Giuseppe Tantillo è Alfredo in Mare Fuori. E nella vita reale?

Mare Fuori 3 è record di visualizzazioni. Nel cast anche Giuseppe Tantillo, che nella vita reale è molto diverso da Alfredo

Chi è Giuseppe Tantillo, Alfredo di Mare Fuori. Intervista a Giuseppe Tantillo di Mare Fuori 3
Giuseppe Tantillo - Alfredo di Mare Fuori
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19 Febbraio 2023 - 14.36


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di Alessia de Antoniis

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Nella vita è Giuseppe Tantillo. Per i numerosissimi fan di Mare Fuori – in prima serata su Rai 2 – è Alfredo, che abbiamo conosciuto nella scorsa stagione col nome di Mirko. Un giovane avvocato coinvolto in giri malavitosi, che ama la bella vita, le cose costose e le belle donne.

Ma fuori dal set Giuseppe Tantillo è davvero così?

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No – racconta sorridendo Giuseppe – a differenza di Alfredo, non penso affatto che il mondo sia dei furbi e dei cinici. Crede invece nella legalità e nella funzione sociale dell’arte. Alfredo ama il lusso sfrenato. Giuseppe, al mercato del lusso, preferisce quello sostenibile.

In Mare Fuori non c’è la brutalità delle fiction alla Gomorra né il glamour delle serie di successo alla Netflix. Eppure ha registrando ascolti da record – 12 milioni di visualizzazioni in un giorno – ed è prevista la quarta stagione. Qual è il fascino di Mare Fuori?

Mare Fuori, nei suoi protagonisti più giovani, racconta quel momento di passaggio della vita che conduce dall’adolescenza all’età adulta. Il momento in cui ogni essere umano, più o meno inconsapevolmente, decide cosa diventerà da grande. È la fase più struggente della vita, che fornisce da sempre interessanti spunti di racconto. Se poi a questo aggiungi la dimensione del carcere minorile, che amplifica tutto quanto, direi che il gioco è fatto.

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Rai sta producendo serie di qualità, investendo sia sulle sceneggiature che su nuovi talenti, giovani ma con una buona formazione. Tra un attore giovane con solidi studi alle spalle e uno giovane con tanti follower, spesso si scrittura il secondo. All’inizio molti di voi erano sconosciuti. Mare Fuori dimostra che la formazione paga più dei follower?

L’avvento dei social media, e ancor prima dei reality, ha distorto come non mai la percezione del nostro lavoro. Il concetto di visibilità ha in parte sostituito quello di capacità. Chiunque, ad esempio, ha pensato di poter fare l’attore solo perché riconosciuto per strada da qualcuno. Potremmo definirla una declinazione tragicomica dei famosi quindici minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol. Ma ovviamente è un fenomeno destinato a finire. Una bolla paragonabile a quella dei mutui che ha portato al fallimento delle grandi banche d’affari americane. Nell’arte, forse ancor più che in economia, non si può fare debito sulla capacità.

Scrivi per il teatro. Un problema che accomuna cinema e teatro è la mancanza di sceneggiature e drammaturgie valide. Ci sono addirittura delle carte, come quelle da gioco, per creare uno script. Forse per questo Shakespeare va in scena dopo cinque secoli e tantissimi nuovi drammaturghi li dimentichiamo dopo poche repliche?

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Quello che di certo non manca in giro è il talento. La drammaturgia contemporanea è viva e molto interessante. Il problema è che la gente non la conosce. Purtroppo i teatri non investono sul nuovo e si limitano a produrre quasi solo repertorio, pensando in questo modo di andare sul sicuro. Ma è una strategia folle che, se reiterata, finirà per distruggere quel che resta del mercato. Il Teatro ha infatti una funzione sociale che non è certo museale ma, al contrario, assurge al compito di interpretare il presente. Cosa che può essere fatta solo in parte, attualizzando i classici. D’altronde, anche se spesso lo dimentichiamo, lo stesso Shakespeare è stato un autore contemporaneo dei suoi tempi.

Per quanto riguarda il cinema, fatte salve le dovute differenze, c’è lo stesso problema di mancanza di coraggio. Se una cosa ha successo, si cerca di rifarla all’infinito fino a spremerla del tutto. Questo avveniva anche in passato, ma adesso ha assunto contorni più inquietanti. Persino tra alcuni autori mi pare che l’urgenza non sia di cercare, ma di cercare di vendere. Ma l’arte si vende se è bella, non se è furba. E a me, nell’arte come nella vita, i furbi non mi sono mai piaciuti.

Cosa ama raccontare Giuseppe Tantillo scrittore?

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Mi piace raccontare le persone. Mi interessa quello che dicono, quello che provano e, soprattutto, quello che si illudono di provare. Siamo dei grandi disperati che cercano di dare forma e senso a qualcosa che in fondo, non riusciamo bene a capire. E allora ci lamentiamo, nelle diverse forme in cui si esprime la lamentela: la rabbia, l’eccessiva gioia, la cattiveria e l’ironia. Quest’ultima, tra tutte, è quella da me più frequentata.
Mia madre mi racconta sempre che a due anni e mezzo di fronte a un suo rimbrotto le risposi: “Guarda che io non sono venuto al mondo per essere rimproverato!” Questo credo che, oltre a raccontare del mio problema con l’autorità, racchiude in sé l’essenza della mia ricerca .

Hai fatto anche regia. Quando vieni diretto, è difficile non vedere la scena a modo proprio, non dirigerla secondo la propria visione?

Al contrario! È facilissimo. Quando faccio solo l’attore, adoro non dovermi occupare di nient’altro che non sia proprio del personaggio. Fare regia è una cosa complicatissima, che ti costringe ad avere una visione lucida d’insieme. Recitare, invece, è come immergersi in una vasca di sentimenti. Come mangiare solo la parte più gustosa della torta.

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L’influencer Giulia Salemi ha dichiarato: “A Sanremo ho incontrato il cast di Mare Fuori in aereo. Ma anche meno. Pensano di salvare vite umane, ma se la tirano in un modo… Te la puoi tirare con 40 anni di carriera, non con una serie alle spalle. Tranne le ragazze, loro sono state carine!”. Pensi che l’arroganza sia un diritto che si guadagna sul campo dopo anni di lavoro?

Premetto che non ero a Sanremo. Ho solo letto le sue dichiarazioni. Conoscendo i ragazzi, che mi sembrano tutto meno che così, è una cosa della quale dubito fortemente, Rispondendo in generale, invece, credo che l’arroganza non sia mai giustificata, nemmeno dopo quarant’anni di carriera. E che il rispetto per gli altri non debba mai venir meno.

Il lettore barra fruitore di social, è ancora così immaturo da poter essere facilmente istigato da giudizi negativi? Si ha più successo se si parla male delle persone che hanno raggiunto traguardi sul lavoro, creando una sorta di scompiglio mediatico?

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Bisognerebbe forse definire la parola successo. Se per successo s’intende la visibilità fine a se stessa, credo che le tecniche di cui parli siano sempre valide. Se, invece, s’intende la realizzazione professionale, che passa dalla passione e dal lavoro, credo che lo scompiglio mediatico sia solo un grande ostacolo al raggiungimento di una vera credibilità artistica. È dunque, come tutto, una questione di scelte. Scelte che ci definiscono e parlano di noi.

Alle regionali hanno votato 4 elettori su 10 e, soprattutto, non hanno votato i giovani. Si parla tanto di giovani, ma non si parla con i giovani. Nel tuo settore, cosa noti? Sono lavativi, nullafacenti, ignoranti, maleducati come li vuole una parte dell’aneddotica dominante?

La politica ha smesso da anni di parlare con i giovani. Forse proprio da quando ha cominciato a chiamarli così: i giovani. Parola che detesto, perché trasforma qualunque istanza da bisogno a capriccio. Da lì tutta la narrazione dei giovani che sono pigri, ignoranti e maleducati. La verità è che la politica, per decenni, ha tradito le nuove generazioni. Sono stati spesi soldi che non c’erano, ipotecando il futuro di qualcun altro. Quello delle nuove generazioni, appunto, che a differenza delle precedenti, si sono ritrovate quasi senza tutele. Costretti a costruirsi un futuro sulla fiducia e senza nessuna garanzia. E, per giunta, dovendo sopportare la narrazione deformata di quelli che di fatto sono stati i suoi aguzzini.
Ci credo che “i giovani” non vanno a votare. E te lo dice uno che ha sempre votato e che crede nella politica. Quella con la P maiuscola però. Quella che dovrebbe partorire idee e non giudizi, come invece troppo spesso accade.

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