Nel tempo del capitalismo selvaggio l'anniversario di un crimine finanziario diventa festa
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Nel tempo del capitalismo selvaggio l'anniversario di un crimine finanziario diventa festa

Un centinaio di ex dipendenti della banca d'affari americana Lehman Brothers si riunirà a Londra oer i 10 anni del crack della banca d'affati che diede il via alla crisi economica

Lehman Brothers
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

22 Agosto 2018 - 16.39


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Sul sito del settimanale Financial News è comparsa una notizia invero singolare. Il periodico di notizie economiche riporta infatti che il prossimo 15 settembre a Londra si terrà una riunione di un centinaio di ex dipendenti della banca d’affari americana Lehman Brothers. Beh, che c’è di strano? Di strano, di imbarazzante, di rivoltante (l’aggettivo sceglietelo voi) c’è che quel giorno ricorrerà il crac dell’antica banca fondata nel 1850 da un immigrato tedesco di origine ebraica: il 15 settembre 2008, poco dopo l’una di notte, Lehman Brothers, allora la quarta banca d’affari degli Stati Uniti d’America, falliva con un tonfo epocale. Si tratta probabilmente del più importante dissesto di una istituzione finanziaria degli Usa.
Un po’ di storia, per rinfrescarci la memoria e tenere sempre alta l’attenzione, non guasterà. Gli economisti ci hanno spiegato che il fallimento di Lehman Brothers fu dovuto a tre fattori. Il primo: le politiche monetarie esageratamente espansive attuate dalla Fed, la banca centrale americana. In soldoni (è il caso di dire), i tassi di interesse con cui la Fed prestava soldi alle banche furono abbassati di parecchio, e in tal modo il mercato fu inondato di dollari. Le banche si ritrovarono con una gran quantità di denaro da prestare, ma a tassi bassi, in un contesto economico caratterizzato da una scarsa domanda di finanziamenti (siamo all’indomani dell’11 settembre 2001).
Il secondo fattore che ha provocato il fallimento della Lehman Brothers fu la deregolamentazione del settore finanziario attuata dall’amministrazione Bush, sotto la poderosa spinta della grande finanza statunitense. Avvenne cioè quel che poi è avvenuto in Europa e praticamente ovunque nel mondo: la politica abdicava all’esercizio di controllo sulla finanza. Gli onnipotenti istituti finanziari, dalla portata planetaria, si lanciarono in speculazioni finanziare sempre più sfrenate e ardite, ormai libere dai lacci d’un controllo giuridico, da leggi che ne impedissero il puro arbitrio.
Il terzo fattore fu la bolla del mercato immobiliare americano, gonfiata anche dalla mostruosa crescita dei mutui subprime. Questi mutui si spiegano con l’imponente sviluppo del settore immobiliare americano: i prezzi delle case avevano ripreso ad aumentare sin dalla fine degli anni ’90, e le banche non si lasciarono sfuggire la possibilità di finanziare un campo con una domanda così in espansione. Insomma, il sistema finanziario statunitense disponeva di una grande liquidità che rendeva poco, e quindi le finanziarie cominciarono a concedere mutui a tutti, anche a coloro che non fornivano garanzie di solvibilità. Fu come gettare benzina sul fuoco: la sempre maggiore offerta di mutui accelerò la corsa del settore immobiliare e i prezzi delle case proseguirono la loro folle corsa al rialzo. I mutui subprime avevano poi un meccanismo subdolo: nei primi anni comportavano rate molto basse, con un brusco aumento negli anni successivi. Avveniva così che per riabbassare le rate si rifinanziava un nuovo mutuo, in un torbido loop.
Questo meccanismo perverso funzionò sin quando i prezzi delle case continuarono a salire, e cioè fino al 2006, e permise ingenti guadagni alle ditte costruttrici, agli agenti immobiliari, ai produttori di materiali edili, ovviamente agli istituti finanziari che concedevano i mutui. Poi, come sempre avviene, il giocattolo si ruppe, e con la crisi dei subprime crollarono anche le quotazioni dei titoli da essi derivati. Il crollo dei loro prezzi azzerò il valore del portafoglio di numerose banche, che si trovarono nell’impossibilità di rifinanziarsi sul mercato, e poiché quei titoli erano dappertutto, soprattutto nei fondi pensione e negli hedge fund (cioè quei fondi comuni di investimento privato legati alle strategie di copertura e protezione usate per ridurre i rischi e la volatilità dei portafogli), la crisi dei mutui subprime innescò una recessione economica mondiale, provocando nei Paesi occidentali la peggiore crisi economica dal famigerato 1929.
La Lehman Brothers si era pericolosamente esposta nel settore dei subprime: era proprio la divisione titoli immobiliari a produrre i maggiori utili. Essendo una banca d’affari, la Lehman non erogava mutui, ma li acquistava dalle finanziarie che li emettevano, utilizzandoli come garanzia per i derivati. E quando i nodi vennero al pettine, e una dopo l’altra numerose banche caddero come mele marce da un albero fradicio, la prestigiosa Lehman fu tra queste. Era talmente zeppa di titoli cosiddetti tossici che nessuno la volle acquistare, nemmeno per la simbolica cifra di due dollari, come avvenne per la Bear Stern rilevata per quella cifra da Morgan Stanley, poiché il governo si guardò bene dal garantirne i debiti.
Ora, nel decennale di questo crac epocale, l’allegra combriccola dei bankers europei ed americani che hanno determinato il fallimento si ritroveranno a Londra per una bella rimpatriata. Ai “fratelli e sorelle di Lehman” è stata infatti indirizzata una mail di invito, in cui tra l’altro si legge: “Difficile credere che siano già passati 10 anni dal nostro ultimo giorno in Lehman. Ebbene, una delle cose migliori di Lehman era la sua gente. Quale modo migliore di festeggiare i dieci anni di anniversario e rivederci tutti insieme?”
Una cosa è certa, anzi due. Levando i calici e rievocando nostalgicamente i bei tempi che furono, quei banchieri non penseranno certo alle migliaia di famiglie distrutte dalla loro opera dissennata e delittuosa. Ergo, in questa epoca di capitalismo selvaggio gli autori di siffatti crimini se ne sbattono della coscienza, e ben di rado ricevono la meritata punizione.

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