Un incubo tra onde selvagge, Fabrizio De André e il karaoke 'dedicato' ai morti di Cutro

Le terribili immagini dei corpi su quella spiaggia e un karaoke davvero fuori luogo. Tutta colpa dello "Spuntino"? Il problema sta tutto nella mancanza di una sensibilità etica

Meloni e Salvini mentre cantano
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Marcello Cecconi Modifica articolo

13 Marzo 2023 - 21.33 Culture


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di Marcello Cecconi

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Stanotte ho avuto un incubo. Ho sognato Fabrizio De André. Chissà se è stato per il senso di colpa per non aver rispettato una scommessa fatta con me stesso. Dopo qualche settimana di rinuncia ai dolci ho ceduto, poco dignitosamente, all’attrazione subdola di quelle frittelle alla crema dello “Spuntino” che, per testare la mia rettitudine (ne sono convinto conoscendoli), perfidi amici hanno voluto scartocciare a fine cena fiaccando la mia resistenza.

Nell’incubo ero in una spiaggia, al buio, con un freddo che s’insinuava nel mio corpo attraverso il soffio urticante del vento umido e salato. Mi penetrava nella pelle come spilli facendomela accapponare. Non ero solo, anche se nessuno badava a me: suoni e canti si scontravano con il rumore delle onde; più giù, sulla battigia, ombre immobili e ombre in movimento.

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Mentre onde impetuose si ricorrevano, a me pareva di scorgere “cose” che dondolavano nella timida risacca. Man mano che mi si avvicinavano definivano sempre più nitidamente il loro contorno. Erano corpi, corpicini: li ho contati ad uno ad uno. Ventidue. Una conta lenta che aumentava mentre il mio incubo si faceva sempre più complesso perché nella conta rischiavo di comprendere anche tutti quei pupazzi di pezza che, chissà perché, due delle tre persone immobili, avevano appena adagiato sulla spiaggia.

Queste due persone, più vicine tra loro, erano un uomo e una donna. Mi sono avvicinato. Lui era alto, robusto, con una barba leggera. Mostrava cinquant’anni, non uno di più non uno di meno, e un sorriso bruciato sul volto ampio, mentre lei, piccola e qualche anno di meno, aveva uno sguardo che mi ha colpito lasciandomi interdetto. Non riuscivo a capire se erano occhi sorprendenti o sorpresi, ma di sicuro erano enormi. Entrambi immobili, uno accanto all’altro e con lei che appoggiava con delicatezza la mano sinistra sullo stomaco pronunciato di lui come a proteggerlo.  

Pregavano. Lo facevano cantando, perché tutti potessero sentire, anche al di là del mare. C’era un sottofondo musicale e le parole si accendevano nel cielo buio come in un immenso pannello digitale. Sembrava un karaoke celeste. Mentre leggevano e cantavano il volto si arrossava sempre più. “Questa di Marinella è la storia vera – che scivolò nel fiume a primavera – ma il vento che la vide così bella – dal fiume la portò sopra una stella”.

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È stato allora che la terza figura immobile, che era più distante, si è messa a correre arrivando trafelato accanto a loro, sulla battigia. Era un uomo di altezza media, con un ciuffo spiovente da nascondergli parte del volto e una felpa bianca con uno scritto in rosso: “No 41 bis”. L’ho visto in volto, era incredulo e irato. L’ho riconosciuto. Era proprio lui: Fabrizio De André. Quasi come Gesù che cacciò tutti fuori dal tempio e rovesciò i tavoli dei cambiavalute, con un impeto impensabile per un uomo mite come lui, si è tolta la felpa lanciandola contro i due.

Con questo gesto le parole della sua “preghiera” si sono spente in cielo e quella musica si è acquietata. Ho visto lacrime scendere sul volto del poeta mentre l’uomo e la donna con la faccia sempre più rossa se ne sono andati in silenzio.

Quel silenzio di vergogna mi ha svegliato di soprassalto. Basta con le frittelle, mi sono detto.

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