Come un pesce rosso: storia di un medico diventato paziente Covid nel suo stesso reparto

Michelangelo Bartolo, medico ospedaliero impegnato nella telemedicina ci fa riflettere raccontando, in forma romanzata, leggera e divertente uno spaccato della sanità italiana.

Michelangelo Bartolo
Michelangelo Bartolo
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20 Marzo 2021 - 16.29


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di Antonio Salvati

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Ancora una volta Michelangelo Bartolo, medico ospedaliero impegnato da anni in servizi di telemedicina, con un libro agile e snello riesce a farci riflettere – raccontando, come in altri suoi libri, in forma romanzata, leggera e divertente – su uno spaccato della sanità italiana, mettendone in luce alcune contraddizioni che la pandemia ha messo tragicamente in primo piano.

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Bartolo nel suo pregiatissimo volume, Come un pesce rosso (Infinito edizioni 2021 pp. 96, € 12), racconta la sua esperienza di medico che diviene paziente. improvvisamente e rapidamente viene trasferito in un reparto Covid, pur non possedendo nessuna esperienza a riguardo. Anzi è praticamente nulla – ci racconta l’autore – e l’inadeguatezza, che sconfina talvolta in episodi imbarazzanti, viene raccontata in presa diretta: tutte le difficoltà ad indossare i presidi di protezione, l’incertezza davanti alcuni casi clinici e, in particolar modo, la stanchezza per turni di 12 ore.

Molto velocemente la situazione si capovolge: il Covid – virus estremamente democratico che colpisce tutti, indistintamente – colpisce l’autore che si ritrova in breve malato, a casa.  Il racconto – sempre in presa diretta – diviene l’occasione per spiegare come deve essere organizzata la propria abitazione, cosa fare e cosa non fare, come lavare i panni, come organizzare la stanza e molte altre piccole indicazioni per salvaguardare i propri conviventi. Il caso clinico del protagonista non migliora e nel giro di pochi giorni passa dall’altra parte della barricata: letto 25 proprio nello stesso reparto dove fino a pochi giorni prima prestava la propria opera. Un medico che diviene paziente non è una novità, ma per il protagonista diviene un’esperienza unica e per certi versi dirimente. Evidentemente il protagonista conosce i meccanismi sanitari e organizzativi del reparto. Conosce, inoltre, la patologia di cui è affetto, sapendo che le armi a diposizione contro il virus sono talvolta inadeguate, insufficienti: «Noi medici sappiamo bene che, se il virus vuole, se decide di continuare la sua devastazione, diviene immediatamente più forte di tutti i nostri farmaci e respiratori, e ci travolge. È come se giocassimo una partita di pallone con giocatori soltanto in difesa contro una squadra che ha bravissimi attaccanti».

La parabola della partita di calcio è decisamente efficace: «Se ci va bene, non perdiamo, e se non ne usciamo sconfitti non è tanto per la bravura dei nostri difensori, ma perché, per motivi sconosciuti, gli attaccanti si sono stancati e siamo riusciti ad arrivare al novantesimo minuto senza soccombere. Ma la nostra difesa è quella che è, e, oggi come oggi, nei reparti Covid non ci rimane che affidarci al nostro miglior difensore: mister ossigeno. (…) Giochi questa partita nella speranza di arrivare al novantesimo minuto senza subire molti danni. Sì, perché al novantesimo fortunatamente la partita finisce. E per ragioni a noi ancora ignote, il novantesimo minuto scocca generalmente intorno alla dodicesima giornata di malattia, raramente oltre la quindicesima. In genere, dopo aver fatto i suoi danni il virus si stanca di attaccare ed è solo allora che inizia un lento e graduale miglioramento».

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Il medico-paziente sa che se la situazione continua a peggiorare, il prossimo passo sarà «la CPAP con il suo casco tipo astronauta della serie televisiva Spazio 1999 o, peggio ancora, la maschera NIV, simile a una maschera da sub che però avvolge tutto il viso, occhi compresi. Se poi neanche questi trattamenti saranno sufficienti, c’è ancora un ultimo step: l’intubazione, da cui non sempre si fa ritorno». Gli torna in mente il racconto di una sua amica, ricoverata nell’ospedale Spallanzani, che ha dovuto portare il casco e poi la maschera NIV per quasi dieci giorni. Dentro il casco le sembrava di essere un pesciolino rosso in una minuscola vasca. «Hai presente Nemo, il pesciolino del cartone animato della Walt Disney che era stato catturato e rinchiuso in un piccolissimo acquario tondo tondo? Tutto il film era teso a liberare Nemo e farlo tornare nel suo mare, ai suoi giochi di sempre. Voleva scappare da quell’acquario posto su un mobiletto dello studio medico di un dentista e tornare alla vita. Io dentro quel casco mi sentivo proprio come quel pesciolino rosso. Potevo fare solo minimi movimenti del collo; non potevo girare la testa più di tanto e poi, cosa che può sembrare stupidissima ma era insopportabile, non mi potevo grattare il viso, stropicciare gli occhi, asciugare le lacrime. I contatti con il mondo si erano bruscamente interrotti». Con questi ventilatori, oltre a respirare male, vieni improvvisamente privato di tre sensi fondamentali: vedi pochissimo, non senti più nulla, anche se parli nessuno ti può ascoltare.

L’emergenza pandemica ci ha posto fi fronte ad una importantissima conseguenza, quella di ricordarci la nostra finitudine. Gli esseri umani si sentono sventatamente simili a un dio (per fortuna con la minuscola); si credono forti, mentre la realtà continuamente ci ricorda che siamo macchine difettose. E allora tutto quello che mette in discussione la nostra sopravvivenza, territorio del nostro corpo e delle connesse rivendicazioni, finisce per diventate inaccettabile. Una straordinaria ingenuità perché è come dimenticare che gli esseri umani sono nati, vissuti e scomparsi per la buona ragione che, essi “sono condannati a morte”.

Meritoriamente l’ultima parte del libro si sofferma sull’inadeguatezza dei servizi territoriali, sulla pratica di una sanità troppo ospedale centrica e, soprattutto, sul dramma che si è consumato nelle RSA, Vengono formulati alcuni suggerimenti su come debbano cambiare alcuni meccanismi assistenziali che ormai sono assolutamente superati. Soffermarsi su alcune fake news o dicerie comuni che divengono certezze, sono anche l’occasione per smontare, pezzo per pezzo, il pensiero dei negazionisti e per dare una motivazione in più agli scettici del vaccino per vaccinarsi. Assai suggestivo il paragone adottato da Bartolo sull’inoculazione del mRNA (filamento di nucleotidi). ci Dopo aver ricordato che l’mRNA1 è fisiologicamente presente nel citoplasma di ogni nostra cellula e non può assolutamente andare a modificare il DNA (come sostenuto da qualche imbecille negazionista), che si trova ben protetto all’interno del nucleo, Bartolo afferma che l’mRNA «è come un file temporaneo del nostro computer che contiene le informazioni per svolgere una certa funzione e poi scomparire nel nulla: taglia/incolla – Ctrl X/Ctrl V – è il classico esempio, il più popolare. Quando cancelliamo qualcosa, questo rimane in memoria fino a quando non facciamo un nuovo taglia/incolla, e comunque scompare quando spegniamo il pc. Nessuna operazione di taglia/incolla ha mai infettato il nostro computer, alterato programmi, scritto nuovi file nell’hard disk, che, nel caso del corpo umano, sarebbe il nostro DNA. Analogamente, l’mRNA, dopo aver compiuto il suo lavoro (sarebbe il click su incolla) si autodistrugge, non esiste più. Ovviamente i meccanismi di funzionamento di un computer e del nostro sistema immunitario sono molto più complessi, ma l’analogia ci può forse far capire meglio come il timore di alcuni sia assolutamente infondato».

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Giustamente Bartolo sostiene che il post covid non dev’essere semplicemente tornare come prima, mettendosi alle spalle quella che abbiamo vissuto nelle settimane scorse. Non si può, non si deve. Quello che ci è accaduto ci ha aperto gli occhi sulle tragedie a cui ci esponiamo, avvalendoci del creato, come sinora abbiamo fatto, non per preservarlo e migliorarlo, ma per sfruttarlo in maniera illimitata per soddisfare i nostri fini egoistici. Ha inoltre messo a nudo, a volte esaltandolo grazie alla solidarietà, a volte ferendolo a causa delle diseguaglianze, il valore incommensurabile della persona. E ci ha fatto capire quanto il bene comune dipenda certo dai governanti, ma non dipenda meno da ciascuno di noi.

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