Giorgio Ambrosoli, l'eroe borghese che sfidò la mafia e il potere finanziario

Nella notte tra l'11 e il 12 luglio del 1979 fu assassinato a Milano l’uomo che sfidò Sindona, la mafia e un intero potere politico e finanziario che non esitò a isolarlo prima e ucciderlo poi. Era nato il 17 ottobre 1933

Giorgio Ambrosoli, l'eroe borghese che sfidò la mafia e il potere finanziario
Giorgio Ambrosoli
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11 Luglio 2023 - 09.27


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“Di Sindona probabilmente ce n’è ancora qualcuno in giro. Cambia il nome, cambia la faccia, ma la sostanza rimane”. Parola di Giorgio Ambrosoli, eppure sembra un’intervista dei giorni nostri. La citazione è di una intervista alla Rai rilasciata dal commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona.

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Una liquidazione che Giorgio Ambrosoli accettò di svolgere, forse inizialmente ignaro di ciò che avrebbe scoperto una volta alla guida della banca del bancarottiere siciliano. Lo stesso uomo, quel Michele Sindona, che una certa Milano bene e rampante dell’imprenditoria meneghina degli anni ’70 chiamava “Il mago delle tasse”. Lo stesso Michele Sindona citato da numerosi collaboratori di giustizia come uno dei principali riferimenti finanziari per le cosche di Cosa Nostra.

Era la notte tra l’11 e il 12 luglio del 1979. Giorgio Ambrosoli, dopo aver accompagnato a casa degli amici arriva sotto casa sua. Parcheggia la sua auto e si dirige verso il portone di casa quando incrocia il killer William Arico. Lo stesso killer che il 12 gennaio del 1979 contattò telefonicamente lo stesso Ambrosoli per comunicargli che “è degno solo di morire ammazzato come un cornuto. Perché lei è un cornuto e un bastardo”.

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Giorgio Ambrosoli, “cornuto e bastardo” per non aver accettato di salvare le scatole cinesi costruite da Michele Sindona da una parte all’altra dell’oceano. “Cornuto e bastardo” per aver svolto il proprio mestiere nell’interesse esclusivo dell’Italia e dei suoi cittadini. Così nella notte tra l’11 e il 12 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli viene raggiunto dai proiettili di Arico sparati da una 357 Magnum.

La fine, la fine di un eroe borghese, così come lo definirà Corrado Stajano nel libro in cui descrive il lavoro di Ambrosoli per la liquidazione della banca privata. Non aveva dubbi Giorgio Ambrosoli, fin dal giorno in cui consegnò la sua relazione sulla Banca Privata Italiana alla Banca d’Italia. La lettera che Ambrosoli scrisse alla moglie Annalori, quattro anni prima della sua morte è profetica.


“Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana ndr) atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica.

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Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell’Umi (Unione Monarchica Italiana ndr) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno rag

ione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.
I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.

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Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro […]
Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.”

No, il lavoro di Ambrosoli non aveva soddisfatto i “molti”. Quei molti protagonisti della vita politica italiana che hanno cercato di salvare Sindona in tutti i modi, definendolo a loro volta “il salvatore della lira”, come disse Giulio Andreotti dello stesso Sindona. Ambrosoli nel lavoro di liquidazione era andato a fondo, arrivando anche davanti al muro di gomma dello IOR (la banca vaticana) dove proprio quella finanziaria di Sindona, la Fasco, avrebbe donato 200milioni di lire al conto “Fondazione Spellman” di Giulio Andreotti. Parola di Pietro Macchiarella, capo proprio della Fasco Ag e uomo di Sindona, che rivelò la circostanza davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul crak Sindona.

E così, in una mattina afosa a Milano, al funerale di Giorgio Ambrosoli le autorità politiche da destra a sinistra, ritennero di non presentarsi. D’altronde “mezza Italia” si mosse per salvare Sindona e nessuno ne faceva mistero, così come ritenne di non farne mistero dopo 31 anni anche Giulio Andreotti, che in un’intervista rilasciata lo scorso anno a “La Storia siamo noi” ebbe a dire che “In termini romaneschi era uno che se le andava cercando”.

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32 anni fa, a Milano, morì l’uomo che sfidò Sindona, la mafia e un intero potere politico e finanziario che non esitò a isolarlo prima e ucciderlo poi. A venti anni dalla morte Giorgio Bocca dedicò uno dei suoi articoli su La Repubblica a Giorgio Ambrosoli. Al termine, lo stesso Bocca si domanda “L’avvocato Ambrosoli ha vinto o perso la sua scommessa sulla onestà?” per poi rispondersi “Personalmente l’ha vinta, storicamente l’ha persa. Negli anni passati dalla sua morte l’integrazione nel male, la “facilità del male” sono aumentate non diminuite”.


E quelle parole di Ambrosoli nell’intervista alla Rai citata in apertura condite al momento storico che il nostro paese sta vivendo, non si può che convenire sia con la riflessione di Bocca, sia con le parole dell’eroe borghese Ambrosoli che divenne il “nemico di Sindona”, ma non “l’amico dei potenti”. Ma oggi pare che l’Italia degli Andreotti abbia sconfitto quella degli Ambrosoli.

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