Memoria di sangue, di fuoco e di martirio: così Quasimodo ricordò i 1.830 morti di Marzabotto
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Memoria di sangue, di fuoco e di martirio: così Quasimodo ricordò i 1.830 morti di Marzabotto

Tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, la furia nazifascista uccise oltre mille civili dei comuni intorno al Monte Sole. La poesia di Salvatore Quasimodo.

Memoria di sangue, di fuoco e di martirio: così Quasimodo ricordò i 1.830 morti di Marzabotto
Strage di Marzabotto
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29 Settembre 2023 - 09.22


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29 settembre 1944. La guerra giungeva al termine e i nazifascisti battevano in ritirata lungo la linea gotica, inseguiti dagli Alleati e braccati dai partigiani. Come le bestie quando sono messe al muro, è lì che i nazisti e i repubblichini di Salò diventarono più pericolosi: la loro violenza divenne folle, il loro odio cieco. E pur di portare con loro nell’oltretomba quanti più partigiani possibili, non mostrarono pietà davanti a nessuno. 

Siamo a Marzabotto, alle pendici del Monte Sole, in provincia di Bologna.

La divisione SS del feledmaresciallo Albert Kesserling, nella mattina del 29, supportati dai fascisti repubblichini, circondarono l’area dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno e cominciarono ad avanzare, usando anche mezzi pesanti. 

Distrussero ogni cosa: abitazioni, cascine, fienili, scuole piene di bambini. La popolazione, nel panico, si rifugiava nelle chiese, ma nemmeno i luoghi sacri fermarono la strage: i nazisti entrarono, rastrellarono gli uomini, le donne e i bambini raccolti in preghiera, portarono i sopravvissuti nei cimiteri e li fucilarono. Le testimonianze di chi scampò a quell’eccidio descrivono uno scenario da inferno dantesco: bambini strappati dalle braccia delle madri e gettati vivi nel fuoco delle loro abitazioni, anziani decapitati, donne violentate e uccise. 

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I nazisti non risparmiarono niente e nessuno: a Caprara morirono 107 persone, 24 dei quali bambini. I casolari nelle campagne furono distrutti e ci furono 282 vittime. 49 morti nell’area di Cerpiano, 103 lungo la strada per Creva, dove altre 81 persone morirono quando i tedeschi entrarono in paese. 

Furono 1830 i morti totali, anche se è una stima assolutamente al ribasso.

A perpetuo ricordo di uno dei più gravi crimini contro l’umanità commesso sulla pelle degli italiani, il poeta Salvatore Quasimodo scrisse un’epigrafe, ad oggi conservata sulle vette del Monte Sole:

Questa è memoria di sangue

di fuoco, di martirio,

del più vile sterminio di popolo

voluto dai nazisti di von Kesselring

e  dai loro soldati di ventura

dell’ultima servitù di Salò

per ritorcere azioni di guerra partigiana.

 

I milleottocentotrenta dell’altipiano

fucilati ed arsi

da oscura cronaca contadina e operaia

entrano nella storia del mondo

col nome di Marzabotto.

Terribile e giusta la loro gloria:

indica ai potenti le leggi del diritto,

il civile consenso

per governare anche il cuore dell’uomo,

non chiede compianto o ira,

onore invece di libere armi

davanti alle montagne e alle selve

dove il Lupo e la sua Brigata

piegarono più volte

i nemici della libertà.

 

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La loro morte copre uno spazio immenso,

in esso uomini di ogni terra

non dimenticano Marzabotto,

il suo feroce evo

di barbarie contemporanea.

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