“A mia madre”: il ritratto della figura materna di Eugenio Montale

Dopo la scomparsa della madre Giuseppina, nel 1942, Montale scisse “A mia madre”. Una riflessione sul tema della morte, e sul rapporto tra vita terrena e aldilà.

“A mia madre”: il ritratto della figura materna di Eugenio Montale
Eugenio Montale
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14 Maggio 2023 - 14.44


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La poesia “A mia madre” di Eugenio Montale, scritta nel 1942, rappresenta una profonda riflessione sulla morte. Il poema fu composto dopo la scomparsa di Giuseppina Ricci, madre del poeta, e riflette l’angoscia di un figlio che si sente privato dell’amore più grande, quello che cura e protegge in modo totale e salvifico, alla ricerca di un nuovo significato in un mondo improvvisamente oscuro.

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Il componimento è tratto dalla raccolta “La bufera e altro” del 1956, la più cupa, pessimistica e angosciante nella produzione di Montale, in cui il concetto di “male di vivere” diventa tangibile e assume una dimensione cosmica, riflettendo il contesto storico della Seconda Guerra Mondiale.

Nella raccolta “La bufera”, due figure femminili svolgono un ruolo centrale, entrambe con un ruolo salvifico: la prima è Clizia, nome tratto dalle Metamorfosi di Ovidio che indica l’amata Irma Brandeis, già musa ispiratrice delle “Occasioni”; la seconda è la madre, divenuta un’ombra in transito nei campi elisi ma che ispira al poeta un sentimento di distacco dalle angherie terrene. Alcuni critici hanno ipotizzato che, invece di Clizia, sia proprio la madre la principale dedicataria della raccolta poetica, il vero “visiting angel”.

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Giovanni Mazzotta, critico letterario, nel 1947 osservò che l'”ombra viva” presente in modo costante nella raccolta potesse non riferirsi all’allegoria della poesia o alla presenza salvifica della donna-angelo, ma che quella messaggera divina che guida il poeta attraverso la bufera del mondo in tempesta fosse in realtà la madre. Il fantasma materno sembra essere una costante nella produzione montaliana, persino quando non è manifestamente presente, poiché è celato nella condizione primaria del rapporto “uomo-donna”, come se tutte le figure femminili successive fossero una ripetizione di quella materna.

Ciò è particolarmente evidente nella poesia “Una voce è giunta col le folaghe”, in cui Montale evoca una misteriosa ombra di donna, “un’ombra viva”, che ricorda una presenza virgiliana o dantesca; ma si palesa in modo esplicito nella poesia “A mia madre”, in cui il titolo stesso rivela la dedicataria del componimento.

Il testo

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Ora che il coro delle coturnici

ti blandisce nel sonno eterno, rotta

felice schiera in fuga verso i clivi

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vendemmiati del Mesco, or che la lotta

dei viventi più infuria, se tu cedi

come un’ombra la spoglia

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(e non è un’ombra,

o gentile, non è ciò che tu credi)

chi ti proteggerà? La strada sgombra

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non è una via, solo due mani, un volto,

quelle mani, quel volto, il gesto d’una

vita che non è un’altra ma se stessa,

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solo questo ti pone nell’eliso

folto d’anime e voci in cui tu vivi;

e la domanda che tu lasci è anch’essa

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un gesto tuo, all’ombra delle croci.

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