Le perfidie del Cavalier Serpente: ossa et cineres
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Le perfidie del Cavalier Serpente: ossa et cineres

La velenosa attenzione del Cavalier Serpente si concentra su ossa, scheletri, chiese e cose dell'altro mondo.

San Pietro in Vincoli
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Stefano Torossi Modifica articolo

12 Settembre 2016 - 09.13


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Nell’atmosfera di disimpegno e di leggerezza con la quale vogliamo colorare la fine delle vostre vacanze e il ritorno alle serene a rassicuranti abitudini della normale vita di tutti i giorni, abbiamo pensato di fornirvi (non si sa mai) la seguente utile guida alla rappresentazione cattolica della morte.

Si tratta di andare in giro per le chiese di Roma, che sono, lo sappiamo, quasi tutte barocche e riempite di tombe, come si usava prima che arrivasse il codice napoleonico con la sua messa al bando di questa pratica.

Vale la pena di soffermarci un po’ a cercare di capire il ruolo che l’arte funeraria cattolica e barocca (non perdiamo di vista questo accostamento) dà allo scheletro nella messa in scena della sepoltura.

È ovviamente il personaggio principale della commedia della vita e della morte. Un attore che, per come viene presentato sulla ribalta, perde talvolta la sua tradizionale caratterizzazione macabra e ne assume tante altre che fanno sorridere o impressionano; in ogni caso fanno riflettere.

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Non ci si era mai pensato prima del barocco, a questo tipo di rappresentazione, e non ci si è più pensato dopo. Ma durante quel tempo del superfluo, dell’eccesso, del teatrale è stato un tema costantemente protagonista.

Dunque, agli scheletri di servizio in chiesa viene affidato l’incarico di stupire, ma nello stesso tempo tranquillizzare, informare, educare i fedeli a non avere troppa paura della morte, ma neanche a prenderla troppo alla leggera; tutto attraverso l’immaginazione, davvero scalpitante, degli scultori dell’epoca.

A San Pietro in Vincoli siamo ricevuti da una coppia di impeccabili e aggraziati maestri di cerimonie che ci presentano il padrone di casa, chiaramente un ecclesiastico di alto livello, sostenendone il ritratto e mostrandocelo con garbatissima eleganza.

Paura non ne fanno di certo; anzi riescono a mettere a suo agio anche il fedele più timoroso con questa esibizione di tradizione, serietà e bon ton.

A San Giacomo alla Lungara invece, il protagonista, stavolta alato, sventola un lenzuolone sul quale appaiono in bella scrittura le credenziali del defunto: nome, cognome, titolo nobiliare, capacità, erudizione, pregi e soprattutto umile sottomissione al papa del momento e, s’intende, a Nostro Signore. Un atto ufficiale.

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A San Lorenzo in Damaso il nostro personaggio è molto impegnato, in uno slancio di tipo atletico che si intuisce nella posizione fortemente tensiva delle gambe, a trasportare in cielo senza farla cadere, l’anima del trapassato (sotto forma di un bel ritratto con tanto di pizzo e collettone).

utt’altro atteggiamento a Santa Maria in Monterone. Lui, ancorché alato, è del tutto rilassato, seduto sul feretro, e anche lui esibisce il medaglione del defunto, ma lo fa con molto meno energia; anzi il suo sembra proprio un pacato invito alla riflessione e alla calma.  

Aiuto!

Qui alla chiesa di Gesù e Maria dev’essere successo qualcosa di brutto perché lo scheletro del caro estinto appare travolto da un’angoscia senza limiti che lo fa contorcere, aggrappato a una clessidra, in un’agonia ben diversa da come dovrebbe succedere con il soccorso della fede e secondo le garanzie offerte da Santa Madre Chiesa.

C’è da stupirsi che un’opera così piena di paura e quindi blasfema sia stata accettata dal committente (ovviamente la famiglia del morto, se non lui stesso col dovuto anticipo) e ancora di più, dalla chiesa che la ospita.

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Un momento di libertà mentale? Magari!

E comunque, poi tutto finisce nella cristiana rassegnazione di questo realistico trapassato a Santa Maria del Popolo.

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