Paesi del sud contro paesi del nord: chi vincerà la battaglia degli eurobonds il 23 aprile?
Top

Paesi del sud contro paesi del nord: chi vincerà la battaglia degli eurobonds il 23 aprile?

Gli stati del sud faranno bene a non firmare l’accordo nei termini che si vanno delineando e a resistere con la massima determinazione e senza tentennamenti.

Euro
Euro
Preroll

Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

14 Aprile 2020 - 16.40


ATF

I paesi del nord non vogliono gli eurobonds e si oppongono strenuamente alla loro adozione, i paesi del sud capitanati dall’Italia, per contro, li considerano l’unica soluzione efficace per fronteggiare la crisi in corso e si battono altrettanto strenuamente per ottenerli.

Quale sarà il risultato di questa battaglia? Cosa succederà se vinceranno i primi? Cosa succederà se vinceranno i secondi? La soluzione più probabile è che non ci siano né vincitori né vinti e che si risolva tutto con un compromesso?

Innanzi tutto bisogna ricordare che non si tratta di una situazione nuova. Si sta riproducendo la stessa sceneggiatura a cui abbiamo assistito dopo i due relativamente recenti shock sistemici del 2008/2009 e del 2011/2012, ed il risultato sappiamo tutti qual è stato. I paesi del sud hanno perso malamente perché erano in una situazione di chiara e marcata debolezza. La crisi finanziaria prima e dei debiti sovrani poi li aveva messi in una condizione di totale inferiorità. Non avevano alcun ombrello protettivo per fronteggiare la pesantissima ed asfissiante crisi di fiducia degli investitori verso il loro debito e così non hanno avuto alternative ed hanno dovuto accettare scelte volte ad accentuare le asimmetrie, chiaramente in conflitto con le logiche di un’area economica a moneta unica, volute dai paesi del nord e cioè: durissimi piani di austerity sfociati in profondi ridimensionamenti del welfare, regole ferree di gestione dei bilanci, patti di stabilità con percorsi di riduzione del rapporto debito/pil da perseguire a tappe forzate e dulcis in fundo l’adozione dello scelleratissimo principio del pareggio di bilancio. Una miscela micidiale soffocante, fondata su politiche di risanamento che passano da un preventivo ridimensionamento socioeconomico preordinato alla riduzione dei fabbisogni finanziari che ha portato i paesi del sud dapprima a sopportare recessioni dolorosissime e poi a riprendersi con grande fatica, unicamente per effetto delle politiche saggie e lungimiranti di Mario Draghi.

 

Ora il confronto si sta svolgendo partendo da posizioni in campo diverse perché ci troviamo di fronte ad una crisi di natura molto particolare che colpirà duramente tutti i paesi del mondo e produrrà effetti ancora più devastanti delle crisi precedenti citate. Per tale ragione il dogma dell’austerity ad oltranza è stato rimosso d’incanto dal centro del dibattito per la semplice ragione che anche il principale paese europeo ha bisogno di fare ricorso massicciamente all’ indebitamento per rilanciare la propria economia.

E l’esito questa volta sembra essere meno scontato perché lo schieramento dei paesi del sud è diventato più corposo (si è aggiunta la Francia), più determinato e più aggressivo. Inoltre questo fronte è un pò meno vulnerabile alle turbolenze finanziarie perché gode delle armi di protezione messe in campo da Mario Draghi durante il suo mandato. Ma occorre fare molta attenzione alle soluzioni farlocche che verranno proposte, e cioè quelle che vengono presentate come la panacea di tutti i mali ma che sono in realtà  dei colpi di cannone sparati a salve  come per esempio il “Piano Junker” del 2014 che doveva rilanciare attraverso il fondo ESFI (fondo europeo per gli investimenti strategici) la ripresa in Europa con piani d’investimento in nuove infrastrutture per 315 miliardi; un piano ideato per offrire risposte roboanti a chi di fronte ad una crisi che appariva infinita chiedeva che l’Europa desse finalmente concreti segnali di esistenza, rivelatosi all’atto pratico un evidente specchietto per le allodole: nessuno sa che fine ha fatto e quale contributo abbia dato allo sviluppo europeo. 

E’ quindi evidente che i paesi del nord si sono finora sempre rivelati molto più abili nel far prevalere soluzioni funzionali ai loro interessi.

Vediamo allora di capire cosa succederà il 23 aprile nella riunione di tutti i capi di governo europei che cercheranno di chiudere l’accordo rimasto aperto dopo l’aspro confronto nella riunione dell’Eurogruppo del 9 aprile (apparentemente impostato come un match tra Italia ed Olanda). Sarà questo un passaggio di vitale importanza per il futuro di molti paesi europei e soprattutto per il nostro.

Al momento sono state trovate le “tre gambe del tavolo”, come sono state chiamate le tre iniziative messe in campo nella riunione del 9 aprile, e queste sono:

il programma ”SURE” per sostenere il ricorso alla cassa integrazione dei lavoratori; si tratta di  un programma di finanziamenti di 100 miliardi complessivi da fare agli stati europei utilizzando le risorse della UE a condizioni agevolate; l’Italia potrà contare su finanziamenti netti per circa 15 miliardi, una cifra modesta se rapportata alle reali necessità;

i finanziamenti della Bei per nuovi investimenti delle imprese fino ad un valore di 200 miliardi di euro complessivi; sono una soluzione che non soddisfa minimamente in questa fase le esigenze finanziarie specifiche delle imprese più duramente colpite dalla crisi che non risulteranno finanziabili in base ai requisiti normalmente richiesti dalla Bei e che hanno bisogno principalmente di risorse da apportare a titolo di capitale e non di debito;

l’utilizzo di una parte delle risorse del fondo chiamato “MES” (un fondo salva stati istituito nel 2012) per finanziare la spesa sanitaria per un valore pari al due per cento del pil, senza condizioni o cessioni di sovranità; per l’Italia è una soluzione inutile, perché il nostro paese non potrà ricorrervi in quanto darebbe ai mercati la indicazione che non ha più la forza di finanziare il proprio welfare con i normali canali di finanziamento, iniettando sfiducia sul mercato dei titoli di debito sovrani.

Si tratta pertanto di soluzioni, sia prese singolarmente che nel loro insieme, del tutto inadeguate a consentire, ai paesi con maggiori livelli di indebitamento, e soprattutto quelli più grandi come l’Italia, di fronteggiare efficacemente l’ampiezza e la profondità dei problemi che si stanno materializzando con la paralisi economica in atto in moltissimi settori.

Infatti, la rimozione dei vincoli europei in materia di gestione dei bilanci non costituisce in questo momento un grande aiuto per i paesi del sud, dato che la capacità di fare nuovo debito attraverso i propri titoli di stato di tali paesi è molto limitata rispetto alle esigenze che la nuova crisi sta generando poichè occorreranno, secondo stime di istituzioni autorevoli, risorse tra il 6 e l’8 % del pil per poter intervenire efficacemente; per l’Italia il fabbisogno stimato di nuovo debito pubblico oscillerà tra i 100 e i 130 miliardi di euro.

Per contro i paesi del Nord avendo largo spazio per usare il proprio bilancio, partendo da un rapporto debito/pil molto più basso ( la Germania ha un rapporto debito/pil del 60% e altri paesi ancora più basso, l’Italia del 135%), potranno agevolmente mettere in campo gli interventi utili a rilanciare rapidamente le loro economie, facendo affidamento sulle proprie forze.

Pertanto, se le iniziative messe a disposizione in Europa per supportare i paesi più in difficoltà si fermeranno alle “tre gambe”, i paesi del sud avranno enormi problemi a gestire la situazione attuale e si determinerà un’ulteriore ampliamento delle distanze di benessere economico-sociale tra i due blocchi di paesi. Naturalmente, ciò non avverrà senza conseguenze di carattere politico poichè l’ostilità verso le istituzioni europee dei paesi del secondo blocco cresceranno considerevolmente facendo lievitare il consenso verso i partiti meno europeisti; ed il rischio che il progetto europeo si dissolva diventerà assai rilevante.

Per contro, se vinceranno i paesi del sud e si farà ricorso agli eurobonds, ancorchè solo per reperire i fondi di cui hanno bisogno tutti i paesi europei per rilanciare le proprie economie a seguito dei danni provocati dalla emergenza sanitaria, la situazione che si determinerebbe sarebbe molto diversa.

I paesi del sud, potendo contare su nuove risorse pari al 6/8 % del proprio pil avrebbero le stesse chances di ritornare in tempi brevi a recuperare i livelli di ricchezza ante corona-virus che avranno i paesi del nord; anche se il raggiungimento di tale obiettivo dipenderà da come le risorse saranno spese da questi paesi e quali politiche di risanamento essi adotteranno.

Per quale motivo allora i paesi del nord si oppongono, visto che in buona sostanza con i corona-bonds essi non fanno altro che garantire solidalmente emissioni di debito finalizzati ad uno specifico scopo e che devono comunque essere pagati dai paesi che utilizzano in concreto le somme da essi ricavati?

Il motivo principale risiede nel fatto che i paesi del nord ritengono di essere stati, dal dopo guerra fino ad oggi, molto più virtuosi dei paesi del sud nell’amministrare la loro spesa pubblica e nell’ organizzare le strutture che fanno funzionare le loro economie; e questo è in effetti  un dato di fatto; ma solo parzialmente vero ( vedi articolo del 28.3 “Erobonds: le ragioni dei favorevoli e quelle dei contrari. Quali sono le più convincenti?).

Essi hanno in questo modo raggiunto un livello di benessere pro-capite mediamente superiore, ed hanno un livello di sostenibilità del debito notevolmente migliore; in altri termini sono economicamente ricchi e finanziariamente forti; una condizione a cui, ovviamente, non vogliono rinunciare. 

Accettando gli eurobonds  e cioè titoli di debito garantiti da tutti gli stati dell’euro ma con una piena libertà di utilizzo da parte di chi riceve i finanziamenti, essi temono fortemente che una volta che avranno consentito ai paesi del sud di finanziarsi per cifre considerevoli mediante le loro garanzie, saranno costretti, se permangono le  difficoltà storiche che li caratterizzano, a dover continuare a concedere nel tempo ulteriori aiuti e alla fine di dover accollare sulle proprie spalle quei debiti; mettendo a quel punto essi stessi in una condizione di debolezza finanziaria sui mercati.

I paesi del sud dal canto loro ritengono che mediante gli eurobonds, che non sono un aiuto a fondo perduto ma rappresentano comunque nuovo debito a loro carico (per la parte da essi utilizzata), riusciranno a risollevarsi e non avranno alcun bisogno di ulteriori aiuti per esser in grado di onorare gli impegni assunti.

Per questo, nelle situazioni di shock avversi come quello in atto insistono molto per ottenere la loro accettazione in quanto, in tal modo potrebbero realizzare i seguenti vantaggi:

il primo vantaggio è dovuto al fatto che gli eurobonds, essendo garantiti solidalmente da tutti gli stati dell’area euro, sono uno strumento finanziario di elevata affidabilità che consentono al soggetto giuridico che li emette di reperire un volume elevato di liquidità sul mercato dei capitali, impegnando inizialmente una quota modesta di risorse dei vari stati dell’unione monetaria da mettere a garanzia degli investitori (10/15%) nel fondo abilitato ad emetterli; servono quindi a potenziare notevolmente la capacità di reperire fondi sul mercato; non ci sono infatti molti investitori, siano essi nazionali o esteri, disposti a prestare ad un soggetto già molto indebitato, altre somme ingenti, soprattutto nei momenti di difficoltà delle economie in cui i livelli di indebitamento e quindi di rischiosità dei debitori sono destinati a crescere considerevolmente;

Il secondo vantaggio è dovuto al fatto che l’impegno rilasciato da tutti i paesi su emissioni di debito comune europeo finalizzati unicamente a sostenere la ripresa economica, infonderebbe molta fiducia negli investitori dei titoli pubblici europei in quanto si percepirebbe in modo forte il messaggio che le istituzioni europee faranno di tutto per evitare che in futuro i paesi più deboli non siano in grado di  onorare i loro debiti, in quanto in caso contrario si verificherebbero ripercussioni negative sugli stessi eurobonds e a catena anche sui debiti degli stati più forti;

il terzo vantaggio è dovuto al fatto che si allontanerebbe il rischio connesso all’appesantimento eccessivo del debito pubblico, tenuto conto che anche se i paesi del sud trovassero nella situazione di crisi  investitori disposti a finanziare loro con somme consistenti, attraverso i normali titoli di stato,  ciò avverrebbe a tassi molto elevati; di conseguenza la gestione del debito complessivo, già molto onerosa in precedenza si appesantirebbe a tal punto da far diventare sempre più complesso il ritorno ad un equilibrio economico e finanziario accettabile; rendendo peraltro sempre più probabile il ricorso ad una ristrutturazione del debito stesso; ossia la richiesta ai creditori di importanti sacrifici sul capitale e sugli interessi ad essi dovuti, la cui accettazione è  sempre condizionata all’adozione di pesantissime misure di austerità nei paesi che vi fanno ricorso; ovvero inasprimenti fiscali sulle ricchezze private e un pesante impoverimento dello stato sociale.     

il quarto motivo è legato al fatto che i tassi degli eurobonds sono molto più contenuti di quelli che molti stati pagherebbero sui finanziamenti ricevuti con l’emissione dei propri titoli di stato, soprattutto nei momenti di turbolenza dei mercati; inoltre molto probabilmente per effetto del secondo motivo avrebbero un effetto benefico anche sui livelli degli spread corrisposti sul debito diretto degli stati meno forti.

In definitiva gli eurobonds estenderebbero ai paesi del sud molti dei vantaggi di cui godono i paesi del nord nella situazione attuale: liquidità sufficiente; tassi bassi e rischi contenuti.

I paesi del nord dal canto loro sono pienamente consapevoli che i paesi molto indebitati e con bassi tassi di crescita mediante gli eurobonds risolverebbero in buona parte i problemi precedentemente descritti.

Tuttavia, non sono affatto convinti che si risolverebbe un altro loro problema ritenuto assolutamente cruciale: i paesi troppo indebitati saranno in grado con i fondi ricevuti tramite gli eurobonds di trasformare i loro paesi rendendoli virtuosi, in modo tale quindi da riuscire a generare entrate sufficienti a ripagare gli eurobonds, mantenendo nel contempo sostenibile il debito precedentemente accumulato?

Dov’è la garanzia che ciò accada?

Di conseguenza se ciò non accadrà, una ipotesi considerata non remota, visto che anche in precedenza i paesi molto indebitati hanno dimostrato di non sapere usare in modo virtuoso l’indebitamento a cui hanno fatto ricorso, si ritroveranno prima o poi nella stessa condizione di partenza. E così il rischio di portare fuori controllo l’entità degli aiuti finanziari da concedere ai paesi periferici, qualora i loro deficit e i loro debiti dovessero continuare a crescere in modo incontrollabile a causa di una dinamica viziata da equilibri macrostrutturali diffusa, è ritenuto alto e quindi inaccettabile.

Essi temono fortemente che la garanzia data sui debiti dei paesi più indebitati rappresenti un disincentivo a fare incisive riforme strutturali di cui questi stati hanno bisogno e pertanto non sono disponibili ad ipotecare il proprio   futuro mettendo a rischio i propri equilibri, a causa delle fragilità e delle vulnerabilità permanenti di questi paesi. Sono peraltro fortemente interessati a mantenere i loro spazi di manovra sul debito e sul bilancio per fronteggiare eventuali problemi interni, come ad esempio nuovi collassi bancari, anziché metterli a disposizione di problemi di pertinenza di altri paesi ritenuti dissoluti.

Ecco perché i paesi del nord osteggiano fortemente anche la soluzione european recovery bonds (proposta del governo Conte) e cioè degli eurobonds emessi solo per assicurare i fondi necessari a tutti i paesi dell’area Euro per sostenere la ripresa economica.

Da un punto di vista tecnico, la loro, appare una posizione  ineccepibile, ma in realtà si tratta di un ragionamento che trascura importanti aspetti della storia della moneta unica che non giocano a supporto delle loro tesi, come abbiamo detto nel nostro articolo del 28.3 “Eurobonds: le ragioni dei favorevoli e dei contrari. Quali sono le più convincenti?”

Tuttavia, nello stesso tempo tali paesi sono consapevoli che la mancanza di aiuti ai paesi del sud potrebbe far implodere l’euro procurando enormi danni a tutti i paesi d’Europa e, per tale motivo, sono disponibili a fornire aiuti sotto forma di prestiti diretti agli stati in difficoltà.

Essi preferiscono questa forma perchè permette loro di stabilire le condizioni per la loro erogazione, di esercitare un controllo successivo mediante la gestione del loro rientro e di definire in tal modo il perimetro complessivo dei rischi che assumono.

Per queste ragioni, giuste o sbagliate che siano, è un dato certo che gli eurobonds nella forma voluta dai nostri esponenti di governo non saranno realizzati.

La soluzione che il 23 aprile verrà proposta dalla Germania, ed alla fine accettata da tutti, sarà molto probabilmente quella di mettere la commissione europea in grado di istituire un fondo in grado di fornire aiuti diretti agli stati che ne fanno richiesta per un valore potenziale complessivo di 500 miliardi di euro pari al 3% del pil della UE.

Il fondo si finanzierebbe con titolo di debito comune, ovvero eurobonds, ma le somme ricavate non andrebbero nella disponibilità immediata dei paesi del sud ma sarebbero erogate agli stati membri tramite le istituzioni comunitarie, alle condizioni fissate dalla commissione europea sia in termini di destinazione dei fondi che di modalità di rimborso. E sarà questa la quarta gamba del tavolo che verrà presentata come una ottima soluzione che utilizza sostanzialmente gli eurobonds.

Così tutti sosterranno che si è raggiunto un grande risultato e ognuno dei partecipanti al tavolo dirà di aver conseguito una grande vittoria con: “1000 miliardi complessivi messi a disposizione della ripresa di tutti i paesi europei”.

Ma sarà questa una soluzione davvero utile per paesi come l’Italia?

No, non lo sarà! In quanto buona parte dei vantaggi che il nostro paese avrebbe conseguito con gli eurobonds veri (diciamo così) con questa formula non si realizzeranno; e la quarta gamba formerà un tavolo finale su cui l’Italia troverà in realtà molti bocconi amari da ingoiare.

In pratica l’Italia con la proposta della Germania, riceverà finanziamenti insufficienti rispetto alle sue reali esigenze di rilancio economico e per la prima volta dal dopoguerra ad oggi finanzierà i propri fabbisogni di finanza pubblica assumendo debito verso altri stati (ancorchè in forma indiretta) e non verso gli investitori privati, ponendosi in una condizione di sostanziale subordinazione verso di loro.

Non esistono infatti prestiti diretti senza che il creditore diretto non ponga, presto o tardi, condizioni stringenti per il loro rimborso; ciò sarà chiaramente percepito dai mercati e genererà sfiducia sulle nostre reali capacità di ripresa.

La conseguenza inevitabile che ne deriverà sarà quella che il nostro paese, per ragioni oggettive di contesto, non riuscirà ad evitare di dover adottare molti interventi restrittivi al proprio welfare e alla gestione delle proprie finanze pubbliche ed il prezzo da pagare a questa crisi sarà salatissimo, in termini di: perdita di capacità produttiva, crescita della disoccupazione, crescita esponenziale della povertà, riduzione consistente di tutte le ricchezze private delle famiglie italiane.

Si obietterà che anche gli eurobonds (veri) producono debiti che debbono essere rimborsati; una obiezione certamente corretta ma con una differenza di funzionamento essenziale: il debito è assunto verso una platea vasta di investitori privati i quali finanziano l’emittente unicamente sulla base delle valutazioni sulla sua capacità di rimborso al momento della sottoscrizione e senza porre alcuna altra condizione; poi alle scadenze dei titoli finanziari in loro possesso valuteranno se rinnovare o meno il rifinanziamento mediante l’acquisto di nuovi titoli di debito.

Quindi la strategia che il nostro paese dovrebbe perseguire, dovrebbe essere quella di non accettare il pacchetto di aiuti così come sarà formulato dalla abilissima Merkel il 23 aprile ( fu lei il 18.10.2010 nell’incontro di Deauville a convincere Sarkozy a introdurre il principio del Private Sector Involment , un accordo molto controverso che ha penalizzato fortemente l’Italia in funzione dell’ aumento esponenziale della percezione del rischio che si manifestò da quel momento sui paesi più indebitati ) poiché assolutamente inefficiente ed inefficace per rispondere alle esigenze di cui abbiamo bisogno nel contesto attuale; anzi potrebbe risultare letale che un paese del G7 come l’Italia, con ricchezze private elevatissime, accetti di diventare di fatto debitore diretto verso altri stati; tale sarebbe la situazione che si determinerebbe con l’approvazione del fondo di rilancio gestito dalla commissione europea; la nostra sovranità risulterebbe irrimediabilmente compromessa per lungo tempo e con essa tutte le nostre prospettive di sviluppo.

Vanno quindi respinte tutte le formule che mettono il nostro paese in posizione di debitore diretto o indiretto di altri stati. 

E nel contempo si devono proporre alla Germania (è questo il paese che decide le sorti dell’Europa, non l’Olanda) due sole alternative:

a) o accettano degli eurobonds veri da emettere per coprire tutte le necessità che una vera ripresa richiede;

b) oppure si accantonano gli eurobonds ma in compenso i paesi del nord:

1) consentono che la BCE  acquisti titoli di stato dei paesi in difficoltà senza limite sul mercato secondario (QE) e per tutto il tempo necessario per il recupero di un equilibrio economico accettabile e che  la stessa BCE si impegni ad attivare le OMT ( un’altra arma voluta da Mario Draghi nell’estate del 2012 ), per acquisti diretti di titoli a breve termine (con durata fino a tre anni) a condizioni molto meno stringenti di quelle attualmente previste ( attualmente è prevista la preventiva adesione ai programmi di risanamento del MES) ed a scopo prevalentemente precauzionale; in questo modo i paesi del sud risolverebbero molti dei problemi su elencati facendo leva sui canali classici di ricorso all’indebitamento;

2) si impegnano ad adottare nei loro paesi politiche fiscali più inflazionistiche per un tempo necessario a riequilibrare le situazioni dei paesi del sud ; e cioè devono usare molto di più il proprio bilancio per favorire la domanda interna e con essa le importazioni dai paesi del sud (la Germania esporta più del 50% del proprio prodotto provocando squilibri strutturali in molti paesi europei); solo così questi paesi avranno, in un area monetaria comune senza stato, concrete chances di migliorare nel tempo la loro posizione e i loro equilibri, diventando più solidi; una richiesta assolutamente legittima perché andrebbe a compensare in parte i vantaggi enormi di cui hanno goduto finora  i paesi del nord attraverso l’euro ( vedi articolo del 28.3);

3) ottengono un impegno stringente da parte dei paesi del sud a fare riforme strutturali davvero idonee a incrementare significativamente il loro potenziale di crescita per rendere più sostenibili i propri debiti.

Ci sarebbe una terza via di uscita da proporre per porsi su un piano negoziale efficace che però al fine di evitare un eccessivo appesantimento della lettura di questa analisi illustreremo in un prossimo articolo.

Se ci sarà un approccio corretto ai problemi in campo da parte dei paesi del nord, di fronte alla strenua resistenza dei paesi del sud nel rivendicare le giuste condizioni per un accordo, i primi dovranno accettare, in tutto o in parte la seconda delle due alternative.

La prima è per loro più indigesta.

In caso contrario, vorrà dire che l’unione monetaria così com’ è impostata è strutturalmente disfunzionale per i paesi del sud, in quanto saranno condannati a dimenarsi all’interno delle loro ataviche debolezze ancora per molti decenni, perché predomineranno sempre gli egoismi dei paesi più forti.

In tal caso, gli stati del sud faranno bene a non firmare l’accordo nei termini che si vanno delineando e a resistere con la massima determinazione e senza tentennamenti. I paesi del nord non faranno implodere l’Europa; non hanno alcun interesse a scegliere il male peggiore anche per loro. In passato hanno sempre vinto perché sapevano che per i paesi del sud l’alternativa dell’uscita dall’euro era una ipotesi insostenibile. Ora bisogna saper ribaltare su di loro l’onere di evitare quella ipotesi.

Questa volta la vittoria per i paesi del sud è quindi possibile.

Ed è legata essenzialmente alla abilità negoziale che saprà esprimere l’Italia.

 

 

 

 

Native

Articoli correlati