Giornata della Memoria o Alzheimer collettivo?

Per non dimenticare troppo in fretta. Bisognerebbe istituire una giornata della Memoria a breve termine. [Maddalena Papacchioli]

Giornata della Memoria o Alzheimer collettivo?
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27 Gennaio 2016 - 23.02


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di Maddalena Papacchioli

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Si celebra oggi, 27 gennaio, la giornata mondiale della Memoria, a 71 anni dalla Shoah. Valutavo l’importanza e la persistenza del ricordare. E pensavo che proprio oggi sarebbe opportuno proporre una riflessione a latere.
Senza entrare nel nozionismo neurologico, diciamo che esistono, scientificamente classificati, diversi tipi di memoria, nella nostra mente. I due principali sono: la memoria a lungo termine (quella che implica ricordi lontani su fatti avvenuti molto tempo fa) e quella a breve termine (che coinvolge avvenimenti appena svoltisi e piuttosto recenti o ancora attuali). C’è quindi un passato remoto, che va rinverdito con il ricordo per far sì che non si perda nell’oblio. E poi c’è un passato prossimo, che si approssima al presente e che, paradossalmente, ha più bisogno, rispetto al primo, di essere alimentato dalla nostra attenzione. Perché più facilmente può cadere nel vortice della dimenticanza. Succede, perciò, che di fronte a ciò che accade nell’imminente, non ci curiamo delle conseguenze, che ci sfuggono i nessi, che si eluda il senso profondo delle circostanze.

E’ come se fossimo colpiti da una sorta di Alzheimer collettivo.
La Shoah, che è stata la più grande tragedia umana del secolo scorso, ha prodotto, nei decenni successivi, una galleria di dispostivi del ricordo che appartengono dolorosamente a noi tutti. Parole, immagini e suoni che tristemente e inevitabilmente associamo all’Olocausto. Questa orribile galleria è abitata da fotografie che ritraggono i prigionieri dei campi di concentramento dietro i fili spinati, lo sferragliare delle rotaie dei treni che deportavano gli ebrei verso la morte, il fumo che usciva dai camini, i cadaveri scheletrici ammassati nelle fosse comuni.

Immagini che abbiamo relegato al bianco e nero consunto di un passato che è passato e che, per scongiuro, ci imponiamo di “non dimenticare”, affinché non si ripeta mai più. Ma davvero possiamo stare tranquilli?

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Purtroppo, molte, troppe analogie tra quello che è accaduto e quando sta accadendo si palesano, proprio attraverso immagini e parole che sono le stesse o molto simili. E tutto ciò contribuisce a far crescere un triste presagio.
Ci sono espressioni ricorrenti che dal dibattito pubblico mediatico rimbalzano sull’agenda politica internazionale e diventano prassi sociale e costume, abitudine culturale e identità collettiva.Si normalizzano, liberandosi del peccato originale che le ha prodotte.

Espressioni terribili e stridenti come “quote di immigrazione” e “confisca dei beni”.
E’ un dejà vu. E fa paura.

Nel 1938, alla Conferenza sui rifugiati ebrei tenutasi a Evian-les-Bains, in Francia, 32 paesi discutevano di rivedere le quote di immigrazione per gestire quell’emergenza. Trenta di questi paesi non furono disposti a compromessi.

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Oggi a Bruxelles si discute di quote obbligatorie per i migranti che devono essere accolti da tutti i paesi dell’Unione Europea. Sappiamo le posizioni avverse degli stati dell’Est, della Svezia, dell’Austria e il malcontento generale degli altri.

Nel 1938 fu approvato dal Parlamento tedesco il decreto sulla confisca delle proprietà degli ebrei, che regolava il trasferimento dei bene degli ebrei a cittadini tedeschi non ebrei.

Oggi, 27 gennaio 2016, il parlamento della Danimarca ha approvato un progetto di legge che prevede la confisca ai migranti di denaro e oggetti di valore, per pagare le spese per il loro mantenimento nel paese.

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La storia deve servire da filo rosso che ci guida nell’attraversare le strade dell’oggi. Ed è importante creare e riconoscere dei nodi per poter proseguire nel percorso evolutivo dell’uomo verso la coscienza di sé e del mondo.

Condizione preliminare e imprescindibile per coltivare la memoria è curare il presente, non voltare lo sguardo altrove, non lasciarsi sedurre da facili diversivi.

Non basta “non dimenticare”, occorre “non distrarsi”.

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“A molti può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati… Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”.
Primo Levi

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