Fenomenologia di Maurizio Costanzo
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Fenomenologia di Maurizio Costanzo

Nella multiforme e talora oscura biografia di questo figlio di Roma di origini abruzzesi si specchia molta della storia non solo culturale d’Italia, in essa trovano luogo le luci del genio nazionale e le ombre minacciose di vicende mai chiarite.

Fenomenologia di Maurizio Costanzo
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

28 Agosto 2023 - 09.07


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E così, anche Maurizio Costanzo ci ha lasciati. Com’è uso in tali casi, si stanno diffondendo i più disparati messaggi di cordoglio, alcuni sentiti, la maggior parte composti di consuete e trite frasi, magari preparate da tempo coi famigerati coccodrilli: mi piace pensare che il buon Costanzo se la stia ridendo sotto i baffi, con la sua pungente ironia.

Non è facile sintetizzare la vita di un uomo che ha attraversato da protagonista decenni di storia nazionale, lasciando il segno in ogni campo in cui si è cimentato – dal giornalismo alla televisione, dalla radio all’editoria, dalla musica alla politica, al cinema al teatro –, ma forse è proprio sotto il segno dell’ironia che gli piacerebbe essere ricordato, quel dono che ha riversato nel lavoro e nella vita privata. E con essa, la poliedricità e la creatività: ecco forse i segni distintivi dell’uomo e del personaggio pubblico.

Aveva, Costanzo, quel talento sottile del sapere cosa piace alla gente, e saperglielo ammannire in ogni sua forma, ma speziato con l’intelligenza, con lo spirito di contraddizione e appunto con l’ironia. Le sue creazioni sono state una sorta di specchio che tutti ci vedeva riflessi, che rimandava un’immagine distorta di quel che eravamo e siamo: la più vera. Non è un caso che figuri tra gli ideatori, con Paolo Villaggio – da lui scoperto e lanciato –, del personaggio di Fracchia, antesignano di Fantozzi, rappresentazione all’ennesima potenza di una certa italianità, condannata alla sconfitta esistenziale, sottomessa al potente di turno, irritantemente qualunquista.

Intrapresa l’attività giornalistica a metà anni Cinquanta, lanciato agli inizi dei Sessanta come autore radiofonico da quel genio di Luciano Rispoli, Costanzo si fece poderosa strada nell’era dei mass media sempre più colonizzanti la psiche italica. Con l’età e l’esperienza, in un decennio di acuti contrasti e meravigliosamente aperto alle sperimentazioni, da metà degli anni Settanta la sua creatività balzò fuori prepotente. Attingendo al talk show che imperava da anni nelle tv statunitensi – non inventandolo, come qualcuno vuole far credere –, ne plasma una peculiare forma tutta italica: ecco nascere il programma televisivo “Bontà loro”, che segue quel che è considerato il primo esempio di quel format della nostra tv pubblica, “L’ospite delle 2” del suo antico mentore Rispoli. Quello di Costanzo è però un programma impregnato di verve e d’ironia, decisamente aperto alla politica, all’arte e alla cultura (tra le tante, imperdibili le puntate che ebbero come ospite Carmelo Bene e un allora sconosciuto ingegnere dell’IBM, Luciano De Crescenzo), sempre con l’occhio virato al personale – quello che appunto piace di più alla gente.

Da lì è tutto un proliferare di nuove idee, nuovi programmi, fino all’approdo dello spettacolo televisivo che gli darà fama imperitura, il “Maurizio Costanzo Show”, non più targato Rai, però, ma programmato nel palinsesto dell’aggressivissima televisione privata di proprietà dell’imprenditore d’assalto Silvio Berlusconi, che stava scardinando il monopolio della Tv di stato e preparando il terreno alla deriva autoritaria. A rifletterci un attimo, in quel passaggio dalla titolazione ironica o allusiva (“Bontà loro”, “Acquario”, Grand’Italia”) al segnare un programma con il proprio nome v’è tutta l’abissale differenza storica e del costume che corre tra gli anni Settanta e gli Ottanta: dallo slogan “il privato è pubblico” all’individualismo più smaccato.

Ormai libero dai freni imposti da mamma Rai, probabilmente sostenuto da poteri non meglio identificati, Costanzo costruì una vera e propria “factory” che diede luogo a una lunga schiera di personaggi  – molti dei quali ce li saremmo volentieri risparmiati – che entreranno di peso nell’immaginario di una nazione ormai irrimediabilmente televisivizzata, mettendo a punto una particolare tecnica d’intervista, che procedeva molto per interruzioni e inframezzamenti, per allusioni lasciate sospese, come a gettare un ponte tra sé, il colloquiante ed il pubblico; o anche, quel comminare bastone e carota a seconda degli interlocutori, che fecero dire a più d’uno che fosse “forte con i deboli e debole con i forti”: un modo molto “italiano” di procedere. E pure proponendo quegli “uno contro tutti” che si trasformavano programmaticamente in agoni non poco aspre, una sorta di circenses della modernità, raffinate però dalla qualità intellettuale degli ospiti. Come che sia, quel suo programma divenne il “salotto mediatico” per eccellenza, in un grado forse mai più raggiunto e ormai irraggiungibile: un pulpito da cui veicolare anche subliminalmente idee e ideologie.

La capacità di Costanzo di cogliere il nucleo del desiderio del pubblico è evidente anche nella scrittura teatrale, con pièce quali Cielo, mio marito! (scritto con l’inarrivabile Marcello Marchesi e portata al successo dalla coppia Gino Bramieri-Ombretta Colli), o Vecchi, vuoti a rendere, ripetutamente portata in scena, e diverse altre. È inoltre evidente nell’universo cinema, con le co-sceneggiature di film poi assurti a cult, come La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, e del capolavoro di Ettore Scola Una giornata particolare, entrambi di quel 1977 per Costanzo estremamente fruttuoso.

Il talento di produrre ciò che piace è confermato dalla sua attività editoriale, cementata con la Rizzoli con la direzione di diverse riviste, dalla storica “La domenica del Corriere” ad un nuovo quotidiano popolare come “L’Occhio” (nato nel 1979 con i fondi Sipra e “voce diretta della Loggia” secondo lo storico Massimo Teodori), e il suo ruolo in network televisivi che si affacciavano agli albori degli anni Ottanta: divenenne infatti il direttore del primo telegiornale nazionale privato della TV italiana, su Primarete Indipendente. Si era nel pieno della realizzazione del famigerato Piano di Rinascita democratica steso da Gelli & Co., che ad un punto prevedeva l’assunzione del controllo dei mezzi d’informazione, obiettivo da anni perfettamente realizzato.

Dunque un talento, quello di Costanzo, che taluni hanno ipotizzato come messo al servizio di oscuri potentati afferenti alla famigerata loggia P2, nelle cui liste venne trovato anche il nome del nostro (appartenenza in un primo tempo negata, poi, a scandalo superato, ammessa), oltre che dei suoi committenti Rizzoli e Berlusconi. Non sfuggirà a questo proposito un’indicativa circostanza: pochi mesi prima della scoperta delle liste aveva fatto scalpore una sua intervista chiaramente prefabbricata a Lucio Gelli, pubblicata sul “Corriere della Sera” (giornale controllato dalla P2), in cui il “venerabile” sferrò un poderoso attacco allo Statuto dei lavoratori, si disse favorevole alla pena di morte, invocò La Repubblica presidenziale e definì la costituzione come “un abito liso e sfibrato” caldeggiandone la completa revisione in senso autoritario. Va tuttavia ricordato il successivo impegno profuso da Costanzo per nobili cause, a cominciare dalla lotta alla mafia che – probabilmente, non è stato mai chiarito – gli costò anche un attentato.

Come che sia, dagli anni Ottanta e fino al giorno della sua scomparsa emerge un’altra caratteristica di Maurizio Costanzo: l’onnipresenza. Divenne infatti il personaggio pubblico televisivo più presente, un’apparenza fantasmatica che esondava gli schermi degli italiani. A tale pervasività fa riscontro la moltiplicazione di sue attività nei decenni successivi, nei più svariati settori della comunicazione: radio e televisione (conduzione di innumerevoli programmi, privati e targati Rai, direzioni artistiche, presidenze di società produttrici di contenuti fiction), editoria (pubblicazione di decine di libri, rubriche su giornali, ruoli come direttore responsabile di collane), musica (autore di testi di canzoni e factotum a vario titolo di kermesse canore), teatro (direzioni artistiche di festival e stabili), insegnamento accademico e creazione di scuole di formazione inerenti la comunicazione, attività di marketing e di consulenza (nel 2007 la Guardia di Finanza scoprì onorari per 7 milioni di Euro versatigli dalla Telecom), pubblicità (anche come testimonial), sport (responsabile di strategie di comunicazione di società di calcio: la Roma), fondazione di società incentrate su Internet (la “Maurizio Costanzo Comunicazione”, creata con l’imprenditore-finanziere Alessandro Benetton): negli ultimi quarant’anni la presenza mediatica a 360 gradi di Costanzo ha avuto un che di abnorme.

A ben vedere, nella multiforme e talora oscura biografia di questo figlio di Roma di origini abruzzesi si specchia molta della storia non solo culturale d’Italia, in essa trovano luogo le luci del genio nazionale e le ombre minacciose di vicende mai chiarite. Anche questo, oltre ai tanti raggiungimenti del suo proteiforme ingegno, gli assicureranno negli anni a venire un posto nel pantheon nazionale.

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