Lacrime e rabbia ma Termini Imerese non si arrende

Tra i lavoratori di quella che fu la SicilFiat che lottano. Imera fu distrutta dai Cartaginesi, ma poi ricostruita. Quella storia dovrà ripetersi. [Onofrio Dispenza]

Termini Imerese
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24 Novembre 2011 - 17.42


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Forse non è stato il caso a decidere nello stesso anno la morte della Fiat di Termini Imerese e la morte dell’uomo che ne determinò la nascita, in quel lontano 19 aprile del 1970. Mimì La Cavera, morto a febbraio di quest’anno, nella vita fu tante cose, testimone e protagonista di una Sicilia gaudente e vulcanica.
Sicilia vulcanica e fantasiosa, anche in economia e in politica. In gioventù La Cavera era stato amico di Gianni Agnelli, dividendo con l’avvocato torinese scorribande e felicità riservate a rampolli danarosi e corteggiati. Nella vita privata Mimì La Cavera alla fine si ritrovò accanto una donna da sogno per tanti italiani, Eleonora Rossi Drago. Sognatore in politica, grande manovratore delle cose che portarono al milazzismo, quella strana alleanza politica che metteva assieme tutto e tutti in nome della Sicilia. Sognatore in economia, volendo fortissimamente che il suo amico Gianni aprisse uno stabilimento in Sicilia. E ci riuscì.

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Termini Imerese prima era terra di contadini, affaciata su un mare che odorava di storia e di mito. Da queste parti le auto le vedevano sfrecciare, veloci, una volta l’anno, per la Targa Florio. Auto che rombavano inerpicandosi ai piedi delle Madonie, lasciandosi alle spalle splendidi campi di carciofi. E più in là, il fiume Imera, i resti di antiche civiltà, e il mare, ancora il mare, nelle cui acque – racconta la leggenda – si bagnò Ercole. E infatti sulle monete dell’antica Imera da una parte c’è la testa di Ercole, dall’altra tre Ninfe.

Termini, contadini fino alla realizzazione del sogno di Mimì La Cavera. Da contadini a operai, dagli scarponi appesantiti di terra alle tute blu, come quelle di Torino e di Milano indossate da chi era stato costretto ad emigrare. Tute ora stirate e riposte nel cassettone della camera da letto. E’il tempo della disperazione.

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La notte tra il 24 e il 25 febbraio del 2011 è la prima notte senza Fiat a Termini Imerese. La 500 fu la concretizzazione del sogno, la Punto, nel 1993, segnò l’inizio di una crisi che i governi e la Fiat non hanno arrestato.

“La Fiat è stata l’unica casa automobilistica a chiudere uno stabilimento nel proprio Paese”, ricorda Beppe Lumia, senatore, ex presidente dell’Antimafia. Conosce queste contrade, sa benissimo quanto sia pericolosa la disoccupazione in una delle zone con un controllo mafioso alto e pericoloso.

“L’ultimo giorno di produzione della Fiat di Termini Imerese avrebbe potuto essere meno amaro se solo l’azienda torinese avesse avuto la decenza di fare la propria parte nella trattativa per la riconversione dello stabilimento”, aggiunge Lumia.

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In questa prima notte senza lavoro ai cancelli di quella che un tempo si chiamava Sicilfiat ci sono i protagonisti di anni di resistenza alla chiusura, e le loro donne, sia quelle che hanno indossato le tute blu, sia quelle che a casa hanno fatto quadrare i difficili conti negli ultimi anni di angoscia. E da domani sarà ancora più difficile.

“Ho due figli, di 10 e 7 anni, che faccio?”Giuseppe ha 41 anni e lavorava nell’indotto, alla Lear. Montava i sedili sulle Ypsilon.

Milleseicento lavoratori, e dietro di loro mogli, figli piccoli, figli all’università, e che vedono un cammino assai incerto. E figli disoccupati, come i padri.

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“Ora, chi mi assume a 57 anni?”, dice Giovanni. E Salvatore, che era in Fiat da 34 anni guarda il figlio senza parlare, non ha parole. Anche il figlio lavorava in Fiat.

Dicembre è vicinissimo, vicino il Natale del 2011. E sarà un Natale di lacrime, lacrime vere, che righeranno i volti di chi si troverà attorno a una difficile tavola.

Ai cancelli dello stabilimento si fa sera, è tempo di ricordi. “Ricordi, ci chiamavamo Sicilfiat… Di che colore era quella prima cinquecento?”
Sicilfiat perché all’inizio la Regione Siciliana deteneva il 40 per cento del capitale, una garanzia chiesta da Agnelli per rispondere all’invito dell’amico Mimì il sognatore. Ma l’intervento pubblico finì quasi subito: già il primo novembre del 1970 lo stabilimento era interamente Fiat. Negli anni Termini era pure diventato un modello, e in Fiat ci si riempiva la bocca di quella bella realtà siciliana. Nel 1979 i dipendenti erano già 1.500. Era il tempo della Panda, una delle auto più azzeccate e longeve del gruppo. Tre turni alla catena di montaggio. Nella seconda metà degli anni ’80 Termini arrivava ad occupare 3.200 operai. Nell’indotto erano 1.200.

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“A Termini Imerese ci sono ancora tutte le condizioni per continuare a produrre automobili e affrontare il mercato”. Il senatore Lumia non molla, soffia sulle ceneri dello stabilimento per far rivivere la fiammella. La Regione Siciliana ha deciso di investire 350 milioni per innovare, ora Palermo guarda a Roma, al nuovo governo Monti.

Era il 409 a.C. quando Imera fu distrutta dai Cartaginesi. Due anni dopo la città fu ricostruita poco più in là, dove adesso sorge la Termini contemporanea. Qualcuno lo ricorda a scuola, per darsi coraggio, per dare coraggio ai figli degli uomini e delle donne senza speranza che passano la prima notte da disoccupati davanti al cancello dello stabilimento.

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