Nuriye e Semih, sciopero della fame contro Erdogan: libertà o morte
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Nuriye e Semih, sciopero della fame contro Erdogan: libertà o morte

Sono due insegnanti licenziati dopo il fallito colpo di Stato. Hanno protestato e ora sono in prigione accusati di terrorismo. Sono il simbolo della lotta contro la repressione

Nuriye Gulmen e Semih Ozakca
Nuriye Gulmen e Semih Ozakca
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14 Luglio 2017 - 08.40


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Il brutto volto della repressione del Sultano, pervicace, prepotente e sfrontata. Brutalità racchiude nelle storie di un’accademica e un insegnante, in sciopero della fame da quattro mesi, dopo che sono stati arrestati nell’ambito delle indagini sul fallito golpe di cui la Turchia sta per celebrare il primo anniversario, sono diventati i simboli della più grande purga della storia del Paese.
La professoressa Nuriye Gulmen e Semih Ozakca sono stati licenziati su decreto del governo, in base allo stato d’emergenza imposto dopo il tentato colpo di stato del 15 luglio 2016. Dopo il licenziamento avevano manifestato ogni giorno nel centro di Ankara con indosso delle casacche con scritto “voglio indietro il mio lavoro”. Si erano così guadagnati l’attenzione dei media internazionali.
Lo scorso 9 marzo hanno iniziato uno sciopero della fame e a maggio sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo. Da quattro mesi ingeriscono soltanto acqua salata o dolcificata, tisane alle erbe e vitamina B1. “Sappiamo che a questo punto dello sciopero della fame c’è il rischio di morire”, ha detto il loro avvocato Selcuk Kozagacli aggiungendo che i due detenuti soffrono di problemi all’udito e alla vista.
Ma Gulmen e Ozakca sono soltanto due degli oltre 100mila licenziati da Ankara dopo il tentato golpe.
In base allo stato d’emergenza, imposto pochi giorni dopo il 15 luglio, le autorità turche hanno licenziato giudici, dipendenti pubblici, poliziotti, insegnanti, docenti universitari, tutti con l’accusa di sostenere il gruppo legato all’ex imam in esilio volontario negli Usa Fethullah Gulen, accusato da Ankara di aver ordito il colpo di stato.
Gli oppositori del presidente Recep Tayyip Erdogan hanno criticato lo stato d’emergenza perché è stato usato per eliminare chiunque fosse critico nei contronti del potere, ma Ankara sostiene che è servito per eliminare le infiltrazioni dell’organizzazione gulenista dall’apparato statale.
Amnesty International ha criticato in un report pubblicato a maggio i licenziamenti “arbitrari” e “politicamente motivati” come quelli dei due docenti ma Ankara ha espresso fastidio per l’interesse suscitato dal caso, sottolineando che sono stati arrestati per appartenenza al gruppo marxista fuorilegge, Dhkp-C. Accusa che Gulmen e Ozacka hanno sempre negato.
Il processo a loro carico apre il 14 settembre ma “non possiamo attendere quella data, non abbiamo il lusso del tempo”, ha dichiarato il legale.
Ma il contraccolpo delle purghe in atto da un anno in Turchia si abbatte non solo sui condannati, incriminati o licenziati, ma anche sulle loro famiglie. Secondo una fonte diplomatica europea “circa un milione di persone sono state colpite direttamente o indirettamente dalle purghe”.
E, come ha sottolineato Amnesty, chiunque venga licenziato perde il reddito e l’assicurazione sanitaria per lui e per la famiglia. Il sindacato degli insegnanti turchi Egitim-Sen fornisce un indennizzo di disoccupazione di 336 dollari al mese ai suoi membri, ma non è abbastanza.

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