogni singolo cluster di imprese, con un approccio solidale tra tutte i soggetti appartenenti alla categoria, fino al ritorno alla piena normalità.

Lo scopo di questa iniziativa è quella di: fornire sostegno finanziario con logiche non perseguibili dalle banche per tutte le piccole e medie imprese fino a 250 milioni di fatturato; creare un veicolo di risanamento aziendale supportato in forma mista publico/privato; intervenire per fronteggiare la crisi su ogni singola impresa in forma non standardizzata ed in forma adeguata alle specifiche necessità di ogni soggetto economico.

Il loro meccanismo di funzionamento sarebbe il seguente:

  1. lo stato crea una “Cassa per l’emergenza Italia”, ossia una holding che gestisce, coordina e controlla i vari FSSS creati (turismo, commercio, trasporto, piccola industria, ecc…..);
  2. per ogni fondo la cui governance viene affidata ai rappresentanti della categoria cui il fondo è dedicato, la Cassa per l’emergenza Italia di concerto con le categorie di imprese stabilisce un valore di risorse di cui ogni fondo deve essere dotato per operae ( es: turismo 10 mld);
  3. per ogni fondo lo stato tramite la Cassa apporta un capitale iniziale pari al 10% della capacità di spesa del fondo (es: turismo 1 mld.);
  4. aderiscono al fondo tutte le imprese iscritte nelle associazioni di categoria aderenti;
  5. il fondo finanzia la propria dotazione di capitale attraverso la emissione di obbligazioni bullet a 10 anni collocate sul mercato;
  6. agli obbligazionisti viene riconosciuto un interesse annuo attraente (esempio: 4/5%, un rendimento adeguato alla tipologia di bond di fondi che investono in capitale di rischio ma con ampie garanzie);
  7. il fondo alimenta le proprie entrate con una commissione corrisposta dalle imprese aderenti al fondo commisurata al proprio fatturato (es. turismo 2% , gettito annuo previsto 2 mld); tali entrate saranno utilizzate per pagare gli interessi agli obbligazionisti, per sostenere le spese di gestione del fondo e per creare un buffer di garanzia;
  8. il fondo sostiene le imprese che ne fanno richiesta con acquisti di quote di capitale e/o con finanziamenti partecipativi, condizionando l’utilizzo delle risorse a precisi scopi di rilancio, senza entrare nella governance aziendale; il fondo destina anche una parte della sua dotazione per incentivare la domanda di turismo;
  9. su ogni operazione il fondo trattiene una quota del 10% che viene accantonata in un conto di deposito a garanzia, intestato all’impresa sovvenzionata;
  10. 10)Il fondo rilascia al proprietario dell’ impresa sovvenzionata una opzione call  e riceve da quest’ultimo una opzione put; l’opzione call da diritto al proprietario di riacquistare la quota di capitale ceduta al fondo entro un periodo di cinque anni a partire dalla conclusione dell’apporto di capitale, anche in forma graduale e a condizioni di valore prestabilito; il fondo con l’opzione put acquisisce il diritto a partire dal quinto anno di definizione dell’operazione, di vendere il capitale acquisito al proprietario dell’impresa spalmando le vendite su un arco di cinque anni;
  11. 11)tutte le perdite del fondo sugli investimenti effettuati trovano copertura in sequenza di applicazione:
  • nei depositi in garanzia trattenuti sulle singole operazioni (nel caso del fondo turismo: 1 mld);
  • nelle commissioni sul fatturato corrisposte dalle aziende aderenti al fondo (nel caso del fondo turismo: 1.5 mld. – somma residua dopo il pagamento degli interessi agli obbligazionisti);
  • nel capitale apportato dallo stato (nel caso del fondo turismo: 1 mld);
  • in una garanzia statale di ultima istanza e cioè esercitabile solo dopo aver constatato l’incapienza di tutte le altre; tale garanzia è sostanzialmente superflua ai fini pratici della sicurezza del rimborso del bond in quanto le prime tre coprono un rischio di default del 35% (un livello verificabile in uno scenario apocalittico)  ma potrebbe essere necessaria per motivi di accesso al mercato dei titoli di stato che è l’unico che può consentire una raccolta ingente di fondi;
  • con queste modalità di funzionamento gli obbligazionisti hanno un bassissimo rischio di subire perdite sui loro investimenti;
  1. 12)all’ undicesimo anno il fondo viene liquidato e le somme eventualmente residue vengono restituite alle imprese che le hanno versate in forma proporzionale;
  2. 13)ad ogni impresa della categoria che aderisce al fondo viene riconosciuto un beneficio fiscale commisurato all’incremento di fatturato registrato rispetto alla base dati 2019 ridotta di una percentuale congrua (dal 30 al 70%) espresso in crediti d’imposta utilizzabili su un periodo di tre anni (esempio: incremento di fatturato del 20% su base dati 2019= credito d’imposta del 20% sul fatturato incrementale); tutte le operazioni sul capitale avverrebbero in esenzione fiscale;

Questi strumenti servono a soddisfare varie esigenze che gli aiuti così come formulati dai decreti governativi non riescono a fare:

avrebbero una potenza di fuoco molto robusta e potenzialmente adeguata alle effettive necessità che la crisi ha generato;

permetterebbero di intervenire con sostegni adattati alle specifiche esigenze di ogni azienda che vi fa ricorso e non in forma generica e salvaguarderebbero molta capacità produttiva e molti posti di lavoro;

gli impegni effettivi dello stato si esprimerebbero principalmente nell’utilizzo del proprio fattore di rischio e non in esborsi effettivi che aumentano l’indebitamento;

creerebbero uno strumento governato di fatto dalle stesse imprese che vi fanno ricorso;

mobiliterebbero risorse che avrebbero un elevato grado di certezza di afflusso alle imprese e quest’ultime potrebbero programmare il proprio futuro con sufficiente tranquillità;

la solidità che conferirebbero a moltissime imprese in difficoltà eviterebbe di provocare una crescita esponenziale delle sofferenze sul sistema bancario e ciò a sua volta eviterebbe la restrizione del credito associato a tale fenomeno;

genererebbero un grande impatto benefico per tutto il sistema economico perché agirebbero su vasta scala in tutti i settori dell’economia, creando benefici per tutta la collettività e quindi anche per le finanze pubbliche.

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