Nessuno usi invano la parola 'goliardia' per dare alibi al razzismo fascista
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Nessuno usi invano la parola 'goliardia' per dare alibi al razzismo fascista

A furia di venir strattonata di qua e di là, tirata per i capelli da questo e da quello, una parola può smarrirsi: si ritrova svilita, se non mutata d’identità. La goliardia è un'altra cosa

Nessuno usi invano la parola 'goliardia' per dare alibi al razzismo fascista
Goliardia
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

30 Dicembre 2022 - 19.06


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Il destino delle parole è un po’ come il destino degli umani: soggetto ai capricci della storia. A furia di venir strattonata di qua e di là, tirata per i capelli da questo e da quello, tra salti e capitomboli, una parola può smarrirsi: senza sapere come, si ritrova svilita, se non mutata d’identità, cioè a dire con un altro senso, e guardandosi allo specchio, la poverina stenta a riconoscersi.


È una legge della lingua, certo: nel tempo tutto si modifica, e gli slittamenti di significato d’un termine, le perdite e gli acquisti di nuovo conio, sono processi noti. Ma quando il mutamento s’impone per opera d’ignoranza, quando lo storpiamento di senso è al servizio della menzogna, dell’ipocrisia, del bieco calcolo politico, quando altera i fatti e usa violenza alla verità, la cosa è ben più grave, e riguarda tutti.


Prendiamo il sostantivo “goliardia”, con i suoi derivati aggettivali. Un branco di feroci adolescenti aggredisce e stupra una coetanea? “Una goliardata”, sentenzia il sindaco del paese meridionale. Lo stadio risuona di buuu razzistici all’indirizzo del calciatore di colore? “Semplice goliardia”, minimizza il primo cittadino della città settentrionale, col beneplacito di certa stampa. Il locale di un centro culturale viene dato alle fiamme per la seconda volta, dopo essere faticosamente risorto dalle ceneri? “Un atto goliardico”, commenta il politicante della capitale, anch’egli accordato con quella certa stampa. Le ingiurie sessiste che rimbalzano di continuo sul web, alla tivvù o sui giornali? Goliardate, a sentire i più.

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Ma cosa diamine sarà mai questa goliardia, in nome della quale si condonano moralmente delle patenti ingiurie, degli atti violenti contro cose e persone, delle violazioni del codice penale?
Nel vocabolario Treccani l’aggettivo “goliardico” è così reso: “1. Dei goliardi medievali: canti g., le poesie latine scritte e cantate, fra il sec. X e il XIII, dai goliardi, i cui motivi principali erano l’esaltazione dell’amore, della giovinezza, del vino, della primavera, la critica sociale rivolta spec. contro il mondo ecclesiastico, spinta fino alla parodia degli stessi riti liturgici. 2. Che si riferisce ai goliardi moderni, agli studenti universitari’ la gioventù g.; inno g., festa g., ballo g.; 3. Che è proprio, caratteristico dei goliardi (o più esattamente dell’immagine tradizionale della goliardia, spec. con riferimento al passato), quindi giovanile, generoso, spensierato; com. nel senso spreg. di irriverente, irresponsabile, privo di ponderatezza o di serietà: atteggiamenti g.; hanno inscenato una chiassata g..; affrontare una situazione con spirito troppo goliardico”.


Dunque, sembra che a conservarsi nella vulgata comune sia il significato che evidenzia le caratteristiche dell’irriverenza, della levità irresponsabile, della chiassata, con grave perdita semantica.
Per comprendere questo svilimento di senso, un filino di sana filologia non guasta. La goliardia è stato un civilissimo fenomeno culturale che vide la luce tra il X e l’XI secolo in Francia, da lì diffusosi in Germania e in alcune regioni italiane (nella zona Padana, in Toscana, nel Veneto), protrattosi sin nell’era moderna, dove si è lentamente spento, a cagione di diversi motivi: soprattutto, l’ostracismo politico e l’isterilimento dell’humus da cui traeva nutrimento, cioè l’amore per la cultura, per lo studio, per la libertà di pensiero. Questo è il punto su cui soffermarsi.

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Il linguaggio sboccato, le licenziosità, il dileggio satirico dei goliardi delle confraternite universitarie avevano un obiettivo preciso: le gerarchie del potere, le strutture sociali. I moti di ribellione, lo schietto anticonformismo non erano meri empiti giovanili, fini a se stessi, come oggi erroneante si crede: i canti, gli stornelli, le rappresentazioni teatrali che ne seguirono erano animati anche da intenti morali, trattavano problemi sociali ben vivi e irrisolti. Il parodismo, la crudezza dei dettagli e delle espressioni erano volti alla rappresentazione della società e dei suoi limiti, proprio perché libere dalle sue strutture obbligate e dalle sue inibizioni. In breve, i goliardi si proponevano di distruggere le ombre della superstizione in nome di una libera ricerca conoscitiva.


Non a caso, diedero anche luogo a forme d’arte, come il teatro goliardico dell‘Umanesimo, da cui nacquero i primi testi comici del teatro moderno: gli scherzi e la salacità si tramutarono in rappresentazione vera e propria, in cui erano riflessi quegli stessi atteggiamenti esistenziali.


La nascita e l’affermazione delle confraternite goliardiche, e dei cosiddetti clerici vagantes (gli studenti girovaghi che si spostavano per il continente per seguire le lezioni ritenute più opportune), è sintomatica del grande risveglio culturale avvenuto in Europa dopo i secoli bui dell’Alto medioevo. Per molti versi rappresentavano la punta più avanzata e battagliera dell’intellighenzia dell’epoca, e le università da cui promanavano erano il centro d’irradiazione del libero pensiero. I goliardi avevano dunque una precisa funzione sociale, tant’è che venivano ampiamente tollerati.

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Oggi tutto ciò è andato perduto. In epoca moderna, i vari poteri si sono mostrati molto meno tolleranti verso quella forma di denuncia sociale. Non è un caso che il regime fascista si sia subito impegnato per estirparne le radici, soprattutto nelle due università dove maggiormente si era conservata la tradizione goliardica: Pisa e Padova.


Ma c’è anche un’altra ragione della fine di quel fenomeno: è andato perduto l’amore per la cultura, che ne era il vero motore. La goliardia delle origini era una scuola di pensiero, quindi cultura in sé, che giocava con se stessa e giocando denunciava e metteva alla berlina gli aspetti più retrivi del potere.


Oggi, il sarcasmo e il dileggio non sono più corrosione liberatrice, non strappano la maschera al conformismo ipocrita, non si distaccano dall’ideologia dominante: sono sviliti a strumento assolutorio di immoralità e gesta criminose. Almeno, la si smetta di invocare la goliardia per giustificare l’ingiustificabile, e si abbia il coraggio di nominare ciò che si nasconde dietro la violenza morale e fisica: l’intolleranza, la discriminazione, il razzismo – in una parola, il fascismo.

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