Il fantasma del caso Pasolini
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Il fantasma del caso Pasolini

Nel caso Pasolini, tra verità nascoste e depistaggi, c'è anche un fantasma. Si chiama Antonio Pinna, misteriosamente scomparso nel 1976.

Il fantasma del caso Pasolini
Silvio Parrello
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David Grieco Modifica articolo

5 Marzo 2024 - 01.42


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Nel Caso Pasolini, tra verità nascoste e depistaggi, c’è anche un fantasma. Si chiama Antonio Pinna. Pinna aveva conosciuto Pier Paolo Pasolini da ragazzino a Donna Olimpia nei primi Anni Cinquanta, lo frequentava assiduamente e segretamente nel 1975, ma si è improvvisamente volatilizzato il 16 febbraio del 1976, durante il primo processo a Pino Pelosi, senza lasciare tracce.

Di Antonio Pinna si è occupato anche il popolare programma televisivo “Chi l’ha visto?” ma la ricerca di quest’uomo non ha dato per ora alcun esito.

Vivo o morto, comunque, Antonio Pinna avrebbe rivestito un ruolo chiave nell’assassinio di Pier Paolo Pasolini.

Procediamo con ordine.

Pier Paolo Pasolini giunge a Roma in compagnia di sua madre nel 1950. È in fuga da Casarsa della Delizia, il paesino del Friuli dove viveva, perché un giornale locale lo ha schiaffato in prima pagina con l’accusa di essere “un pederasta”, su delazione del parrocco che ha carpito in confessionale la testimonianza di un ragazzo del luogo.

A Roma, Pasolini va a vivere a Donna Olimpia, in borgata. È troppo povero per prendere in affitto un appartamento in città. Pier Paolo e sua madre Susanna sbarcano il lunario come possono: lui dando ripetizioni a studenti senza speranza, lei pulendo le scale dei palazzi signorili di Monteverde Vecchio.

Pasolini e sua madre sono due dei tanti emarginati che vivono in borgata. Da questa esperienza, più avanti, nascerà il Pasolini scrittore, sceneggiatore e regista di successo che usa il dialetto romanesco per esprimersi.

In quei primi Anni Cinquanta a Donna Olimpia, Pier Paolo Pasolini fa amicizia con un gruppo di ragazzini. Insieme a loro, il poeta gioca a pallone nelle strade sterrate e va a fare il bagno al fiume. Tra di essi c’è Silvio Parrello, detto Er Pecetto, e Antonio Pinna, detto Voila’. Frequentano la stessa scuola, in classe insieme, ma presto la dovranno lasciare per mettersi a lavorare. Parrello dapprima fa tanti mestieri ma poi finirà per diventare un poeta e un pittore di indubbio talento. Pinna invece ha la passione per le auto e diventa meccanico.

Nel 1975, Pinna va spesso a trovare Parrello. E gli porta sempre i saluti di Pier Paolo Pasolini. “Ma lo vedi ancora?”, gli chiede sorpreso Parrello. “Ancora? Stiamo sempre insieme, uno di questi giorni torno a trovarti con lui”, risponde Pinna. Parrello non riesce a trattenere lo stupore. “Come mai vi vedete così spesso?”, domanda al vecchio compagno di scuola. “Ci vediamo perché Pier Paolo vuole da me un sacco di informazioni”, risponde Pinna. “Che genere di informazioni?”, chiede ancora Parrello. “Informazioni riservate, segreti che so soltanto io”, bisbiglia Pinna con tono da cospiratore. Poi, per risultare credibile, Pinna fa un esempio preciso a Parrello: “Ora Pier Paolo vorrebbe sapere i nomi di alcuni elementi della criminalità organizzata che si sono infiltrati nelle Brigate Rosse”.


Il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini muore in circostanze a dir poco misteriose all’Idroscalo di Ostia. Il suo assassino è un ragazzo minorenne chiamato Pino Pelosi che lo avrebbe prima massacrato di botte e poi sarebbe passato “inavvertitamente” sul suo corpo alla guida dell’Alfa GT del poeta, uccidendolo. Sempre “inavvertitamente”, Pelosi sarebbe passato sul corpo di Pasolini non una volta, ma varie volte.

Questa versione dei fatti viene rigettata in prima istanza dal Tribunale dei Minori che la giudica non credibile. Ma in seguito, sarà definita attendibile dalla Corte di Appello e dalla Cassazione, e determinerà per sempre l’unica “verità ufficiale” sulla morte di Pasolini.

Il 16 febbraio del 1976, mentre è in corso il primo processo a Pino Pelosi per la morte di Pier Paolo Pasolini, Antonio Pinna sparisce. “Sono venuti a prenderlo a casa due signori molto distinti. È uscito insieme a loro e non lo abbiamo più visto”, afferma la sorella Margherita. Il 16 febbraio non è un giorno qualsiasi. È il giorno in cui il Tribunale dei Minori dove si processa Pelosi convoca due amici del ragazzo, i Fratelli Borsellino, su indicazione di un poliziotto infiltrato in carcere al quale i due hanno confidato di aver partecipato all’assassinio di Pier Paolo Pasolini. Ma i Fratelli Borsellino non arriveranno mai in tribunale. Si limiteranno a dichiarare alla polizia penitenziaria di aver detto una smargiassata a quel poliziotto infiltrato perché lo credevano un boss della malavita e non volevano sembrare da meno.

Antonio Pinna comunque scompare, e l’unica cosa di lui che dopo qualche tempo riappare è la sua Alfa GT molto simile a quella di Pasolini, che la polizia trova abbandonata nel parcheggio dell’aeroporto di Fiumicino, come a suggerire che Pinna sia salito in fretta e furia su un aereo diretto chissà dove.

Nei primi Anni Duemila, a Donna Olimpia, Silvio Parrello sta chiacchierando con un vecchio amico. Parlano di automobili e di guida spericolata. “Come pilota, Antonio Pinna era imbattibile, chissà che fine ha fatto…”, dice Parrello. “Dopo aver ammazzato Pasolini, Antonio doveva per forza sparire…”, risponde l’amico. Parrello rimane di sasso. “Antonio ha ammazzato Pasolini? Ma che dici?!”. “Perché, non lo sai? Qui lo sanno in tanti che è stato Antonio a passargli sopra con la sua macchina, che era uguale a quella di Pasolini. Due giorni dopo, Antonio Pinna è andato a ripararla da un carrozziere ai Colli Portuensi ma quello, dopo aver visto cosa c’era sotto, si è rifiutato di fare il lavoro. Alla fine l’ha riparata un altro carrozziere…”, gli spiega l’amico.

Silvio Parrello incontra i due carrozzieri che gli confermano il racconto dell’amico. Quello che non volle riparare la macchina gli dice che sotto la scocca dell’Alfa GT di Pinna c’era di tutto, sangue, capelli, brandelli di pelle e che fu quasi ovvio per lui ricollegarla al Delitto Pasolini avvenuto solo due giorni prima. In quell’occasione, il carrozziere conferma a Parrello anche lo stile di vita di Pinna, che aveva fama di essere il miglior pilota della malavita, aveva partecipato a rapine e sequestri di persona, e girava sempre con tanti soldi in tasca.

Un pomeriggio, nel 2007, Silvio Parrello riceve nel suo studio di pittore la visita di un figlio di Antonio Pinna di cui non conosceva l’esistenza.

Ma lasciamo parlare Parrello, con le stesse parole pronunciate nel 2010 davanti al magistrato Francesco Minisci quando il Caso Pasolini venne riaperto su richiesta dell’avvocato Stefano Maccioni e della criminologa Simona Ruffini.

“Il venerdì santo di tre anni fa, è venuto presso il mio studio mentre stavo dipingendo il nipote di Antonio Pinna, tale Santoro (non ricordo il nome) che attualmente gestisce una concessionaria Citroen in via della Magliana, portando con sé una persona di circa 40 anni, dicendomi che si trattava del figlio che Antonio Pinna aveva avuto con una donna del Nord Italia con la quale aveva avuto una relazione prima del matrimonio. Questo giovane mi disse che era alla ricerca del padre -il Pinna appunto- che non vedeva da quando era bambino piccolo. Mi disse che dalle ricerche da lui fatte era emerso che Pinna risultava ufficialmente scomparso il 16 febbraio 1976. Tuttavia mi disse che tramite un suo amico che lavorava alla DIGOS aveva scoperto che Pinna Antonio era stato fermato dalle Forze dell’Ordine 4 anni dopo la morte di Pasolini, con la patente scaduta, alla guida di una macchina. Il ragazzo aggiunse che nell’atto che questo suo amico della DIGOS gli ha fatto avere (tratto dalla banca dati delle FF. PP.) ad un certo punto c’era scritto TOP SECRET, nel senso che di questa vicenda del fermo di Pinna non si doveva sapere più niente. Il figlio di Pinna mi disse che mi avrebbe mandato questo atto, cosa che poi non ha fatto evidentemente perché ha avuto paura per il fatto che il padre non faceva solo il meccanico ma era implicato in altre faccende”.

Quella che segue è invece la deposizione del figlio illegittimo di Antonio Pinna, resa negli stessi giorni sempre al magistrato Francesco Minisci. Il figlio di Pinna si chiama Massimo Boscato, vive in Veneto, fa l’operaio ma è anche un apprezzato disc jockey.

“Nel 2007, insieme a mio cugino Santoro Giovanni, figlio di zia Margherita (durante un mio viaggio a Roma con mia moglie e i miei figli), siamo andati a trovare Parrello Silvio, il quale era stato compagno di classe di mio padre. Anche Parrello mi ha confermato che mio padre è sparito nel 1976 e non si è saputo mai niente. Nel 1990 ho chiesto a un carabiniere mio conoscente se riusciva a farmi avere notizie di mio padre. Dopo un po’ di tempo mi disse che si trattava di una persona che aveva avuto qualche problema con la giustizia e che risultava alla banca dati un provvedimento di sospensione della patente del 1979. Io mi sono sempre chiesto come mai risultava questo provvedimento del 1979 se mio padre era scomparso nel 1976. Di quanto appreso da questo carabiniere ho parlato anche con Parrello”.

Queste due deposizioni sono parallele ma tutt’altro che identiche. Parrello e Boscato sembrano dire più o meno le stesse cose eppure non è così.

Parrello parla di un dossier di polizia riguardante Pinna che risulta TOP SECRET. Del resto, è stato proprio Boscato a raccontargli il risultato della ricerca fatta dal suo amico carabiniere. Boscato invece, nella sua deposizione, si limita a stupirsi del fatto che suo padre sia stato fermato dalla polizia anni dopo la sua scomparsa, ma non fa parola di quel dossier TOP SECRET.

Può darsi che Boscato abbia avuto paura a nominare quel dossier TOP SECRET. Ma anche se Boscato fosse stato diciamo così “reticente”, non si capisce come mai il magistrato Minisci, che aveva dinanzi agli occhi la deposizione di Parrello, si sia dimenticato di chiedergli una conferma o una smentita sul famoso dossier TOP SECRET.

Ma c’è di più. In un rapporto di polizia su Antonio Pinna richiesto dal magistrato, Pinna figura nato a Roma il 29 gennaio 1942 e deceduto il 16 febbraio 1976 in località ignota. Pur essendo “deceduto”, Pinna risulta destinatario di un provvedimento di sospensione della patente di guida emesso dalla Prefettura di Roma in data 18 febbraio 1978, cioè due anni dopo (e non tre) la sua sparizione e il suo presunto decesso.

Infine, il fatto più paradossale di tutti è che il processo per guida senza patente a carico di Antonio Pinna si è protratto fino all’8 agosto 1984, quando è stata pronunciata la definitiva condanna dalla Corte di Cassazione. Ben otto anni dopo la sparizione di Antonio Pinna. Ma come ha fatto questo processo ad arrivare in Cassazione? Chi ha fatto opposizione alle sentenze di primo e di secondo grado? Chi mai poteva essere l’avvocato che difendeva ancora Antonio Pinna e lavorava ancora per lui (a titolo gratuito, si presume) otto anni dopo la sua scomparsa e il suo presunto decesso?

Dulcis in fundo, un vecchio malavitoso romano che risponde al nome di Giuseppe Cola e che sembra sapere molte cose sul Delitto Pasolini il 3 novembre del 2011 ha rilasciato la seguente dichiarazione al giornalista di Repubblica Marino Disso: “Non è vero che Pinna è sparito. L’ho incontrato alcuni anni fa in città. Ma forse nessuno lo ha mai cercato davvero…”

Il Caso Pasolini continua a generare solo domande senza risposte. Si spera che la commissione parlamentare per riaprire le indagini sulla morte di uno dei più prestigiosi intellettuali italiani del secolo scorso venga costituita al più presto e faccia luce su una delle più grottesche mistificazioni della storia del nostro paese.

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