Ecco perché il Mes non è una buona soluzione per l’italia

Dicono: perché rinunciare a somme così ingenti, 36 miliardi di euro, pari al 2% del nostro pil che potrebbero permetterci di modernizzare tutto in nostro sistema sanitario? Le cose non stanno così

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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

18 Aprile 2020 - 14.09


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Molti illustri esponenti del mondo politico ed istituzionale si sono schierati negli ultimi due giorni a favore del Mes nella versione uscita dalla riunione dell’Eurogruppo del 9 aprile. Lo schieramento trasversale dei favorevoli è impressionante e comprende nomi di assoluta rilevanza, tra cui: Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Enrico Letta, Lorenzo Bini Smaghi, Gentiloni, Sassoli ed altri.

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Le loro argomentazioni di base a sostegno sono: “per quale motivo dovremmo rinunciare a somme così ingenti, 36 miliardi di euro, pari al 2% del nostro pil che potrebbero permetterci di modernizzare tutto in nostro sistema sanitario, dando nel contempo una spinta al nostro sviluppo economico a condizioni di tasso molto vantaggiose? Ci farebbero risparmiare 400 milioni di euro diceva Bini Smaghi nella trasmissione Ottoemezzo di La7 del 16.4, e aggiungeva: altri paesi come la Spagna, la Grecia che hanno già sperimentato il Mes, non hanno rifiutato questa opportunità, sono per caso dei masochisti?

Tutte considerazioni ineccepibili? In apparenza sembrano esserlo.

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Vediamo quindi di approfondire le argomentazioni a sostegno dei favorevoli al Mes per verificare se, ancorché provenienti da fonti certamente autorevoli e degne della massima considerazione, sono effettivamente fondate.

Per dare un senso logico alla nostra analisi, partiamo dal definire il presupposto essenziale: di cosa ha veramente bisogno il nostro paese in questo momento, in conseguenza degli eventi traumatici e per molti versi apocalittici che si sono verificati con la crisi epidemiologica?

Come abbiamo detto già dal primo articolo, scritto e pubblicato il 3 marzo e poi ribadito in tutti i successivi, a seguito dell’inizio della crisi sanitaria il nostro paese ha davanti a sé un obiettivo prioritario assoluto su cui concentrare tutti i propri sforzi, questo è rappresentato dalla necessità di cercare di salvare tutto il nostro sistema produttivo, commerciale e turistico. Solo in questo modo potremo, in tempi ragionevoli, recuperare i nostri livelli di ricchezza, salvaguardare i nostri posti di lavoro e il nostro benessere sociale. Se non lo faremo, o non riusciremo a farlo, non ci sarà nessun piano di investimenti europeo, qualunque sia la sua dimensione, idoneo ad impedirci di subire un pesantissimo arretramento economico e a consentirci di recuperare i nostri livelli attuali di pil, così come faranno gli altri grandi paesi europei.

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Noi non siamo né la Spagna né tanto meno la Grecia (questi paesi non hanno ricchezze private così ingenti come le nostre da salvaguardare), e data la nostra dimensione e la nostra forza dobbiamo confrontarci con paesi come la Germania e la Francia che fanno parte del G7 come noi; questi due paesi (e non solo) non pensano neanche lontanamente di attivare le linee di credito del Mes in campo sanitario e ricorreranno comunque ad ogni altro mezzo per salvare integralmente i loro sistemi produttivi e finanziari. Siamo la seconda industria manifatturiera d’Europa e la settima del mondo, con settori ed aziende di assoluta eccellenza, se in questa crisi non riusciremo a salvare questo asset strategico, perdendo quote rilevantissime di capacità produttiva e di competitività, subiremo un arretramento socio-economico devastante e non riusciremo più a riprenderci per decenni.

Cosa serve fare per salvare il nostro sistema produttivo?

Servono i seguenti interventi più urgenti:
creazione di un “fondo strategico di ricapitalizzazione” con una potenza di fuoco in grado di fare apporti di capitale in tutte le imprese che ne hanno bisogno a prescindere dalla loro dimensione e dalla loro natura; una misura assolutamente necessaria e complementare a quella di concessione di credito, con garanzie statali (fatta in forma efficiente);

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creazione di una “Cassa per l’emergenza Italia” per gestire fondi strategici settoriali finalizzati a dare tutto il sostegno necessario, in ogni forma possibile, ai settori economici più duramente colpiti dalla crisi;

creazione di “categorie protette” di imprese a cui riservare regimi fiscali molto agevolati fino al ritorno alla normalità;

istituzione di un salario di emergenza;

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incentivi fiscali robusti per rilanciare l’edilizia, i consumi e gli investimenti privati;

risorse per modernizzare la pubblica amministrazione e la giustizia civile e penale, al fine di renderle davvero funzionali allo sviluppo economico della nazione.

Queste ed altre iniziative descritte nell’articolo del 4.4 dal titolo” La guerra in economia la vinceremo con le nostre forze: 15 misure da mettere in campo”, richiedono risorse immediatamente disponibili, adeguatamente consistenti e prive di forme di condizionalità stringenti nella gestione del bilancio statale per tutto il tempo necessario al ritorno alla “normalità” economica.
Il Mes, nella versione definita dall’Eurogruppo il 9 aprile può essere utile a dare risposte a tutte queste esigenze?
La risposta è chiaramente ed indiscutibilmente negativa.
Il Mes prevede l’apertura di linee di credito che da un lato accresceranno il nostro debito e dall’altro saranno finalizzate a soddisfare altri obiettivi.
Si potrebbe obiettare tuttavia che in mancanza di alternative, un volume importante di risorse da spendere nel settore sanitario potrebbero comunque generare importanti benefici per il paese.
Purtroppo l’obiezione non è fondata per le seguenti ragioni:
Il nostro paese essendo già molto indebitato ha, soprattutto in una fase di maggiore avversione ai rischi degli investitori, una capacità limitata di assumere nuovo indebitamento;
tutto il nuovo indebitamento assunto per motivi non mirati al superamento delle criticità maggiori comporta una limitazione ulteriore alla possibilità di trovare le risorse necessarie per soddisfare le necessità più impellenti;
le risorse rese disponibili dal Mes, in apparenza senza condizionalità, sono nuovo debito per l’Italia, finalizzato però ad un unico scopo, quello del rafforzamento in campo sanitario;
tali somme se accettate, ancorché disponibili teoricamente subito ( ma non è così), non produrrebbero i loro effetti sull’economia nell’immediato in quanto andrebbero a finanziare in gran parte investimenti infrastrutturali che richiedono tempi non brevi di progettazione e realizzazione; le opere, nella migliore delle ipotesi sarebbero iniziate non prima di 12/18 mesi e sarebbero completate in un arco di tempo di 3/5 anni; di conseguenza gli impatti positivi sull’economia si otterrebbero in un arco di medio termine: è questo ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento?;
Il risparmio degli interessi sul debito (circa l’1% pari a circa 400 milioni per anno, dice Bini Smaghi) lo realizzeremo pienamente solo quando avremo utilizzato tutti i fondi; e cioè tra cinque anni;
a tal proposito si dimentica, tuttavia, che i fondi presi a prestito dal MES, non hanno lo stesso meccanismo di funzionamento delle risorse rivenienti dal collocamento dei titoli di stato; sarà previsto un piano di rimborso che si articolerà su un arco di tempo lungo, presumibilmente 15/20 anni, in cui ogni anno i paesi beneficiari devono rimborsare una quota dei debiti contratti; ciò implicherà che l’Italia, a partire dall’inizio del piano di ammortamento dovrà trovare risorse nel proprio bilancio per circa 2 miliardi di euro per anno, aumentando le entrate o riducendo le spese; di conseguenza gli effetti espansivi iniziali prodotti dagli investimenti nella sanità verranno ad essere riassorbiti gradualmente in futuro; il debito contratto attraverso i titoli di stato, per contro, non vanno in ammortamento, sono rimborsati alle rispettive scadenze mediante l’emissione di altri titoli di stato; la rimborsabilità di questo debito pubblico è assicurata, infatti, unicamente dalla capacità di produrre ricchezza (pil); tutti gli stati del mondo, con rarissime eccezioni, aumentano ogni anno il volume del proprio debito pubblico e questo viene accettato perché anche il pil cresce per effetto dell’inflazione e della crescita reale; di conseguenza il rimborso del debito pubblico senza ricorso ad altro debito pubblico è ,in tutti gli stati del mondo, una rarissima eccezione; si creerà pertanto una evidente situazione di svantaggio, per un lungo arco di tempo, per i paesi che useranno il Mes rispetto a quelli che non lo useranno.
Le stesse problematiche sorgerebbero se si affermasse la soluzione di un fondo europeo per il rilancio secondo lo schema dei “recovery bonds” che sta circolando, ossia un fondo per fare un grande piano di investimenti in tutta Europa; per l’Italia non sarebbe affatto una soluzione ottimale:
le linee di credito concesse dalla commissione europea andranno a finanziare investimenti pubblici fissati da questa istituzione ( probabilmente solo infrastrutture);
I tempi di messa in opera del fondo sotto la regia della Commissione Europea, non sarebbero brevi (sono necessari almeno 6/12 mesi);
i tempi di impatto sulla ripresa dell’economia sarebbero lunghi;
la crescita dell’indebitamento cannibalizzerebbe i margini di manovra per utilizzare il debito per le finalità prioritarie (vi è stato concesso di indebitarvi con il MES e con i “recovery bonds” quindi non potete indebitarvi ulteriormente ci sarebbe detto);
le modalità di rimborso del debito impatterebbero molto negativamente rispetto ad una normale fonte di approvvigionamento sul mercato come i titoli di stato, creando rilevanti problemi di bilancio negli anni futuri; saremmo costretti ogni anno a trovare entrate o ridurre spese per importi molto rilevanti e vivremmo in un regime di austerity di fatto perenne.
Per tutte queste ragioni nell’articolo del 16.4 (“ Mes o Eurobonds? C’è una soluzione: gli “European solidarity bonds”) abbiamo proposto di trovare soluzioni che ci possono davvero servire a risolvere i problemi che abbiamo in questo preciso momento davanti a noi ed abbiamo indicato una strada da perseguire.
Oltre a queste considerazioni, le soluzioni emerse nell’incontro dell’Eurogruppo del 9 aprile, suscitano degli interrogativi a cui non è facile trovare delle risposte razionali.
Se si è reso possibile prestare risorse finanziarie senza condizionalità, per quale ragione l’unica finalità di erogazione accettata in questi termini dai paesi del Nord è riferita alla sanità di ogni paese e non anche ad altri obiettivi primari connessi alla crisi in atto?
Se l’esigenza attuale è quella di fare interventi sul sistema produttivo del paese per salvaguardarlo e di modernizzare il paese per accrescere il suo potenziale, con un volume di risorse stimato nell’ordine del 6/8% del pil, perché in un contesto di scarsa capacità di ricorrere a nuovo indebitamento dobbiamo utilizzare il 2% interamente per un solo obiettivo, non necessariamente tra i più prioritari?
Perché, se siamo ancora in una fase negoziale, e le soluzioni che ci sono state prospettate non sono idonee a soddisfare i nostri obiettivi prioritari, dobbiamo alzare subito bandiera bianca ed accettare le soluzioni subottimali?
E’ più conveniente avere milioni di disoccupati in più subito e ospedali più belli ed efficienti tra cinque anni; oppure molte più aziende che si risollevano, banche che non falliscono, operai che mantengono il proprio posto di lavoro, poveri che non aumentano in modo esponenziale, giovani che trovano lavori dignitosi e che non sono costretti ad emigrare in massa per avere una prospettiva di futuro accettabile, ed ospedali che restano nello stato attuale?
Dare opportunità di sviluppo incondizionato solo nel settore della sanità, in cui c’è molta sensibilità sociale in questo momento, è forse solo un modo per battere un colpo e non offrire troppo il fianco a coloro che dicono che questa Europa non funziona?
E’ quindi pienamente legittimo che in Italia si sia aperto un dibattito molto acceso sul tema del Mes.
Nessun altro paese in Europa si trova nella nostra situazione: per grandezza ed importanza della nostra economia apparteniamo al gruppo dei paesi più forti come Germania e Francia, per ampiezza del volume del debito pubblico apparteniamo al gruppo di paesi più fragili come Spagna e Portogallo. Abbiamo un debito pubblico accumulato che è pari al doppio di quello della Spagna ed un multiplo di 8/9 rispetto a quello di Portogallo e Grecia; dobbiamo stare di conseguenza molto più attenti di questi paesi nel fare passi disinvolti che possono compromettere seriamente ed irrimediabilmente i nostri prossimi decenni di storia.
E chi si sorprende per la discussione animata che è in corso nel nostro paese, sostenendo che dovremmo rallegrarci per la disponibilità ricevuta in sede europea e trascurando invece di chiedersi per quale motivo dovremmo diventare l’unico paese del G7 ad essere costretto a far ricorso ad un fondo salva stati, evidentemente non ha messo bene a fuoco, qual è la delicatezza del momento per la nostra nazione.

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