Addio alla Signora della televisione italiana: fenomenologia di Raffaella Carrà

Non ci resta che salutare una persona che ci ha accompagnati dall’infanzia, e che è rimasta e rimarrà una ridente presenza affettuosa, convinti che la sua contagiosa risata

Raffaella Carrà
Raffaella Carrà
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

6 Luglio 2021 - 11.51


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Sabato sera, lo stanzone fumoso d’un ristorante in un paesino di provincia, nel Basso Lazio. Un bambino di sei anni si aggira intimorito tra i tavoli stracolmi di gente, tra strepiti conviviali, tintinnii di posate e bicchieri. In un angolo della sala, un televisore acceso come un ciclopico occhio grigio. Le immagini in bianco e nero rimandano una ragazza che balla con armonica disinibizione, i capelli a caschetto, le gambe tornite e l’ombelico bene in vista. Il bambino l’osserva affascinato, quasi invergognito, sentendo oscuramente la suggestione del proibito. All’improvviso da un tavolo risuonano dei rauchi sghignazzi. Quattro omaccioni lo stanno guardando, i volti ilari e gli occhi lascivi. Uno di loro, con avambracci come tronchi, gli fa l’occholino e gli urla con voce allusiva: “Ti piace la signorina, eh, sporcaccione!”. Il bambino avvampa e scappa via.

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È il mio primo ricordo di Raffaella Carrà. Doveva essere il 1970 o giù di lì, e la trasmissione Canzonissima. Da allora, in un modo o nell’altro, quella bella ragazza ha ravvivato le serate degli italiani, entrando nelle case con la sua naturalezza, la sua simpatia, la gioia pimpante che emanava. Così accadeva un tempo, quando questa nazione era un po’ un paesone, e i personaggi dello sport e dello spettacolo, i giornalisti della Rai, erano presenze familiari, ospiti fissi sempre ben accolti nei nostri salotti e nelle nostre cucine.

Adesso giunge la notizia che quella ragazza – perché nel nostro immaginario tale è rimasta sino alla fine – è scomparsa. E proprio come per Gigi Proietti e per tanti altri di quella generazione, è come se un altro pezzo di un’Italia ormai introvabile sia volato via.

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È triste ricostruire la storia di Raffaella Carrà, al secolo Raffaella Maria Roberta Pelloni, così a caldo, faticando a convincerci che non c’è più. Rimarrà sempre nei nostri ricordi col suo sorriso solare, la risata trascinante, la voce carnosa e suadente, il corpo armonioso sempre agile e scattante, la naturalezza con cui entrava nelle nostre vite.

Cosa non è stata Raffaella? Cantante, ballerina, attrice, conduttrice televisiva e radiofonica, autrice. In una parola che le comprende tutte, se non apparisse diminutiva, un’inimitabile showgirl. Un’icona della musica e della televisione, come stanno scrivendo e scriveranno, e non solo in Italia. In Spagna ha riscosso altrettanto successo, e l’anno scorso un quotidiano serio come The Guardian l’ha incoronata sex symbol europeo, con questa definizione: “Pop star che ha insegnato all’Europa le gioie del sesso”. Mezzo secolo fa quel bambino di sei anni l’aveva percepito, inconsciamente. Roberto Benigni lo aveva pubblicamente attestato in una celebre puntata di Fantastico 12 (1991), quando tentò di sollevarle la gonna, recitando un rosario di sinonimi dell’organo riproduttivo femminile. Ma, ovviamente, Raffaella era ben più di un simbolo dell’erotismo, magari represso, cui l’immarcescibile immaginario maschilista credeva di ridurla. Era anche un’icona gay, a conferma della sua meravigliosa trasversalità. Ma soprattutto era un’artista a tutto tondo, dal multiforme talento e dalle capacità istrioniche innate. Ad aprire la pagina di Wikipedia si rimane basiti davanti alla carriera di quest’artista, straordinaria per lunghezza e completezza.

Del resto, lo spettacolo l’aveva nel sangue. A soli otto anni partecipa ad un film di Mario Bonnard (e siamo già nella storia del cinema italiano). Approda giovanissima a Roma, per studiare all’Accademia Nazionale di Danza, quindi al Centro sperimentale di cinematografia, e sul finire degli anni ’50 prende parte a piccoli ruoli. Nel 1960 la troviamo in un grande film, “La lunga notte del ’43” di Florestano Vancini. Poi arriva il teatro, altra tappa estremamente formativa, scritturata dalla compagnia CarliPilotto. Quindi la radio, nel 1962, dove condusse la rubrica “Raffaella col microfono a tracolla”, e l’anno seguente sbarca in Tv come valletta di Lelio Luttazzi nel programma “Il Paroliere questo sconosciuto”, mentre continua l’esperienza cinematografica recitando in un’altra pellicola importante, “I compagni” del Maestro Monicelli, dove appare davvero incantevole. Nel 1964 arricchisce il suo repertorio recitando nell’originale televisivo (un genere allora in voga) “La figlia dell’oca bianca”, bissando l’anno successivo nello sceneggiato “Scaramouche” al fianco di Mimmo Modugno, il secondo di una lunga serie che la vedrà impegnata per tutti gli anni Sessanta. In questi anni assume il nome con cui verrà ricordata: diventa Raffaella Carrà, su suggerimento di un regista appassionato di pittura, Dante Guardamagna: il nome del divino Raffaello Sanzio, il cognome del pittore Carrà. 

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In quello stesso 1965 sbarca a Hollywood, recitando ne “Il colonnello Von Ryan” accanto a Frank Sinatra, che dicono di invaghì di lei. Ma lei in quel momento nel cuore aveva il calciatore della Juventus Gino Stacchini, una relazione durata otto anni che riempì le cronache rosa dell’epoca.

Il vero successo, però, arrivò negli anni Settanta, grazie alla televisione, con lo spettacolo “Io, Agata e tu” (con Nino Taranto e Nino Ferrer), dove appare nelle vesti di showgirl, ruolo che le permetteva di esprimere compiutamente il talento, la verve e la personalità che conosciamo, e a cui imprimerà un stile nuovo, consono ai tempi. O meglio, avanti ai tempi, visto che nella “Canzonissima” che la vide affiancare Corrado e che la consacrò nuova stella dello spettacolo italiano diede scandalo per l’ombelico scoperto mostrato nella sigla d’apertura “Ma che musica maestro!”, che scalò le classifiche e vendette qualcosa come 200.000 copie.

Da allora sarà una successione ininterrotta di trionfi, anche canori: Raffaella è un’ottima interprete, con la sua voce carnosa che sa essere suadente ed esplosiva, e ogni album che incide scala le classifiche.. E le coreografie, indimenticate, come il celebre Tuca tuca, che solo l’esibizione con l’Abertone nazionale riuscì a strappare dalle grinfie della censura bacchettona dell’epoca. E ancora e sempre la Tv: “Milleluci”, che la vide contrapposta a Mina, la terza “Canzonissima”, l’approdo in Spagna, il ritorno in Italia con “Ma che sera”, con un cast stellare (Paolo PanelliBice ValoriAlighiero Noschese e Giorgio Bracardi). Ne interpreta la sigla iniziale, “Tanti auguri”, inno all’amore libero e spensierato, il cui ritornello che si fissa nell’immaginario collettivo: “Come è bello far l’amore da Trieste in giù, l’importante è farlo sempre con chi vuoi tu”: Raffaella sembra davvero incarnare la spontaneità tutta italiana: sarà questo uno dei segreti del suo imperituro successo?

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Nel 1982 ricostituisce l’imbattibile coppia con Corrado nella terza edizione di “Fantastico”, e in quegli anni non disdegna di tornare sul set. Il biennio 1983-85 la vede cogliere l’ennesimo successo nazionalpopolare con “Pronto, Raffaella?” dove alle qualità di soubrette, dimostra quelle di inarrivabile intrattenitrice e padrona di casa: gli italiani ne apprezzano le spiccate doti di empatia ugualmente rivolte agli ospiti illustri e ai telespettatori che telefonavano per partecipare ai giochi del programma. La trasmissione segna l’inizio di una feconda collaborazione con Gianni Boncompagni. Di quegli anni si ricorda anche la polemica per il rinnovo consistente contratto con la Rai, finché nel 1987 passò all’odiata concorrenza: la Fininvest le assicurò un contratto miliardario della durata di due anni e un programma tutto per lei: il “Raffaella Carrà Show”. Fu forse il momento più basso della sua popolarità, ma gli anni Novanta e il nuovo secolo la videro di nuovo all’apice con una serie di programmi Rai, una nuova fruttuosa esperienza spagnola e recitazioni in varie fiction. E poi, la storia recente: nella primavera di due anni fa la ritroviamo in Rai con il programma “A raccontare comincia tu” dove con il consueto garbo e trasporto intervista noti personaggi dello spettacolo, della cultura e dello sport, bissato per il successo ottenuto, con quattro nuove puntate andate in onda nell’autunno di quel 2019. Ma queste poche note non rendono una vita fittissima come quella della Carrà: per chi volesse approfondire una carriera straordinaria, si segnala il libro “Mito in tre minuti” di Antimo Verde, biografia artistica basata su un puntuale lavoro di ricerca.

Adesso non ci resta che salutare una persona che ci ha accompagnati dall’infanzia, e che, se pur avevamo perso di vista, è rimasta e rimarrà una ridente presenza affettuosa, convinti che la sua contagiosa risata, la sua naturalezza e la sua simpatia istintiva risuoneranno altrove: ciao, Raffaella.

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