“Attacco allo Stato”: Ferruccio Pinotti torna sui misteri delle stragi del 1993

Il celebre giornalista d'inchiesta affronta in un libro una delle pagine più oscure della nostra storia recente

“Attacco allo Stato”: Ferruccio Pinotti torna sui misteri delle stragi del 1993
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

25 Ottobre 2023 - 00.11


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Il giornalismo d’inchiesta è tra gli elementi su cui si misurano la democrazia e la civiltà di un Paese moderno, la sua capacità di fronteggiare il cancro della criminalità e dell’abuso di potere che ne minano le fondamenta. Purtroppo, negli ultimi decenni in Italia tale peculiare pubblicistica ha subito un drastico ridimensionamento: sono davvero pochi coloro che, tra mille difficoltà ed anche minacce, conducono un pertinace lavoro d’indagine per portare alla luce il malaffare, le collusioni tra organi dello Stato e malavita che stritolano la nostra società. Nel manipolo di “coraggiosi” va senz’altro annoverato il giornalista Ferruccio Pinotti, autore negli anni di imprescindibili inchieste scottanti con cui ha cercato di sensibilizzare una cittadinanza eterizzata dall’indifferenza e dalla noncuranza. Inestimabili quelle sui “Poteri forti” che sgovernano l’Italia, su influenti e inattaccabili lobby religiose quali l’Opus Dei, Comunione e liberazione, Compagnia delle opere, Movimento dei Focolari, sui tanti eccidi che hanno insanguinato il nostro Paese, sui potentati massonici, sugli abissi criminali dell’alta finanza. Stavolta, con Attacco allo Stato. I misteri delle stragi del 1993 e il codice Matteo Messina Denaro (Solferino Editore, pp. 494, € 19,50), l’autore getta sinistra luce su uno dei misteri più impenetrabili di questa nazione.

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Il volume si apre con la lucida e spietata prefazione del giudice Luca Tescaroli, titolare dell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi degli anni Novanta, che da anni indaga per scoprire la verità su uno degli eventi più ignominiosi della nostra storia recente. Tescaroli è convinto che le stragi mafiose che nel biennio 1992-93 scossero l’Italia (ventuno morti, centodiciassette feriti, danni incalcolabili al patrimonio artistico) “si collocano in un più ampio progetto terroristico eversivo, ideato nell’autunno del 1991”, efficacemente sintetizzato dalla lapidaria frase del boss Salvatore Riina: “Bisogna prima fare la guerra prima di fare la pace”. È in questo quadro che prese forma la trattativa avviata da esponenti istituzionali con i vertici della mafia, oggetto di infiniti procedimenti giudiziari, che ha visto coinvolti a vario titolo le più alte cariche dello Stato repubblicano.

Nel capitolo “Le ragioni di un’inchiesta” Pinotti esplicita un concetto cardine: il suo lavoro affronta “uno snodo preciso, delicato e cruciale della storia italiana recente, collegato da fili sottili al presente attraverso trame impalpabili: tutte da decifrare, ma centrali nella comprensione della nostra realtà, anche la più vicina e attuale”. È un passaggio fondamentale, che ai più sfugge: gli eventi delittuosi occorsi trent’anni fa hanno ricadute sul nostro presente; non si tratta soltanto di stabilire una verità “storica” e giudiziale, fare finalmente giustizia: la comprensione di quei fatti, delle logiche e delle dinamiche interne che li determinarono, del progetto politico che li creò può illuminare la realtà dei nostri giorni, mettere a fuoco i figuri che ancora girano e magari influenzano le scelte politiche, economiche e sociali che condizionano le nostre vite, capire chi ha beneficiato di quelle stragi – poiché è certo che da quella sanguinosa scia di sangue nacque una stagione politica affatto nuova.

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Come sempre, l’inchiesta realizzata da Pinotti si avvale di documentazioni inoppugnabili, di riscontri puntuali. Il suo ruolo di consulente della Commissione antimafia nella scorsa legislatura gli ha consentito l’accesso all’intera mole degli atti giudiziari riguardanti le stragi del 1993; ha avuto inoltre modo di “scavare” nelle tremila pagine delle motivazioni della sentenza di appello sulla trattativa Stato-mafia disponibili dall’autunno del 2022, “che contengono precise indicazioni investigative”; ha intessuto una fitta rete di “interviste, incontri e discussioni con magistrati, storici, analisti, esperti di mafia e terrorismo, uomini dell’intelligence, senza trascurare il dialogo con esponenti dell’universo criminale e con avvocati che hanno difeso le famiglie delle vittime o efferati boss mafiosi”; si è avvalso della preziosa collaborazione del giovane e valente giornalista d’inchiesta Roberto Valtolina, che con lui collabora da anni, nonché del confronto continuo con i principali magistrati che si occupano da lustri di questi temi, il già ricordato Luca Tescaroli e Gianfranco Donadio, i quali hanno messo a sua disposizione documenti di vaglia.

Una delle caratteristiche dell’inchiesta è dunque l’ampia pervasività: “pur analizzando evidenze empiriche forti derivanti dagli atti giudiziari”, l’autore ha ascoltato voci e letture dei fatti “anche diverse e persino antitetiche o contrastanti, in modo da offrire il quadro più equilibrato ed equidistante possibile al cittadino che voglia formarsi un’idea indipendente su questi complessi temi, così importanti nella storia civile italiana”. L’approccio alla rovente materia è insomma squisitamente matter of fact: fattuale, apolitico, critico, e lo scopo più profondo di questa inchiesta è quello “di rendere onore alle vittime tramite un lavoro di verità e di approfondimento ancora oggi necessario”. Più che mai necessario, diremmo.

Ma questo ammirevole, prodigioso lavoro rimarrà lettera morta se noi tutti, cittadini desiderosi di giustizia e di verità sulle infinite stragi e buchi neri che hanno insanguinato e inghiottito per decenni l’Italia, non diveniamo parte attiva dello sforzo di conoscenza degli orridi avvenimenti qui ricostruiti, se non ci rendiamo consapevolmente partecipi di ciò che è accaduto e che tutt’ora accade. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, le donne e gli uomini che come loro scelsero di servire uno Stato che li ha traditi, l’infinita schiera di vittime innocenti, sono ancora in attesa di una giustizia effettiva. La loro voce inascoltata, sommersa dallo scellerato brusio di inanità e inconcludenza artatamente alimentato da chi ha interesse a rimuovere questo desiderio e obbligo morale di giustizia, continua a turbare le nostre notti, a sollecitare le nostre coscienze. O almeno, di coloro che una coscienza etica e civile ancora la conservano.

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