I due Papi: il racconto di due chiese umane e, forse, non così distanti

Su Netflix il film 'I due Papi' offre un immaginario confronto tra il dimissionario Ratzinger e l'allora arcivescovo Bergoglio: la chiesa conservatrice e quella progressista in un confronto umano

Jonathan Pryce (Bergoglio) e Anthony Hopkins (Ratzinger) nel film I Due Papi
Jonathan Pryce (Bergoglio) e Anthony Hopkins (Ratzinger) nel film I Due Papi
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

5 Gennaio 2020 - 09.50


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Netflix offre al suo pubblico un film intitolato “The two popes”, cioè “I due papi”, divertente, abbastanza profondo, direi di qualità davanti a un tema così complesso. L’idea è geniale. L’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Jorge Mario Bergoglio, ha deciso di dimettersi e scrive a Benedetto XVI per essere sollevato dall’incarico. Da Roma nessuna risposta. Così lui decide di comprare il biglietto e andare dal Papa, ma prima di partire riceve lui l’invito di Benedetto XVI, che vuole parlargli. Gli annuncerà che a dimettersi non sarà l’arcivescovo ma il papa… L’idea, ovviamente di fantasia, è un gioco affascinante anche perché mette a confronto il candidato del fronte progressista che avrebbe raccolto più voti nel conclave che elesse il cardinal Ratzinger e il papa, Benedetto XVI.
La rappresentazione dei due è avvincente anche per quel che sappiamo di loro. Il popolare Bergoglio riesce addirittura a fare amicizie e conoscere angoli dei giardini di Castel Gandolfo, dove attende di essere ricevuto dal papa, che Benedetto non ha mai visto. E prima di andarsene ottiene anche delle erbe aromatiche, simbolo della sua capacità di stabilire relazioni umane che il suo interlocutore non ha. Di questo confronto di personalità colpisce la plausibilità sebbene va detto che l’impressione è che la personalità, il carattere di Ratzinger siano stati semplificati per rendere più facile il confronto: il popolare Bergoglio guarda le partite in tv nel film come nella realtà, ma il Ratzinger che nel film viene presentato come un burbero, ovvio per un conservatore, sembra lontano da quello reale. Il vero Ratzinger appare a chi non lo conosce un timido, non un burbero, la relazione interpersonale così difficoltosa per lui non lo sarebbe per “ideologia conservatrice” ma per un carattere che lo ha chiuso, forse allontanato da quel progressismo che lo caratterizzava da giovane.
Questo piccola critica è importante per entrare nei personaggi della finzione e della realtà, che incarnano due visioni di Chiese diverse ma non così contrapposte come forse le loro personalità, le loro caratteristiche: l’introversione e l’estroversione.
La costruzione filmica risulterà comunque avvincente anche per il non addetto ai lavori e tolto qualche bigotto difficilmente irriterà il credente, perché l’umanità dei due rispetta la complessità della storia. In ballo c’è molto, la Chiesa, gli scandali, il contesto in cui Benedetto arrivò alle dimissioni. E come Benedetto di fatto scopre che Bergoglio voleva dimettersi e gli dice di no, perché quello che deve dimettersi è lui, è lui quello che ci sta pensando, così Bergoglio quando sente Benedetto svelargli davvero che pensa a dimettersi quasi lo scuote, per dirgli che non può. I destini si intrecciano in un’idea di Chiesa che li riguarda entrambi ma che proprio il racconto di Bergoglio dimostra quanto dipenda dalla vita, dall’avventura degli uomini. Accade infatti che Benedetto, nel grande scenario della Cappella Sistina ancora chiusa al pubblico, chiede a Bergoglio se non sia proprio lui la persona giusta per quel compito. E Bergoglio dice di no: per quegli anni bui che lo hanno tormentato e che nel film ricollega a un fatto di cui parleremo solo come parla il film. Nel film infatti Bergoglio spiega i motivi per cui, dopo essere superiore dei gesuiti argentini, venne mandato come confessore lontano da Buenos Aires. Il film relaziona quel periodo, il periodo buio di Bergoglio, alla precedente vicenda di due gesuiti: durante gli anni della dittatura Bergoglio avrebbe appreso che rischiavano grosso e cercò di allontanarli dal servizio che irritava la giunta militare. “E loro?” gli chiede nel film uno dei due: il superiore pensava a salvare i suoi? Ma il popolo? Chi avrebbe salvato quella povera gente? Cosa sarebbe stato di loro?
Il racconto di questa pagina viene dunque unito al racconto degli anni bui. La cosa importante che noi oggi sappiamo è che quegli anni difficili Bergoglio li affrontò anche con l’ausilio di una psicoanalista.
L’impressione, nel doloroso racconto che nel film Bergoglio fa del suo passato, è che fare i conti con le proprie difficoltà, quali che fossero in realtà le ombre di quel periodo, è importantissimo per riuscire a trovarsi, capirsi, e continuare. Lui forse direbbe, come ha detto una volta, che l’importante non è non cadere mai, ma rialzarsi… Non è intenzione del film fare un confronto sulle evoluzioni delle personalità dei due papi prima che divenissero tali, ma questo aspetto emerge con forza. Colpisce anche molto altro delle scene finali del film, quando i due, l’ancora papa e il futuro papa, si ritrovano non più soli nella Cappella Sistina ma tra i turisti. Bellissime immagini e dolcissimo pathos umano, da vedere, non da raccontare.
Così quando si esce si ha l’impressione di aver capito che ci sono schemi più complessi di quelli che noi immaginiamo, “conservatori” e “progressisti”. Ci sono, certo, ma c’è anche altro. E questo altro che emerge nel film emerge bene, portandoci a capire un po’ dell’uno e dell’altro guardando un film che comunque coglie bene un tratto fondamentale del papa argentino: la sua umanità, cioè il suo bisogno degli altri, senza trascurare la portata della scelta dell’altro papa.

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