Harold Pinter in scena al Todi Festival

La kermesse tuderte ha riservato una serata a “Vecchi tempi”, uno dei maggiori testi del drammaturgo inglese

Harold Pinter in scena al Todi Festival
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

29 Agosto 2023 - 11.48


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Il terzo giorno del Todi Festival – che andrà avanti sino a domenica 3 settembre con lo spettacolo di chiusura “La verità, vi prego, sull’amore”, del duo Stefano Massini e Luca Barbarossa – ha segnato l’incontro con il teatro di prosa. Gli attori Sara Bertelà, Lisa Galantini e Roberto Biselli hanno portato in scena un classico del drammaturgo londinese Harold Pinter, Vecchi tempi. Non è un testo facile, completamente ravvoltolato com’è sulla parola, sugli interstizi e le trappole del linguaggio, parola che in scena diventa metonimicamente esplorazione delle zone buie dell’io e dell’identità. E in questa rappresentazione il regista Pierpaolo Sepe ha saputo dare opportuno rilievo a questo scivoloso e infido binomio, linguaggio e identità, giocato, com’è nella trama, sullo scavo pertinace e ossessivo nel passato, in quei “vecchi tempi” carichi di disillusioni, di slittamenti di significati, di ricordi che non collimano, non si sa quanto veri o reinventati dalla distorsione temporale e dalle illusioni create dall’io dei personaggi.

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Perché tema precipuo di questo dramma così sofferto è proprio l’inconoscibilità del passato, delle relazioni interpersonali, del mistero dell’amore e dell’eros. E’, questa di Pinter, grande opera d’arte, poiché lo spettatore, proprio come i personaggi, è privato di certezze, non riesce a prendere parte, per così dire a schierarsi, a dare un’interpretazione univoca della realtà, insomma a crearsi una sua verità.

Lo scarno scenario indicato nel testo è stato “mobilizzato” da un’accorta regia, dalla direzione di scena di Simone Gentili, da personaggi che coprono l’intero palcoscenico con movimenti nervosi, financo schizofrenici, come alla ricerca del proprio sé sempre sfuggente, e dai costumi di Rossella Oppedisano, che vestono il personaggio di Kate, impersonato con ammirevole trasporto da Sara Bertelà, alla fine della pièce, d’una vestaglia che lascia intravedere lampi di nudità d’un corpo conteso, che è anche nudità dell’anima rispetto allo scavo inesausto che i tre personaggi portano avanti con ostinato dolore.  E la caratteristica che traspare da questa messa in scena pensata da Sepe è proprio l’accento sulla sensualità, su un eros che colora la vita ma che anche tiranneggia gli individui, complicando la ricerca d’una propria piena, forse mai realizzabile individualità. 

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Molto abile Roberto Biselli a tratteggiare un personaggio pieno della boriosità borghese, che alterna momenti di piatto intelletto a più acute intuizioni, e che si scopre ridicolo, a tal punto da rimanere letteralmente in braghe di tela, anch’egli denudato e posto davanti allo spietato specchio della propria coscienza. Altrettanto brava Lisa Galantini, che dona il giusto mistero al suo personaggio, Anna, l’inconoscibile donna che irrompe nella stantia vita di coppia scombussolando equilibri già fragili, tenuti dall’ipocrisia e dalla menzogna, verso l’altro e verso se stessi. Non a caso, ella è sempre presente in scena, in un angolo, anche quando viene evocata dai ricordi degli altri.

La rappresentazione si chiude come s’era aperta, con movimenti quasi scomposti, in una ricerca che non trova mai approdo.

Davanti a queste rappresentazioni è ancora più evidente l’importanza di kermesse come quella del Festival tuderte, boccate d’ossigeno per un arte, quella scenica, sempre in sofferenza per l’incuria e la dimenticanza di chi dovrebbe provvedere alla sua salute. Perché se l’arte è vita, come si diceva un tempo, il teatro ne è il suo cuore proprio per le tremende verità su noi stessi e sul mondo che ci forza a guardare.

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