Roman Polanski e Ryszard Horowitz in “Hometown, la strada dei ricordi”

Dal 25 gennaio al cinema, “Hometown, la strada dei ricordi” è il docufilm di due giovani registi polacchi, Mateusz Kudla e Anna Kokoska Romer, che hanno riportato a casa Roman Polanski e Ryszard Horowitz.

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28 Gennaio 2023 - 14.51


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di Alessia de Antoniis

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Dal 25 gennaio al cinema, “Hometown, la strada dei ricordi” è il docufilm di due giovani registi polacchi, Mateusz Kudla e Anna Kokoska Romer, che hanno riportato a casa Roman Polanski e Ryszard Horowitz.

Il grande cineasta e il genio della fotografia ripercorrono un viale della memoria che si districa in una Cracovia nella quale non tornavano da sessant’anni. Una città che “sembra Disneyland, non è rimasto nulla di quel passato”.

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Polanski e Horowitz, con le sembianze dei due vecchietti dei Muppets, scherzano con quel tipico umorismo ebraico; ripercorrono, camminando con leggerezza tra le strade della loro città, i luoghi della loro infanzia, alcuni dei quali distrutti. Tornano nelle case dove avevano vissuto, ora completamente trasformate; rivedono il liceo artistico dove si erano conosciuti, la sinagoga; il cimitero di Cracovia, con il suo muro della memoria fatto con le lapidi rotte dai nazisti. Ricordano come gli ebrei si erano nascosti dal comunismo stalinista come dal nazionalsocialismo di Hitler. E, insieme alla loro, ci restituiscono storie di persone inghiottite dalla follia nazista.

“È strano che siamo ancora qui”. Anziani, ma con occhi che ancora brillano, ripercorrono le strade di una memoria che fa fatica a riemergere, a tratti diversa nei racconti dei due amici. “Abbiamo dimenticato, cancellato dalla memoria quello che non volevamo rivivere. Non abbiamo mai parlato del calvario che fu la guerra”.

Mentre si festeggia un’altra giornata della memoria di una tragedia che si allontana nel tempo, mentre aumentano le voci di chi dice “basta con questa storia degli ebrei”, mentre di testimoni della shoah ne restano sempre meno e aumentano i negazionisti, “Hometown, la strada dei ricordi” è una testimonianza leggera, ironica, che non ti sbatte in faccia la brutalità dell’occupazione nazista della Polonia. Ci scivoli lentamente mentre i muri salgono, ti chiudono, ti soffocano. Mentre entri ed esci dai luoghi di oggi che si alternano alle immagini di ieri. Foto di famiglia in bianco e nero e filmati di repertorio perfettamente restaurati, cuciti come intarsi tra la bellissima fotografia di Łukasz Herod, e la scenografia di Karolina Kokoszka.

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“Ci stavano murando. Costruirono un muro per delimitare il Ghetto, poi murarono le porte e alcune finestre, lasciando un solo accesso dalle cantine”. Quel ghetto, che non si distingue nelle riprese girate in una Cracovia completamente ristrutturata, lo vedi nei filmati d’epoca che ritraggono file di deportati, lo senti crescere nei racconti dei due superstiti. “Ammassati nel Ghetto ci sentimmo comunità. Finché non iniziarono a chiuderci nei muri. Dopo ogni deportazione la zona veniva ridotta”.


Sempre più malattie. Fame. La gente moriva per strada e le persone tiravano dritte. “Quando iniziò la guerra migliaia di persone erano già morte”.

Polanski ricorda la prima persona che vide brutalmente assassinata: una donna che camminava a fatica, cadde e cercò di proseguire a quattro zampe. Un soldato tedesco le sparò alla schiena. Il regista polacco ricorda ancora il sangue che “zampillava come l’acqua da una fontana”.
Ricorda il padre in lacrime quando gli disse “hanno portato via mamma”. Giovanissimo, Roman non pianse. Rispose solo “smettila, così ci scoprono”.

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Horowitz che a un certo punto dice: “Ma davvero sono stato lì? Se non fosse per il tatuaggio – aggiunge mostrando il numero di matricola del campo di Aushwitz sul braccio – non ci crederei”. E poi ancora: “Dopo non ne abbiamo più parlato. C’è voluto del tempo per tornare a vivere in modo civile. Tanto quando raccontavo quei fatti sembrava che li avessi inventati”.

“Hometown la strada dei ricordi” è il racconto privo di sensazionalismi di un ragazzino di dodici anni rimasto senza genitori, entrambi deportati, che ottiene rifugio da una famiglia non ebrea, presso la quale si era recato portando i vestiti lasciati da sua madre, gli ultimi risparmi di suo padre e un orologio, “finché non fu più di loro interesse tenere un bambino ebreo”. Così ricorda Polanski. Con lui Horowitz, il più piccolo dei sopravvissuti ad Aushwitz grazie al “Giusto fra le Nazioni” Oskar Shindler.

“Hometown la strada dei ricordi” è un viaggio nella memoria di due anziani, che hanno trovato nell’oblio della dimenticanza la strada per non impazzire. Una lunga camminata in una città che prima della guerra contava settantamila ebrei, oggi ridotti a poche centinaia.

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L’anima del documentario è forse nelle parole di Horowitz, quello che racconta di meno, quello che sembra passare in secondo piano davanti a Polanski abituato a dirigere: “Siamo il prodotto del passato e di ciò che abbiamo vissuto. Una volta in una scuola di New York, dove ero andato per parlare della mia deportazione in un campo di sterminio, un bambino mi chiese: che giochi avevate ad Auschwitz? La gente non impara nulla dalla storia, non traggono nessuna lezione”.


Un docufilm commovente e triste, a tratti pervaso da una vena di ironia, dove le parole più belle sono affidate alle immagini: di sguardi malinconici, occhi distanti, lacrime ingoiate, sorrisi su due volti segnati dal tempo. E strade, tante strade, di città e di campagna, percorse a piedi e in macchina, ma ancora una volta insieme.

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