“Il Sarto” di Palermo scomparso 10 anni fa: Franco Scaldati lascia in eredità il sogno dei "sommersi"

Per ricordare il grande maestro e drammaturgo, che con il suo teatro ha rappresentato la Palermo dei quartieri popolari, Melino Imparato porta avanti il progetto di Scaldati. Il suo archivio si trova alla Fondazione Cini di Venezia

“Il Sarto” di Palermo scomparso 10 anni fa: Franco Scaldati lascia in eredità il sogno dei "sommersi"
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7 Giugno 2023 - 17.33 Culture


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La lancetta del tempo del 2023 segna una ricorrenza importante: sono trascorsi 10 anni dalla morte di Franco Scaldati, il ‘sarto’ drammaturgo che con il suo teatro ha rappresentato la Palermo dei quartieri popolari. Per rendere onore alla figura di Scaldati, AGI ha intervistato Melino Imparato, amico ed erede del drammaturgo: “Scaldati era Kurosawa, Fellini, Bunuel, e i fumetti di Alan Ford: era l’anima sognante e tragica di Palermo – aggiungendo poi – era mio amico, un mio fratello, il mio maestro”.

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Nonostante sia passata una decade dalla scomparsa di Scaldati, Imparato, con la sua compagnia teatrale, continua a portare avanti il progetto che l’amico aveva iniziato lasciandone immutati il testamento spirituale ed artistico.

Nato da umile famiglia, Franco Scaldati si avvicina al mondo del teatro quando inizia a lavorare in una sartoria frequentata da attori teatrali: fra costumi di scena e conversazioni stimolanti, l’allora piccolo ‘sarto’ inizia a sviluppare una passione profonda per la professione dell’attore.

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Corre l’anno 1964 quando il drammaturgo entra nella compagnia di Nino Drago, e la sua carriera inizia a decollare: in soli quattro anni entra in contatto con personalità solide del teatro come Gaspare Cucinella, Melino Imparato, Ninni Truden, Gigi Burruano, Fabio Cangialosi, Toti Giambertone, i fratelli La Bruna, Rory Quattrocchi, i fratelli Spicuzza e Tobia Vaccaro. Nel 1974, insieme allo stesso Nino Drago, fonda il Piccolo Teatro di Palermo, mentre nel 1975 fonda la storica Compagnia del Sarto, che resta attiva tra gli anni Settanta e Ottanta.

Scaldati, successivamente, mette in scena alcuni fra i suoi più noti testi teatrali, come Il cavaliere Sole (1979), La guardiana dell’acqua (1981), Indovina ventura (1983), Assassina (1984) e Il pozzo dei Pazzi. Per spiegare la sua missione teatrale, il drammaturgo si paragona ad una spina nel fianco del teatro italiano: “il mio è un teatro che parla di cose vere – confida al regista e amico Franco Maresco- di emozioni vere e si pone continuamente il problema del perché fare teatro, perché esserci, porsi il problema per chi fare teatro. Il nostro è un teatro che è portatore di poesia, una poesia violenta nel senso che si chiede continuamente che cosa fare, e chiede implicitamente un cammino verso un rapporto più solidale fra gli uomini, e che non si guarda allo specchio, che non si appaga di sé stesso”.

Quando arriva il successo nazionale, arriva anche una decisione fondamentale: Scaldati lascia la carriera inseguita fino a quel momento per fondare, nel cuore più recondito di Palermo, un laboratorio teatrale: “Raccontando, dunque assumendosi il ruolo di portavoce di un’intera comunità vessata – spiega Raciti, che ha curato la sistemazione dell’archivio del drammaturgo per la Fondazione Cini – il teatro di Franco Scaldati dona dignità di parola ai vinti, agli ultimi. Il suo teatro serve perché ci si possa affrancare da quella condizione di miseria, da quello sgomento culturale, sociale e identitario nel quale Palermo vive da tempo”.

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I personaggi del Sarto rappresentano la parte in ombra della città: strozzini, prostitute, confidenti di polizia, piccoli criminali, pedine della mafia che il drammaturgo comunque ‘protegge’ in quanto anch’essi, per lui, sono vittime sommerse e non salvate. Le stragi del 1992 e l’omicidio di don Pino Puglisi a Brancaccio segnano nel profondo il regista: “A quest’ora – recita il testo ne ‘Il ventre di Palermo. Sulle tracce di Falcone e Borsellino’ – i signorini escono belli imbellettati. Alla vista di quali occhi succede il fatto? Lì intorno nessuno c’era, interessato alla cosa, ma l’anima dello spione si confonde nella penombra. Privo di luce un occhio vede non visto. La mano s’alza con un gesto rituale. Una goccia di fuoco lacera la cupa ombra. Il colpo della pistola fu un lampo di sangue. Il leone ghiaccia, le mosche in aria si fermavano pure l’orchestra degli angeli ammutolì. Fu il suo cuore la tana di un suo astro arcano. All’imbrunire di nascosto si incontrano i fidanzati. Inizia una cosa e un’altra muore”.

L’impegno di Imparato e della sua compagnia a portare avanti nel particolare l’anima di Scaldati, e nel generale la complicata essenza di Palermo, è da ammirare. Anche se, dovrebbe essere Palermo a riconoscere la grandezza del drammaturgo. Purtroppo però, sembra che la città ancora abbia un debito nei suoi confronti. Imparato afferma infatti che: “al funerale di Scaldati, il 2 giugno del 2013, l’allora assessore Giambrone disse che Palermo aveva un debito con Scaldati, e questo debito non è mai stato saldato. Oggi bisognerebbe farlo, e con gli interessi. Bisognerebbe mettere a punto un progetto complessivo sulla figura di Scaldati”.

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