Jeffery Deaver, il maestro incontrastato del thriller

Ha venduto oltre cinquanta milioni di libri in tutto il mondo, eppure Jeffery Deaver, considerato uno dei maestri assoluti del romanzo di suspense, non si accontenta e teme solo di «svegliarsi ogni mattina con il dubbio di aver deluso i lettori».

Jeffery Deaver, il maestro incontrastato del thriller
Jeffery Deaver
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21 Ottobre 2023 - 16.05


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di Rock Reynolds

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Ha venduto oltre cinquanta milioni di libri in tutto il mondo, eppure Jeffery Deaver, considerato uno dei maestri assoluti del romanzo di suspense, non si accontenta e teme solo di «svegliarsi ogni mattina con il dubbio di aver deluso i lettori».

Vi garantisco che chi deciderà di leggere Tempo di Caccia (Rizzoli, traduzione di Sandro Ristori, pagg 470, euro 19), la nuova avventura di Colter Shaw, ultimo eroe uscito dalla penna di Deaver, non correrà il rischio di restare deluso. Stavolta, Shaw, cacciatore di ricompense, dovrà rintracciare e cercare di mettere in salvo una donna e la figlia tredicenne che alcuni loschi figuri, compreso il marito violento e uscito prematuramente dal carcere, intendono uccidere. A chiederglielo è un eccentrico businessman il cui vero obiettivo è recuperare un dispositivo per reattori nucleare in miniatura che la donna ha progettato. Naturalmente, gli ostacoli disseminati da Deaver sul percorso di Shaw e la cadenza forsennata che imprime alla narrazione rendono anche questo romanzo un’opera fruibilissima, a tratti travolgente. Di gran lunga il miglior capitolo di questa serie giunta al quarto volume.

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Non soddisfatto di aver regalato al mondo del noir il detective tetraplegico Lincoln Rhyme, un personaggio già entrato nel pantheon degli eroi senza tempo del genere, accanto a figure leggendarie come Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Miss Marple, Nero Wolfe, il commissario Maigret, solo per citarne alcune, Deaver ha rimescolato le carte e creato Colter Shaw, figlio di un docente divenuto survivalista e poi ritiratosi in clandestinità con la famiglia tra le montagne della Sierra Nevada, dopo aver scoperto un terribile segreto. Colter Shaw è tutto ciò che Lincoln Rhyme non può essere – dinamico, atletico, avventuroso, compagnone – e, per questo, completa il carattere più freddo, distaccato e cerebrale del celebre ispettore in sedia a rotelle.

Signor Deaver, ha mai pensato di far incontrare Lincoln Rhyme e Colter Shaw?

«Oh, sì. Ho già in mente una storia che possa accomunare i due, con compiti diversi all’interno di un caso che li metta insieme. Chissà, in quella storia potrebbe avere un ruolo anche Kathryn Dance (N.d.A. L’esperta di cinesica, ovvero la scienza che studia il linguaggio del corpo, a sua volta protagonista di una serie di romanzi di Deaver)…»

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Dopo una cinquantina di romanzi e moltissimi racconti e novelle, cosa la spinge a continuare a scrivere con questo ritmo?

«Mi sento una persona molto fortunata: vengo pagato per inventare cose, e dire che non abito nemmeno a Washington o a Roma. Scrivere è il mio mestiere e lo faccio non per me bensì per voi lettori. Non credo nel blocco dello scrittore. Se ne soffrissi, non potrei pagare le bollette. Dunque, non attendo che la musa venga a bussare alla mia porta: le vado incontro io stesso. Ogni mattina, mi sveglio di buon’ora e mi metto al computer. Già, al computer. Uno scrittore moderno deve avvalersi degli strumenti tecnologici più moderni a sua disposizione. Scrivere con la penna non fa per me.»

Da qualche tempo, Colter Shaw pare monopolizzare la sua produzione. Dobbiamo dedurne che Lincoln Rhyme sarà sempre meno presente?

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«Per nulla. Mi sento di tranquillizzare i lettori: Lincoln Rhyme tornerà. Non ho nessuna intenzione di porre fine alla sua vita, come fece per esempio Conan Doyle con il suo Sherlock Holmes, per poi pentirsene amaramente. Ogni tanto, però, mi vengono in mente storie che non si sposano con questo o quel personaggio. Per esempio, Lincoln Rhyme non sarebbe credibile in una storia in cui si richieda da parte sua una prestanza fisica che la sua condizione di tetraplegico gli nega. E ci sono lettori che non amano particolarmente le indagini forensi in cui Lincoln è maestro. D’altro canto, quando l’ho creato, volevo proprio un personaggio che fosse una sorta di Sherlock Holmes moderno: un uomo costretto a risolvere un caso unicamente attraverso il ragionamento. Se, invece, serve qualcuno più dinamico e avventuroso, ecco che entra in gioco Colter Shaw, una specie di eroe shakespeariano, il “Cavaliere della valle solitaria” che, quando si presenta inaspettatamente in un luogo, fa saltare il banco: da quel momento, le cose non sono più le stesse e gli equilibri locali si scompaginano. Però, con la stessa imprevedibilità con cui appare, sparisce nel nulla dopo aver risolto il caso. L’eroe shakespeariano se ne va a cavallo, Colter a bordo del suo camper.»

In febbraio, la CBS trasmetterà una serie televisiva tratta dalla saga di Colter Shaw. È preoccupato di come verrà rappresentato il suo personaggio sul piccolo schermo?

«No, non lo sono mai. Ogni tanto, mi viene proposto di partecipare in qualche modo alla produzione. Rifiuto regolarmente. A me piace scrivere, non fare cinema o televisione. Naturalmente, sono felicissimo che i miei personaggi finiscano sul grande o piccolo schermo, ma, dal momento in cui firmo un contratto per cedere i diritti di sfruttamento delle mie opere, l’unico sforzo ulteriore che compio è incassare l’assegno. Non sopporto gli scrittori che si lamentano di come cinema o televisione trasformano i loro personaggi e le loro storie. Io non me ne curo. I miei libri restano tali anche dopo che sono finiti sullo schermo. E, comunque, non sento nessuno dire che, per protesta, ha restituito i soldi incassati. Vediamola così: è tutta pubblicità per la quale, per giunta, vieni pagato. E, diciamo la verità: anche se nei miei romanzi non sta scritto che Lincoln Rhyme è nero, chi non vorrebbe Denzel Washington nei panni del proprio personaggio principale?»

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Com’è strutturato il suo romanzo tipico?

«Prima di scriverne anche una sola riga, per otto mesi ne costruisco la struttura portante: la si potrebbe definire una scaletta. E, nel frattempo, mi documento per suffragare la storia con i dettagli corretti. Serve credibilità. Quando mi accingo al vero processo di scrittura, lo faccio molto velocemente perché ho già tutto in testa: so esattamente dove seminare gli indizi e dove fare entrare o uscire – vivi o morti che siano – i miei vari personaggi. Le mie storie si svolgono su un arco temporale brevissimo: due, massimo tre giorni. E sono piene di colpi di scena. Ovviamente, c’è un finale a sorpresa, seguito da un finale a sorpresa e, perché no, da un altro finale a sorpresa. Ogni mio libro si compone di tre elementi primari: quello criminale, ovvero il caso con cui il mio personaggio principale è di volta in volta alle prese; quello che io definisco da “soap opera”, ovvero le relazioni interpersonali; e quello sociopolitico, ovvero una tematica di grande attualità e impatto per il paese o il pianeta. Nel caso di Tempo di Caccia, il primo è il tentativo di Colter Shaw di salvare una madre e una figlia da una serie di figure intenzionate a ucciderle; il secondo è la relazione stessa tra madre e figlia, complicata come qualsiasi relazione tra una mamma e la sua ragazzina adolescente; il terzo è lo stato di abbandono socioeconomico in cui molte grandi aziende negli USA tendono a lasciare un territorio dopo averne sfruttato le risorse. La cittadina immaginaria del Midwest chiamata Ferrington è un centro siderurgico in grave difficoltà, ispirato al dissesto della tristemente nota Flint, Michigan, un tempo fiorente polo automobilistico. Queste aziende non hanno molti scrupoli: se ne vanno senza troppi ripensamenti, abbandonando le città in preda a rifiuti tossici, disoccupazione e, naturalmente, una dipendenza endemica da droga e alcol.»

Ma non è sempre stato un suo mantra la famosa frase (che qualcuno attribuisce a Hemingway e qualcun altro a un politico statunitense), “Se vuoi mandare un messaggio, non scrivere un libro e recati, invece, all’ufficio postale”?

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«Non ho smesso di esserne convinto. Infatti, non intendo minimamente fare predicozzi. Semplicemente, mi piace pensare che il lettore, una volta finito di leggere un mio libro, si porti appresso non solo una sensazione di liberazione e di sollievo dopo un’esperienza di lettura intensissima, ma pure qualcosa in più, una conoscenza superiore di tematiche importanti che lo arricchisca. Se vuoi scrivere un thriller davvero di qualità, devi avere una trama costruita perfettamente, personaggi credibili costantemente alle prese con situazioni mozzafiato e, ripeto, un fondale geopolitico e sociale importante.»

Un tempo, era poco propenso a parlare di politica. Da quando, però, Donald Trump è sceso in campo, difficilmente si trattiene dal farlo…

«È una vergogna per il mio paese. È agli antipodi degli autentici valori degli Stati Uniti. Ha contribuito non poco a spaccare in due un paese che, se Trump non dovesse aggiudicarsi le prossime elezioni presidenziali, temo che possa essere scosso da pesantissimi tumulti. Molti governatori di stati in mano al Partito Repubblicano sono già pronti a impugnare la validità della tornata elettorale e molta gente scenderà in strada armata e nessuno è in grado di prevedere a che punto possano spingersi le cose. Sono molto preoccupato.»

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